Internazionale

Scienza e fede in dialogo: «L’uomo non è solo materia»

di Cristina Uguccioni 

A Roma, recentemente, si è svolto l’annuale workshop della Pontificia Accademia per la vita (Pav) cui hanno partecipano i 160 membri accademici provenienti da università di tutto il mondo e alcuni ospiti.

Istituita da papa Giovanni Paolo II nel 1994, la Pav quest’anno ha scelto quale tema per il proprio workshop « Human. Meaning and challenge » (Umano. Significato e sfide). Non si è riflettuto dunque su uno specifico problema bioetico, come è accaduto in passato, ma più in generale sull’originalità e la dignità della condizione umana nell’epoca tecno-scientifica. Su questo importante appuntamento durato due giorni dialoga con catt.ch e Catholica uno dei membri della Pav: Roberto Andorno, docente di Bioetica e Diritto biomedico all’università di Zurigo dove coordina anche il programma di dottorato in Bioetica.

All’inizio dell’incontro siete stati ricevuti in udienza da papa Francesco: quali aspetti del suo discorso l’hanno maggiormente colpita?

«Il Papa ha sottolineato che domandarsi cosa qualifica l’essere umano è un interrogativo antico ma è anche sempre nuovo: le sorprendenti risorse possibili grazie alle nuove tecnologie, infatti, lo ripropongono oggi in forma ancora più complessa. E questa complessità non deve essere frettolosamente eliminata. Inoltre il Papa ha tenuto a ricordare che non è possibile essere a priori «pro» o «contro » le macchine e le tecnologie, perché questa alternativa, riferita all’esperienza umana, non ha senso. E anche oggi non è plausibile ricorrere solamente alla distinzione tra processi naturali e processi artificiali, considerando i primi come autenticamente umani e i secondi come estranei o addirittura contrari all’umano. Quello che occorre fare, invece, è inscrivere i saperi scientifici e tecnologici all’interno di un più ampio orizzonte di significato, scongiurando così l’egemonia tecnocratica oggi imperante».

Quali sono a suo giudizio le peculiarità peggiori di questa egemonia?

Ne cito una, particolarmente grave: la riduzione dell’essere umano alla sola dimensione materiale. Oggi, purtroppo, moltissimi scienziati coltivano questo materialismo riduzionistico mostrandosi incapaci di riconoscere la dimensione spirituale che è presente in ogni essere umano ed è alla base della sua dignità. Questo loro riduzionismo sta contagiando le società occidentali le quali sono spinte a credere che uomini e donne siano costituiti solo da cellule e geni. Questa convinzione nega l’esperienza umana più comune, che è fatta, ad esempio, di amore, amicizia, sensibilità per la bellezza, passione per la giustizia, apertura a Dio: queste sono tutte dimensioni spirituali e non sono misurabili con criteri scientifici! La nostra stessa coscienza è un mistero! Infatti i neuroscienziati non sono mai riusciti a dimostrare che sia un mero prodotto del nostro cervello. Se il nostro nucleo più profondo fosse puramente materiale, tra l’altro, finirebbero per non avere senso né l’etica né il diritto perché ogni scelta dell’uomo sarebbe in realtà un frutto determinato da cellule e geni, e non espressione del libero arbitrio».

La questione antropologica è divenuta dunque tema urgente

«Sì: come ha detto papa Francesco, il compito principale, oggi, si pone a livello antropologico. È quanto mai necessario sviluppare unaculturache, integrando le risorse della scienza e della tecnica, sia capace di riconoscere e promuovere l’umano nella sua ricchezza e specificità irripetibile, che comprende anche la dimensione spirituale. La Pav si muove proprio in questa direzione e il recente workshop ne è felice testimonianza».

Il lavoro della Pav si caratterizza anche per il metodo adottato, quello di un dialogo effettivo, non di maniera. Vuole illustrarne la necessità e la fecondità?

«Data l’ampiezza e la velocità dei progressi scientifici e tecnologici, le questioni bioetiche sono particolarmente complesse e per essere affrontate con serietà richiedono l’apporto di persone esperte in discipline diverse: nessuno è in grado di conoscere in modo approfondito tutti gli aspetti di ogni questione. Bisogna, con umiltà, vivere un effettivo dialogo, uno scambio transdisciplinare in quella forma che la Costituzione Apostolica Veritatis gaudium descrive «come collocazione e fermentazione di tutti i saperi entro lo spazio di Luce e di Vita offerto dalla Sapienza che promana dalla Rivelazione di Dio». Il nostro workshop è stato caratterizzato da un dialogo che ha permesso a ciascuno di esporre le proprie considerazioni e di interagire con gli altri realizzando un vero, reciproco scambio. Questo dialogo effettivo ha comportato parlarsi e confrontarsi di persona anche nei momenti conviviali: un aspetto prezioso e molto fecondo. Ad esempio, ho avuto modo di parlare a lungo con il neuroscienziato Olaf Blanke, del Politecnico Federale di Losanna. Dalle nostre chiacchierate è nata l’idea di collaborare e realizzare insieme qualche progetto. Incontrarsi e confrontarsi di persona è una dimensione irrinunciabile dell’esperienza umana. Purtroppo, nel mondo virtuale nel quale siamo immersi, tende a essere sempre più sottovalutata».

| © unsplash
6 Marzo 2024 | 06:15
Tempo di lettura: ca. 3 min.
fede (114), scienza (11)
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