Papa e Vaticano

«Possiamo professarci senza Dio, ma Dio non può stare senza noi»

«Possiamo essere lontani, ostili, potremmo anche professarci «senza Dio»», ma «Lui non sarà mai un Dio «senza l’uomo», è lui che non può stare senza di noi»: Papa Francesco ha incentrato sulla «paternità di Dio» la catechesi dell’udienza generale in piazza San Pietro, sottolineando che «chiamare Dio col nome di «Padre» non è per nulla scontato» e che il termine aramaico «abbà» con cui Gesù chiama il padre, e che San Paolo sintomaticamente «non se la sente di tradurre in greco», è un termine ancora più intimo rispetto a «padre», e che qualcuno traduce «papà, babbo»».

«Non siamo mai soli», ha detto il Papa. «Possiamo essere lontani, ostili, potremmo anche professarci «senza Dio». Ma il Vangelo di Gesù Cristo ci rivela che Dio che non può stare senza di noi: Lui non sarà mai un Dio «senza l’uomo», è lui che non può stare senza di noi, e questo è un mistero grande. Dio non può che essere Dio senza gli uomini. Questa certezza è la sorgente della nostra speranza, che troviamo custodita in tutte le invocazioni del Padre Nostro».

Francesco, giunto in piazza San Pietro alle 9.20, ha proseguito un ciclo di catechesi sulla speranza cristiana soffermandosi sul fatto che, secondo il Vangelo di Luca, «i discepoli di Gesù sono colpiti dal fatto che lui, specialmente la mattina e la sera, si ritira in solitudine e si «immerge» in preghiera. E per questo, un giorno, gli chiedono di insegnare anche a loro a pregare. È allora che Gesù trasmette quella che è diventata la preghiera cristiana per eccellenza: il «Padre Nostro»». Jorge Mario Bergoglio ha sottolineato che «tutto il mistero della preghiera cristiana si riassume qui, in questa parola: avere il coraggio di chiamare Dio con il nome di Padre. Lo afferma anche la liturgia quando, invitandoci alla recita comunitaria della preghiera di Gesù, utilizza l’espressione «osiamo dire». Infatti – ha evidenziato Francesco – chiamare Dio col nome di «Padre» non è per nulla un fatto scontato. Saremmo portati ad usare i titoli più elevati, che ci sembrano più rispettosi della sua trascendenza. Invece, invocarlo come «Padre» ci pone in una relazione di confidenza con Lui, come un bambino che si rivolge al suo papà, sapendo di essere amato e curato da lui. Questa è la grande rivoluzione che il cristianesimo imprime nella psicologia religiosa dell’uomo. Il mistero di Dio, che sempre ci affascina e ci fa sentire piccoli, però non fa più paura, non ci schiaccia, non ci angoscia. Questa è una rivoluzione difficile da accogliere nel nostro animo umano; tant’è vero che perfino nei racconti della Risurrezione si dice che le donne, dopo aver visto la tomba vuota e l’angelo, «fuggirono via …, perché erano piene di spavento e di stupore». Ma Gesù ci rivela che Dio è Padre buono, e ci dice: «Non abbiate paura!»».

Il Papa ha poi indicato l’esempio della parabola del padre misericordioso, meglio nota come la parabola del Figliol prodigo, sottolineando che «Dio è Padre, dice Gesù, ma non alla maniera umana, perché non c’è nessun padre in questo mondo che si comporterebbe come il protagonista di questa parabolaDio è Padre alla sua maniera: buono, indifeso davanti al libero arbitrio dell’uomo, capace solo di coniugare il verbo «amare». Quando il figlio ribelle, dopo aver sperperato tutto, ritorna finalmente alla casa natale, quel padre non applica criteri di giustizia umana, ma sente anzitutto il bisogno di perdonare, e con il suo abbraccio fa capire al figlio che in tutto quel lungo tempo di assenza gli è mancato, è dolorosamente mancato al suo amore di padre».

«Che mistero insondabile è un Dio che nutre questo tipo di amore nei confronti dei suoi figli!», ha detto ancora il Papa. «Forse è per questa ragione che, evocando il centro del mistero cristiano, l’apostolo Paolo non se la sente di tradurre in greco una parola che Gesù, in aramaico, pronunciava «abbà». Per due volte san Paolo, nel suo epistolario, tocca questo tema, e per due volte lascia quella parola non tradotta, nella stessa forma in cui è fiorita sulle labbra di Gesù, «abbà», un termine ancora più intimo rispetto a «padre», e che qualcuno traduce «papà, babbo»».

Il Papa ha concluso la catechesi affermando che «tutte le nostre necessità, da quelle più evidenti e quotidiane, come il cibo, la salute, il lavoro, fino a quella di essere perdonati e sostenuti nelle tentazioni, non sono lo specchio della nostra solitudine: c’è invece un Padre che sempre ci guarda con amore, e che sicuramente non ci abbandona. Adesso – ha detto ai fedeli raccolti in piazza San Pietro – vi faccio una proposta, ognuno di noi ha tanti problemi tante necessità, pensiamoci un po’ in silenzio. Pensiamo anche al padre, a nostro padre, che non può essere senza di noi e che in questo momento ci sta guardando, e tutti insieme con fiducia e speranza preghiamo: «Padre Nostro che sei nei cieli…»».

All’inizio dell’udienza, il Papa, dopo il consueto giro in jeep per salutare i fedeli e prima di scendere dalla vettura, si è allacciato una scarpa tra lo sguardo un po’ sorpreso dei collaboratori. A conclusione dell’udienza Francesco, che ha ricordato l’anniversario del suo incontro con il presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) che cade domani, ha salutato in particolare l’Associazione Comunità Regina della Pace di Radom, in Polonia, su cui richiesta ha benedetto oggi l’altare Adoratio Domini in unitate et pace, ha detto, destinato al Santuario della Madonna del Rosario a Namyang in Corea del Sud: «In questo mese di giugno, dedicato alla devozione al Sacro Cuore di Gesù, non manchi la preghiera di ciascuno per la pace».

(Iacopo Scaramuzzi / Vatican Insider)

| © Vatican Media
7 Giugno 2017 | 13:46
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