Il cardinale Luis Antonio Tagle, tra i nuovi membri nominati dal Papa.
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Tagle: «Francesco ci sorprende perché Dio lo sorprendeˮ

Il cardinale Luis Antonio Gokim Tagle è arcivescovo di Manila dal 2011. È presidente di Caritas Internationalis e della Federazione biblica cattolica. Teologo di fama mondiale, ha fatto parte della Commissione teologica internazionale. La sua autobiografia, scritta con Gerolamo e Lorenzo Fazzini, si intitola Ho imparato dagli ultimi (Emi, 2016).

Che cosa rappresenta per l’Asia e per i cattolici asiatici l’elezione del primo Papa non europeo nella storia moderna?  

Per i cattolici asiatici, ma certo non solo per loro, l’elezione di papa Francesco afferma la cattolicità della Chiesa. La Chiesa universale è veramente una comunione delle Chiese locali. Tutte le Chiese locali, grazie alla comunione universale, sono autentiche Chiese di Cristo. In Asia, dove il cristianesimo è stato per secoli percepito come una religione europea, l’elezione di un Papa non europeo è la chiara affermazione che il cristianesimo può mettere radici in varie culture e che Gesù è per tutti i popoli e le culture.

 

Nel mondo tre miliardi di persone hanno meno di 25 anni e il 60% di esse vive in Asia. Non a caso papa Francesco nel 2014, primo Pontefice della storia a farlo, ha partecipato alla Giornata asiatica della gioventù celebrata in Corea del Sud. Perché quel gesto?

Seguendo i passi dei suoi predecessori, papa Francesco ha dato attenzione al ruolo dei giovani nel mondo e nella Chiesa. Egli è molto consapevole dei loro sogni e delle loro difficili battaglie. Ma li incoraggia a trovare il senso della vita in Gesù e a prendere il loro giusto posto nella Chiesa e nella sua missione. Questo messaggio è diventato «carne» quando il Papa è andato in Corea del Sud non per una Giornata mondiale della Gioventù, ma per una Giornata asiatica dei giovani.

Nel continente dove la maggioranza della popolazione è costituita da giovani ma anche dove il cristianesimo rappresenta una piccola minoranza, la visita del Papa ha ravvivato la gioventù cattolica in Asia a vivere e proclamare Gesù anche in situazioni di minoranza e persecuzione. I giovani dovrebbero apprezzare il dono di essere giovani: passione ed energia (non stanchezza), idealità (non pessimismo), coinvolgimento e impegno (non autoreferenzialità).

 

Dal suo punto di osservazione, di arcivescovo di Manila e di presidente di Caritas Internationalis, come le «periferie» vivono lo stile di Francesco?  

Fin dall’inizio del suo pontificato, Francesco sta invitando la Chiesa ad andare avanti, a essere missionaria, specialmente verso le varie tipologie di periferie. Egli esce dalle solite Chiese nella sua scelta di cardinali provenienti da Paesi dove i cattolici sono minoranza. Noto che questi cardinali, sconosciuti pure a tanti cattolici, hanno ora la consapevolezza di una Chiesa più ampia. Le loro storie, battaglie, la loro povertà e il loro coraggio non rimangono nascosti nelle periferie, ma potrebbero circolare nella Chiesa universale. Essi sono passati dalla periferia al centro della conoscenza e della memoria della Chiesa. Quelle Chiese ora hanno un rinnovato senso di fiducia nel loro essere figlie delle Chiese cattoliche tradizionali ma sono anche evangelizzatrici della Chiesa. Le «vecchie Chiese» hanno molto da imparare da quelle che stanno nelle periferie.

 

Una delle più recenti novità introdotte da papa Francesco è la Giornata mondiale dei poveri. In che cosa, secondo lei, è radicalmente nuova questa iniziativa e che cosa chiede ai fedeli?  

Il servizio della carità ai poveri non è una nuova realtà nella Chiesa. Ispirati dagli insegnamenti di Gesù e dall’esempio della Chiesa primitiva, i discepoli di Cristo sono sempre stati consapevoli dei poveri. Ciò che papa Francesco ha fatto proclamando la Giornata mondiale dei poveri è l’aver «concentrato» l’attenzione del mondo sui poveri, che comprendono la maggioranza della popolazione del mondo. Attraverso la preghiera, le attività e l’advocacy, la Chiesa invita tutte le persone di buona volontà, le altre religioni, i governi e le istituzioni a fare la loro parte per sradicare la povertà disumanizzante. La Giornata mondiale dei poveri è un «esame di coscienza globale» sulle nuove forme di disumanizzazione. Come noi contribuiamo a questo processo? Come possiamo, individualmente e insieme, prenderci cura dei poveri? Ma vorrei aggiungere: la Giornata mondiale dei poveri non vuole rendere «glamour» e «romantica» la povertà. Non vuole promuovere una cultura della dipendenza che diventa ancor più disumanizzante. Al contrario, si prefigge di difendere ed elevare la dignità dei poveri. In questo spirito, non consideriamo i poveri come un problema. Non sono solo beneficiari, ma anche donatori e maestri. Hanno una saggezza, una ricchezza che dobbiamo ricevere da loro. Incoraggiamo i poveri a prendere il loro posto nella grande famiglia umana come agenti attivi di cambiamento e di evangelizzazione.

