Internazionale

Vescovo filippino: «Verso i jihadisti sperimentiamo il perdono»

Non è facile per un vescovo e per una intera comunità vedere i simboli della propria fede calpestati e dissacrati. Non è facile vedere la propria cattedrale distrutta e i propri fratelli sequestrati. Ci vuole una grande prova di fede per non perdere la pace e la libertà nel cuore: il pericolo è cadere nella trappola dell’odio o nel desiderio di vendetta. Lo sa bene il vescovo Edwin de la Pena, che guida la Prelatura cattolica di Marawi, sull’isola di Mindanao, nelle Filippine del Sud, quando, commosso e ancora scioccato, racconta a Vatican Insider della distruzione della sua città, della chiesa, dell’episcopio. Con un clamoroso attacco, i jihadisti del gruppo «Maute», il 23 maggio scorso, hanno occupato la città e issato la bandiera dello Stato Islamico per le strade, mettendo in fuga la popolazione civile. Con un’azione mirata, hanno fatto irruzione nel cattedrale, dando alle fiamme l’edificio e sequestrando il vicario episcopale, Terestito Suganob (detto «Chito»), e 15 fedeli che sono tuttora ostaggio dei terroristi. Il vescovo doveva essere con loro ed è stato risparmiato solo perché fuori città per visitare una parrocchia. In risposta alla crisi, il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte ha proclamato la Legge marziale sull’isola di Mindanao e l’esercito ha assediato la città. Il vescovo segue con apprensione l’evolversi della situazione.

Monsignor de la Pena, com’è la situazione sul terreno in questo momento?

«Le notizia sono frammentate. Sappiamo che l’esercito, dopo giorni di bombardamenti, ha ripreso il controllo di quasi tutta la città e i terroristi sono asserragliati in un’area ristretta. Sono un numero limitato, ma agiscono come cecchini. I soldati procedono con molta cautela. In quella zona sono ancora intrappolati oltre mille civili, la maggior parte anziani e malati che non sono riusciti a fuggire. Attualmente molti militanti hanno trovato rifugio nei tunnel esistenti nel sottosuolo. Con loro hanno circa 200 ostaggi, tra i quali i nostri fedeli, e li usano come scudi umani. Ora è la fase più difficile perché vi sono in gioco vite innocenti che bisogna salvare. Non si può pensare a un’azione di forza parlando poi di «danni collaterali». Speriamo e preghiamo per la loro salvezza».

Ci sono segnali che danno speranza? Ci sono negoziati?

«Il presidente filippino Rodrigo Duterte ha detto solennemente che: «Non ci sarà alcun negoziato con i terroristi». Ma nei giorni scorsi, a Davao, l’esercito ha catturato Cayamora Maute, il padre dei due fratelli Abdullah e Omar Maute, fondatori del gruppo terrorista che ha sferrato l’attacco a Marawi. Questo arresto potrebbe essere utile per trattative informali, miranti al rilascio degli ostaggi. Non sappiamo nulla sulle loro condizioni: potrebbero avere carenza di cibo, acqua e medicine, e saranno molto provati. Non ci resta che pregare».

I jihadisti hanno diffuso un video in cui mostrano la profanazione della cattedrale. Cosa pensa?

«Sono davvero costernato. C’è grande desiderio di visibilità se hanno girato e diffuso sui social media quel video. È un esecrabile atto di blasfemia che ha un solo scopo: instillare l’odio nei cristiani e provocare una reazione, per creare una guerra di religione. Ma non ci riusciranno: la nostra risposta è solo la preghiera, la fratellanza e la solidarietà interreligiosa, che molti amici musulmani ci hanno mostrato in queste ore, anche aiutando e difendendo i cristiani di Marawi. In questo frangente verso i terroristi sperimentiamo e testimoniamo lo spirito evangelico dell’amore al nemico».

Dato che vivete in un provincia a maggioranza islamica, può dirci dei vostri rapporti con i musulmani?
«Abbiamo da sempre intessuto buone relazioni con i fedeli musulmani che oggi sono al nostro fianco. Abbiamo ricevuto in questi giorni numerose espressioni di solidarietà e affetto. Alim Abdulmuhmin Mujahid, vice presidente del Consiglio degli Ulama a Basilan, ha condannato la profanazione della cattedrale definendo il gesto «non islamico». Jafaar Ghadzali, vice presidente del Moro Islamic Liberation Front (gruppo guerrigliero di Mindanao, ndr), ha chiesto al gruppo jihadista Maute di rilasciare padre Chito e gli altri ostaggi per motivi umanitari, ribadendo che tali atti violenti non sono compatibili con l’insegnamento dell’islam. E il governatore della Regione autonoma di Mindanao musulmana, Mujiv Hataman, ha invitato la comunità islamica di Mindanao a condannare l’azione dei terroristi legati allo Stato Islamico, chiedendo a tutti i cittadini, musulmani e cristiani, di non cadere nella trappola del Maute che vuole innescare un conflitto sociale e religioso. La gente comune ha difeso e messo in salvo i nostri fedeli. E tra gli sfollati di Marawi non si fa distinzione di religione: soffrono tutti».

Cosa chiedete e cosa sperate oggi?

«Chiediamo ogni giorno la benedizione e l’aiuto di Dio e della Vergine Maria, patrona della nostra Prelatura di Marawi. L’attacco è avvenuto proprio alla vigilia della nostra festa mariana. Oggi confidiamo in Lei. Chiediamo anche le preghiere di Papa Francesco: una sua parola di vicinanza sarebbe per tutti i fedeli qui, provati e giù di morale, un grande incoraggiamento spirituale. Papa Francesco, prega per noi. Preghiamo insieme perché tutto finisca e gli ostaggi siano liberati sani e salvi».

(Paolo Affatato / Vatican Insider)

 

9 Giugno 2017 | 12:06
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Filippine (32), isis (86)
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