A refugee teacher walks home from a long day of classes in Gendrassa refugee camp in Maban. JRS trains teachers to help improve their skills in the classroom. (Angela Wells /Jesuit Refugee Service)
Papa e Vaticano

Un viaggio di speranza nel segno dell'ecumenismo: oggi l'arrivo del Papa in Sud Sudan. Il commento

Giugno 2017. Piazza S. Pietro a Roma. Al termine della sua udienza Francesco, con passo lento e determinato si avvicina a noi missionari comboniani. I fratelli giunti dal Sud Sudan gli gridano: «Ti aspettiamo da noi Francesco!». E lui: «Ci tengo tantissimo e verrò!».

Un uomo di Parola. Uno che ha fatto delle parole profetiche e scomode il linguaggio senza sconti del Vangelo. Parole vere che scavano dentro le vene di chi ha fatto la scelta dei margini. Sentire che ora diventano realtà, scalda il cuore e lo riaccende di entusiasmo sapendo bene che la visita per molti popoli africani è il linguaggio della dignità.

Loro, lontani dai riflettori della storia, ma non di quelli predatori delle multinazionali estrattive, carne da macello e da sfruttamento per l’immaginario collettivo, visitati dall’erede del pescatore di Galilea? Per qualcuno che viene come pellegrino, senza altri interessi o secondi fini, quelle vite valgono davvero! Hanno un peso. Quello di creature attraversate dentro dallo stesso sangue. Radicalmente uguali. Finalmente Sorelle e Fratelli Tutti! Questa è la Buona Notizia per il Sud Sudan. Una delegazione profetica, in pellegrinaggio ecumenico, con il primate della Chiesa anglicana e il moderatore della Chiesa di Scozia. Insieme, con passi di Pace e Riconciliazione. Per indicare al mondo, attanagliato da guerre e da crescenti diseguaglianze globali, il diverso orizzonte al quale guardare per invertire la rotta le vittime del sistema economico-finanziario che uccide nelle periferie del mondo. Come fece Francesco stesso, con un gesto memorabile, a Roma nell’aprile del 2019 quando baciò i piedi di Salva Kirr e di Reick Machar, leader del Sud Sudan, per scongiurarli di chiedere perdono e di deporre le armi.

Un gesto profetico

Mai un Papa e altri leader cristiani si erano recati insieme in territori di guerra. Prima nella martoriata Repubblica Democratica del Congo, dove è giunto lo scorso 31 gennaio, poi nel più giovane stato africano, indipendente dal Sudan solo nel 2011. Una nascita travagliata che riflette un passato traumatico segnato dalla tratta degli schiavi del sud per i mercanti del nord, dalla piaga del colonialismo e da endemici conflitti per potere, terre, mandrie, petrolio e minerali. Contrasti mai del tutto azzerati e riesplosi nel 2013 in una vera e propria guerra civile con oltre 400.000 morti e milioni di sfollati e rifugiati. Dal 2015 si rincorrono inconcludenti firme di pace fino a quella più promettente del 2020 con il coinvolgimento di quasi tutti gli attori e le etnie in gioco. Ma l’accordo procede molto a rilento, gli scontri armati continuano in varie regioni, la corruzione dilaga insieme al malgoverno legato all’accaparramento su base etnica delle ricchezze del Paese in un vero e proprio sistema di «cleptocrazia » mentre il governo di unità nazionale si trascina al punto che le elezioni, previste per quest’anno, sono state rimandate al 2024. Dentro questo scenario estremamente polarizzato, dove l’appartenenza a una famiglia o a un clan è molto più forte della propria identità nazionale, le Chiese di diverse estrazioni si trovano a fare i conti con cristiani che fanno fatica a comprendere e valorizzare la propria appartenenza a una famiglia universale superando quella ben più forte del proprio clan o gruppo etnico. La posta in gioco è altissima. Serve deporre le armi, innescare la strada del perdono, tornare al dialogo, ridistribuire le ricchezze, investire su scuola e sanità, cambiare modalità di leadership. Tornare all’essenza del Vangelo. Innestare processi virtuosi di riscatto. Verso un altro orizzonte. Francesco va per questo. E invita un popolo intero a rialzarsi e a rimettersi in marcia.

Filippo Ivardi Ganapini, missionario comboniano

A refugee teacher walks home from a long day of classes in Gendrassa refugee camp in Maban. JRS trains teachers to help improve their skills in the classroom. (Angela Wells /Jesuit Refugee Service)
3 Febbraio 2023 | 06:52
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