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Roma: l’accoglienza in parrocchia, altro che «autogol»

Le testimonianze di alcune comunità parrocchiali che hanno ospitato i rifugiati nell’ambito del progetto «Ero forestiero, mi avete ospitato»

«Ogni parrocchia accolga una famiglia di profughi. Lo faranno per prime le due parrocchie del Vaticano».

Con queste semplici parole, pronunciate poco prima dell’inizio dell’Avvento 2015, Papa Francesco ha innescato una vera «rivoluzione» d’amore nella Chiesa d’Italia e d’Europa: mai nessun Pontefice aveva fatto alla sua Chiesa una richiesta così pratica ed esplicita! Questa notizia «bomba» – rilanciata dai media quasi si trattasse di un presunto «autogol» del Pontefice – ha lasciato tutti un po’ perplessi, in primis i cristiani-parrocchiani: «Questa volta Papa Francesco ha chiesto troppo»- hanno detto alcuni; «E’ un’utopia» – hanno pensato altri.
«Che bello se si realizzasse anche nella mia Parrocchia: vorrebbe dire che siamo cristiani veri!»- ho pensato ascoltando la notizia dal telegiornale.

E, così, quando il Parroco della mia Parrocchia di San Gaspare Del Bufalo mi ha invitata a partecipare a una riunione con il Parroco di Santa Maria Ausiliatrice per avviare insieme il progetto di accoglienza di una famiglia di rifugiati proposto dalla Caritas di Roma, ero incredula e allo stesso tempo consapevole che qualcosa di unico si stava realizzando sotto i nostri occhi: il Papa ci stava aiutando a trasformarci da Comunità «sonnacchiose e poltrone» a Comunità ferventi nella carità.
La famiglia a noi affidata era composta da 5 persone (papà, mamma e 3 figli di 1½ – 9 -18 anni) provenienti dalla Siria e di religione musulmana: persone di grande educazione e dignità, con alle spalle una storia drammatica di fuga e di ingenti perdite.
Il progetto pensato per loro e portato avanti «a quattro mani» dalle nostre due Parrocchie consisteva nell’ospitare la Famiglia in un appartamento nelle vicinanze della Chiesa di S. Maria Ausiliatrice (messo a disposizione a un prezzo «base» da un parrocchiano), nel pagamento del vitto e delle utenze e nel loro graduale accompagnamento umano verso il ritorno a una vita «normale»…
Per quanto riguarda il sostegno economico, entrambe le Parrocchie hanno istituito (ciascuna nella propria Chiesa) un punto di raccolta delle donazioni, ove ciascun parrocchiano potesse depositare il proprio contributo.
Riguardo il sostegno umano, invece, le due comunità hanno operato in aiuto a questa famiglia ciascuna secondo il proprio carisma.

La Comunità salesiana di S. Maria Ausiliatrice ha curato l’inserimento e la crescita dei figli attraverso l’attività oratoriale: le attività sportive, i tornei di calcetto, il dopo scuola gratuito, la scuola di musica e l’estate ragazzi sono stati strumenti preziosi che hanno aiutato i bambini a ritrovare un nuovo e sano tessuto di relazioni; l’Oratorio è divenuto per loro una «seconda casa» dove muoversi liberamente e serenamente, sostenuti dall’affetto e dall’amicizia degli educatori più grandi.
Anche la Mamma ha partecipato ad alcune attività organizzate dalla parrocchia (corso di lingua italiana e corso di ricamo) che hanno contribuito al suo inserimento nella vita della Comunità parrocchiale (basti pensare che a Maggio, in occasione della Festa di Santa Maria Ausiliatrice, la Famiglia è stata ufficialmente presentata a tutta la comunità parrocchiale e ha partecipato alla solenne Processione in onore di Maria Santissima!). Negli ultimi tre mesi, al Papà la comunità dell’Istituto salesiano ha offerto l’opportunità di iniziare a lavorare, per alcune ore, nel servizio cucina quotidiano.

La Comunità missionaria di S. Gaspare del Bufalo ha operato, invece, apparentemente più «in sordina» (a causa della maggior lontananza!) ma in modo non meno efficace: in linea con il suo carisma missionario che insegna a farsi «compagno di viaggio» di chi è nel bisogno, ha affiancato ai due genitori alcune famiglie missionarie che li accompagnassero nella risoluzione di grandi e piccoli problemi legati alla quotidianità. Tra le tante «avventure» affrontate insieme ci sono state: l’iter medico relativo alla scoperta e alla cura di un tumore della mamma, la risoluzione di vari problemi di salute del papà, la ricerca di nuove prospettive di lavoro (con il coinvolgimento gratuito di professionisti parrocchiani), il disbrigo di tante formalità burocratiche necessarie per un loro inserimento nella nostra società e, infine, la realizzazione di una vacanza in Toscana che li aiutasse a ritrovare un po’ di serenità e speranza per il futuro. Ma il frutto più bello di questo accompagnamento è stata la nascita di legami di fratellanza e di sincero affetto che hanno fatto sentire questa famiglia di rifugiati di nuovo «a casa».
Oggi ciascuno di loro sostiene apertamente di desiderare di restare «qui»: in questa casa, in questo territorio parrocchiale, accanto a queste due comunità parrocchiali che non li hanno più fatti sentire soli ma «in famiglia». «Qui ho conosciuto l’amore vero –ha detto un giorno il papà- quello disinteressato, che non vuole nulla in cambio; e qui desidero che i miei figli vivano ed imparino ad amare».
Penso non sia necessario aggiungere altro: Papa Francesco ancora una volta ci ha insegnato che l’Amore si trasmette con i fatti e non con le parole! (Sandra De Amicis)

La parrocchia di Sant’Ugo

La parrocchia di San Fulgenzio

San Giuseppe al Trionfale

5 Ottobre 2016 | 16:33
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