Per leggere il Vangelo nel tempo di Natale

a cura del Coordinamento della Formazione Biblica della Diocesi di Lugano

Matteo 2,1-12 (rito romano / rito ambrosiano – commento di Ernesto Borghi[1])

L’annuncio della nascita di Gesù è seguito da un brano incentrato sulla figura dei magi. La loro domanda (v. 2) introduce l’intera scena, che si divide in due parti: l’incontro con il falso «re dei giudei», Erode (vv. 3-9a), e quello con il vero re, nato a Betlemme (9b-12).

1Dopo che Gesù era nato a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco che alcuni magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: «2Dov’è colui che è stato partorito[2] re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella nel suo sorgere, e siamo venuti per adorarlo».

3Udendo queste parole, il re Erode fu profondamente turbato e tutta Gerusalemme. con lui. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui era nato il Messia. 5Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: 6E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei assolutamente il più piccolo tra i capoluoghi di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà pastore del mio popolo, Israele» (Michea 5,1)[3]. 7Allora Erode, chiamati segretamente i magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi con esattezza del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga e lo adori». 9Udite le parole del re, essi partirono.

Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Vedendo la stella, essi provarono una gioia molto, molto grande. 11Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre e, cadendo in ginocchio, si prostrarono adoranti davanti a lui. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti poi in sogno di non dirigersi nuovamente da Erode, per un’altra via ritornarono al loro paese.

Nella lettura di questo passo matteano si compia un confronto sinottico tra i due pannelli di questo vero e proprio «dittico» testuale.

            Tutto nel testo mira ad orientare verso la visione esaltante ed entusiasmante di un bimbino appena nato: Egli è il Messia. E la prima affermazione relativa del brano è la seguente: il Messia devenascere a Betlemme ed è realmente nato lì.

            Il Messia che è venuto alla luce non è semplicemente un sovrano, ma l’unto del Signore iscritto nella linea davidica del re-pastore scelto direttamente da Dio, che fa dell’umiltà il suo carattere distintivo: l’integrazione delle profezie del libro di Michea e del secondo libro di Samuele intende evidenziare, con chiarezza, la complessità del ruolo di Gesù.

            Sin da Mt 1,1 è stato dichiarato che Gesù è figlio di Abramo, il capostipite la cui benedizione deve raggiungere tutti i popoli. La venuta dei pagani, impersonati dai magi, mostra che questa promessa divina di salvezza sta realizzandosi, ossia che la salvezza universale è in fase di concretizzazione. Gesù è il Messia e la sua regalità, sin dall’inizio, è contraddistinta dalla minaccia di sofferenza. Questa rivelazione è potenziata dalla contrapposizione, lungo l’intera pericope, tra due regalità:

            – quella erodiana, fatta di una tirannide terrena esercitata su un territorio la cui capitale, Gerusalemme, si chiude subito tragicamente al suo Salvatore;

            – quella di un bambino indifeso, che viene salutato come Re solo per fede, condizione che muove il desiderio universale di ricerca del senso della vita.

            Non è un caso che il racconto dei magi rinvii ripetutamente a quello della Passione: il destino paradossale del Messia davidico è ancora più evidente se si considera l’opposizione di atteggiamenti tra Erode e Gerusalemme da un lato e i magi dall’altro, «piccola densa parabola di quel movimento paradossale che contrassegna la vicenda storica di Gesù…, che a sua volta prelude all’esperienza della Chiesa di Matteo, aperta alla missione verso i pagani, 28,19, e osteggiata dai giudei, 10,17»[4].

            Il valore fondamentale di questo brano matteano è, quindi, tanto divino quanto umano-esistenziale a partire da un linguaggio simbolico estremamente liberante. Scoprire l’esistenza del Messia è possibile, se si considerano due coordinate: «la stella e la Scrittura. La stella che rappresenta i segni dei tempi, le occasioni della storia e anche, più banalmente, i casi della vita. È il Verbo inscritto nella creazione, il linguaggio silenzioso delle cose. La stella conduce vicino all’evento messianico, ma non raggiunge da sola il bersaglio: occorre anche la verifica della Scrittura. I Magi non salgono direttamente fino a Betlemme, si fermano a Gerusalemme. È da Sion che esce la Torà, da Gerusalemme la parola del Signore (cfr. Is 2,3)… Solo nella congiunzione tra la stella apparsa ai pagani e la parola custodita da Israele è possibile individuare l’evento del Messia»[5].

            Questa consapevolezza spalanca un orizzonte assai ampio ove trovano posto le esperienze di «credenti» o «non credenti», a condizione che siano tutti degli individui che si chiedono, nella riflessione e nella prassi di ogni giorno, che significato abbia la loro vita[6], che quindi proiettano il loro sguardo «verso l’alto» del loro cuore, della loro intelligenza, insomma della loro capacità di relazionarsi ai propri simili.