 

Francesco è stato il primo Pontefice a scrivere un’intera enciclica sui temi ambientali. A distanza di oltre due anni, le sembra che stia cambiando la coscienza ecologica dei cattolici? Può diventare l’ecologia integrale un ambito di collaborazione ecumenica e di dialogo con i fedeli di altre religioni e i non credenti?  

La prima enciclica papale sulle questioni ecologiche è stata elogiata, in alcuni ambienti, come la grande sfida intellettuale e culturale del nostro tempo. Ma sappiamo che altri l’hanno criticata. Per i cattolici, l’enciclica rappresenta un «far memoria» puntuale del dono della creazione da parte di un Creatore premuroso. Essa ci ricorda il ruolo degli esseri umani come amministratori o custodi nominati da Dio per curare, coltivare e sviluppare il dono di Dio. Prima della Laudato si’, c’erano state iniziative in varie diocesi, con un taglio ecumenico e interreligioso. L’enciclica ha dato a queste iniziative una spinta e una conferma ancor più importanti. Nelle Filippine, abbiamo visto in questi ultimi due anni un approfondimento e un’espansione della spiritualità ecologica, della consapevolezza e dell’azione nelle nostre Chiese. Ma abbiamo bisogno di pazienza per diffondere questa visione e questa spiritualità non solo tra i cattolici, ma anche tra i politici, gli uomini d’affari e i cittadini.

 

Papa Francesco ha scelto per sé un nome impegnativo, che richiama il santo di Assisi, «uomo di pace». Si è anche speso personalmente per sanare conflitti particolarmente lunghi e dolorosi, ha lanciato ripetuti appelli per la pace in Siria, Sud Sudan, Congo… Aprendo il Giubileo della misericordia, ha visitato il Centrafrica mentre era in corso la guerra civile. Che messaggio consegna tutto ciò, alla Chiesa e all’umanità?  

Francesco è un degno successore dei nostri ultimi Papi, i quali sono stati «voci di pace» nel mondo. Nel magistero pontificio recente, ricordiamo la Pacem in terris (san Giovanni XXIII), la Populorum Progressio (beato Paolo VI), la Sollicitudo rei socialis (san Giovanni Paolo II) e la Caritas in veritate (Benedetto XVI). Papa Francesco continua a presentare una Chiesa che condivide le gioie e le speranze della gente e propone il cammino che Gesù apre per costruire la pace, fatto di verità, giustizia, amore, misericordia, compassione. La pace è un dono di Dio. Ma deve essere ricevuto da tutti noi con la prontezza di chi si converte alle sue vie. Il dono della pace di Dio sarà sprecato se non abbandoniamo visioni del mondo e azioni disumanizzanti e distruttive, per cui i beni e le risorse umane del mondo sono usati per distruggere invece che per costruire.

 

Con tanti gesti e scelte inedite, Papa Francesco ha portato una ventata di novità nella Chiesa, qualcuno dice persino una «rivoluzione». C’è, però, chi pensa che tutto questo sia legato esclusivamente alla sua persona, alla sua identità particolare e sia – di conseguenza – un rinnovamento passeggero, destinato ad essere, in qualche modo, «riassorbito». Non è un atteggiamento pericoloso?

Questa domanda mi è stata fatta molte volte. Risponderei così. Prima di tutto, ciascun Papa porta la sua personalità, la sua storia personale, la sua cultura e formazione nel suo modo di esercitare il ministero petrino. È pericoloso per la Chiesa avere un Papa «generico» che finisce per non essere personale. Quindi è normale e ci si aspetta che ogni Papa contribuisca con qualcosa di specifico al papato perché è una persona unica. In secondo luogo, è importante cercare le radici o il fondamento dei gesti e delle scelte di Papa Francesco prima di utilizzare etichette come «rivoluzionari». Nella lettura che opero delle sue parole, dei suoi gesti e delle sue scelte, posso dire che sono radicati negli insegnamenti fondamentali della Bibbia, nella testimonianza dei martiri e dei santi, nella più ampia esperienza spirituale, teologica e pastorale della Chiesa e negli insegnamenti del Vaticano II. È quanto ho affermato in alcune interviste; considero Papa Francesco come una persona che conserva una tradizione fondamentale più antica. Il «cambiamento» che propone ci invita ad essere fedeli a una tradizione più ampia che potremmo aver dimenticato a causa di una memoria selettiva e irrigiditasi.