            Leggere la Scrittura attraverso gli eventi della propria esistenza e la considerazione dei fatti della vita propria e di quella degli altri, dai più vicini ai più remoti, secondo gli umanissimi criteri di comportamento che la Bibbia offre[7]: ecco l’interazione che questa pericope propone ancora all’inizio del terzo millennio. Non serve altro: questa deve essere l’orientamento di fondo di tutta la vita umana e Mt 2,1-12 lo dice chiaramente. «Questi versetti mettono in evidenza la complessità di qualsiasi dialogo e di qualsiasi incontro. Essi ci rendono attenti al fatto che le parole utilizzate possono essere al servizio di progetti che gli interlocutori portano in sé senza averli necessariamente svelati a coloro ai quali essi si rivolgono. Questo fatto lascia ciascuno di noi di fronte ad una seria questione di carattere etico individuale: le parole che utilizziamo si giustificano in riferimento alla verità, di fronte a Dio, che sonda le reni e i cuori, e al servizio dei nostri fratelli e delle nostre sorelle?»[8].

            I sapienti venuti dall’Oriente erano considerati geograficamente e religiosamente lontani, e la distanza fisica della loro terra d’origine era un dato di fatto. Ciononostante la loro «solitudine» a Gerusalemme è del tutto evidente: erano interiormente assai vicini a Dio, quindi seppero leggere i segni della storia e non sentirono lontana la Parola che custodisce il senso ultimo dell’esistenza del mondo e dell’umanità. Ogni domanda ulteriore sull’indomani dei magi al loro ritorno in patria è superflua. L’unico interrogativo che questo testo autorizza a porsi è quello relativo al futuro di ogni sua lettrice e di ogni suo lettore: come sarà possibile plasmarlo dando ascolto autentico, con passione, gioia e senso di responsabilità, ad una rivelazione divina come quella della stella di Betlemme?

            Insomma occorre che quanti dicono di credere nel Dio di Gesù Cristo siano onesti con se stessi: gravi debolezze umane si sono tragicamente manifestate all’interno dei «recinti» ecclesiali e al di fuori di essi negli ultimi duemila anni, perché la mentalità di Erode e dei gerosolimitani ricorre costantemente nella storia umana, nel cuore dell’essere umano. Ciononostante tanti individui sono riusciti a muoversi nelle direzioni dei magi, dando grandi testimonianze di splendida umanità (l’ultimo che ci ha lasciato pochi giorni fa è stato l’arcivescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu). Lettrici e lettori dovrebbero provarci a loro volta, magari senza avere «paura» di «gioire di una grandissima gioia»[9].

            Infatti si può riscontrare una ricerca di salvezza «esterna» alla Chiesa di Gesù Cristo, che preme da ogni parte ed è carica di drammatici interrogativi; dall’interno delle comunità cristiane le risposte sono, non di rado, del tutto insoddisfacenti.

Intrappolata troppo spesso in compromessi di vario genere, la Chiesa rischia di divenire, come ha ricordato spesso Papa Francesco in questi anni, parolaia, insignificante, legata prima all’astrattezza delle affermazioni generali che all’urgente concretezza dei problemi di oggi. Essa, non di rado, si vede afferrata più dallo sconvolgimento allarmistico di Erode e della città di Gerusalemme, che non dal coinvolgimento appassionato nella storia in nome del Signore Gesù, come, sia pure a loro modo, i magi fattivamente dimostrano. E intanto – e lo dico con cordiale ammirazione per gli uni e accorata preoccupazione per gli altri – i cosiddetti «lontani» «arrivano a Betlemme, mentre i vicini rischiano di non trovare il Messia, benché sappiano tutto su di lui»[10].

            Non lo si dirà e vivrà mai abbastanza: cercare di essere cristiane e cristiani vuol dire tentare di essere discepole e discepoli di Colui che è venuto ad abitare l’umanità per vivere sino in fondo la responsabilità e la bellezza dell’amore. Quindi ogni «panegirico» dell’arroccamento difensivo o della rassegnazione intristita e del ripiegamento intimistico non ha alcuna legittimità. Qualsiasi essere umano è invitato a seguire la stella della vita in ogni momento. Esattamente come ogni momento può essere quello giusto per iniziare il viaggio fondamentale della propria esistenza.

Per ascoltare una lettura complessiva di Matteo 2,1-12, si visiti pure il canale youtube «Associazione Biblica della Svizzera Italiana» (»Corso Vangelo secondo Matteo [sino a 25’ 39’’]).