 

Dal suo punto di vista qual è il cambiamento più impegnativo nel quale si sta spendendo Francesco e l’ambito in cui incontra maggiori resistenze?  

Per la Chiesa, il cambiamento di priorità, di indirizzi, modalità di approccio e istituzioni deve nascere e deve essere accompagnato dal rinnovamento di menti, cuori, persone, relazioni e azioni secondo la mentalità di Gesù Cristo, come testimoniato nella vita, nella preghiera e nella missione delle Chiese attraverso la storia. Papa Francesco realizza tutto questo pienamente. Dalla storia abbiamo appreso che le persone che promuovono il cambiamento devono rimanere umili, pazienti e pronte ad ascoltare soprattutto coloro che resistono al cambiamento o ne hanno un’idea diversa. Nessuno può pretendere di aver abbracciato pienamente la mentalità di Cristo. Tutti abbiamo bisogno di essere trasformati in Cristo. Credo che questo sia lo spirito con cui anche papa Francesco afferma di essere un peccatore bisognoso della misericordia di Dio. Mentre chiede un cambiamento nella Chiesa, domanda pure le preghiere di tutti noi e chiede a Dio di essere misericordioso con lui.

 

Sinodalità e collegialità sono state due «parole d’ordine» fondamentali per Papa Bergoglio. Sono scelte ormai recepite da tutta la Chiesa oppure no?  

Ancora una volta va ribadito che sinodalità e collegialità non sono «invenzioni» di papa Francesco. Sono state consacrate nella grande tradizione della Chiesa e ad esse è stata data molta rilevanza nel Concilio Vaticano II. Il Beato Paolo VI istituì il Sinodo dei Vescovi durante il Vaticano II in modo da avere un’esperienza istituzionalizzata di cammino insieme (sinodalità), per le Chiese locali e i vescovi come corpo stabile o collegio (collegialità) con e sotto il vescovo di Roma come capo visibile del collegio episcopale. Inclusi nell’attuazione della sinodalità e della collegialità sono la riforma della Curia romana, il ruolo delle Conferenze episcopali nazionali, regionali e continentali, i vari consigli diocesani e parrocchiali che invitano ad una più ampia partecipazione dei fedeli laici. Più di 50 anni dopo il Vaticano II, tutte queste iniziative devono essere rivisitate per affermare il loro significato permanente e riformarle sulla base delle lezioni offerte dalle passate esperienze e dalle sfide del nostro tempo.

 

Francesco è stato chiamato «il Papa delle sorprese». Ma egli stesso ama ricordare a tutti che Dio ci precede nel cammino e che dobbiamo lasciarci sorprendere da lui. Come vanno intese queste parole?  

Bergoglio è chiamato il «Papa delle sorprese» perché è attento a ciò che accade ovunque egli sia. Ciò non significa che non abbia un progetto. Egli e i suoi collaboratori lavorano duramente per preparare incontri, conferenze, visite pastorali, ecc. Ma lui non è prigioniero di un piano. Se Dio gli mostra qualcosa che deve essere affrontato o integrato in un progetto preparato, papa Francesco non esita a lasciare andare il suo piano. Questa è capacità di attenzione, contemplazione in azione, agilità, libertà di risposta. Papa Francesco ci sorprende perché Dio lo sorprende.

 

Il Papa non smette di richiamare tutta la Chiesa all’urgenza di vivere e annunciare la «gioia del Vangelo». Perché è così importante?  

Il motivo per cui esiste la Chiesa, la sua ragion d’essere, è annunciare Gesù, la Buona Novella in Persona. Ma la Chiesa può intraprendere questa missione con gioia solo se vede costantemente, ascolta e tocca Gesù che è sempre con lei. «Sarò con te fino alla fine dei tempi», ci ha promesso Gesù. Egli è la causa della nostra gioia e dello zelo per cui ci spendiamo nella missione.

IL LIBRO

Gerolamo Fazzini, Stefano Femminis, Francesco. Il Papa delle prime volte – Tutte le sorprese di Bergoglio, Edizioni San Paolo, pag. 264, euro 16 

Gerolamo Fazzini – Stefano Femminis (VaticanInsider)

Il cardinale Luis Antonio Tagle, tra i nuovi membri nominati dal Papa.
7 Marzo 2018 | 07:00
Tempo di lettura: ca. 7 min.
asia (24), PapaFrancesco (1459)
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