Per un’attenzione specifica a Matteo 1-2, si ascolti l’intervento di Luca Mazzinghi in «La bellezza e la bontà delle parole. Introduzione al vangelo secondo Matteo» (canale youtube «Edizioni Terra Santa»).

 


[1] Nato a Milano nel 1964, sposato con Maria Teresa (1999) e padre di Davide (2001) e Michelangelo (2007), è laureato in lettere classiche (Università degli Studi di Milano), licenziato in scienze religiose (Università di Fribourg), dottore in teologia (Università di Fribourg), baccelliere in Sacra Scrittura (Pontificia Commissione Biblica). È biblista professionista dal 1992. Insegna Introduzione alla Sacra Scrittura presso l’ISSR «Romano Guardini» di Trento e Sacra scrittura presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (Sezione San Tommaso d’Aquino) di Napoli. Dal 2003 presiede l’Associazione Biblica della Svizzera Italiana (www.absi.ch) e coordina la formazione biblica nella Diocesi di Lugano. Dal 2019 è coordinatore della Sub-Regione Europa del Sud e dell’Ovest della Federazione Biblica Cattolica (www.f-b-c.org). Tra i suoi libri più recenti: La giustizia dell’amore. Matteo 5-7 e Luca 6.11 tra esegesi ed ermeneutica, Effatà, Cantalupa (TO) 2021; (a cura di) GIOVANNI. Nuova traduzione ecumenica commentata, Edizioni Terra Santa, Milano 2021; (con F. Buzzi), Coscienza, riconoscenza e azione. Per cercare di essere umani, San Lorenzo, Reggio Emilia 2021.

[2] 2,2. La versione CEI 2008 (Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?) o altre traduzioni contemporanee (per es., la Nuova Riveduta 2006: Dov’è il re dei Giudei che è nato?) non rendono adeguatamente la pregnanza del participio sostantivato techthèis. Esso nel significato specifico di partorire esprime la differenziazione politica e religiosa decisiva tra il neonato e chi è in quel momento sovrano, ossia Erode.

[3] 2,6. Il confronto del testo di Michea 5,1 tra il testo ebraico, la traduzione dei Settanta e il passo matteano mostra che quest’ultimo è sensibilmente diverso per tre motivi: il nome della regione di Betlemme (terra di Giuda, non di Efrata); il rafforzamento del ruolo di Betlemme rispetto alla regione di appartenenza; la sottolineatura della funzione di pastore messianico di chi nascerà (cfr. 2Sam 5,2b: «Tu pascerai Israele mio popolo, tu sarai capo in Israele»). Colui che deve nascere (e i magi credono che egli sia già nato) si ricollegherà alla dinastia di Davide, re-pastore, e non re-tiranno come Erode.

[4] R. Fabris, Matteo, Borla, Roma 1996, p. 68. «Gli aspetti umilianti della vicenda dell’infanzia, tanto priva di gloria e tanto carica di dolore, costituivano per Matteo e per la sua comunità perseguitata una ragione per non dimenticarsene… Tutto questo, d’altra parte, costituiva un fortissimo invito alla mitezza, una luce e un conforto per una chiesa perseguitata e perciò tentata di rispondere alla violenza con la violenza; come avevano fatto pochi anni prima gli zeloti contro i romani e come, qua e là, alcuni giudei continuavano a fare e a progettare. Il Signore Gesù risorto da morte, dominatore dell’universo, era il modello di umiltà e mitezza che incoraggiava a proseguire sul suo difficile sentiero» (G. Danieli, I Magi a Betlemme: origine e genere letterario di Mt 2,1-12, in «Ricerche Storico Bibliche» (1/1992), 82).

[5] A. Mello, Evangelo secondo Matteo, Qiqajon, Magnano (BI) 1995, pp. 68-69.

[6] «L’ateo superficiale e non pensante non è molto diverso dal credente che si rifiuta di pensare e di mettersi continuamente in discussione davanti a Dio: in realtà per entrambi la certezza che guida il cuore e la vita è troppo a buon mercato, volutamente scontata e indiscussa. Credere in Dio o non credere per comodità oppure per non lasciarsi disturbare si corrispondono come atteggiamenti del cuore dinanzi al Padre» (C.M. Martini, Ritorno al Padre di tutti, Centro Ambrosiano, Milano 1998, p. 51).

[7] «Con il racconto dei magi Matteo ci dice che le vie percorse da Dio per adempiere la Scrittura e per entrare nella nostra storia molte volte sono distanti dalle nostre vie e dai nostri pensieri (Is 55,9): normalmente egli sceglie la via della debolezza e della povertà, perché l’amore non vuole imporsi, e questo suo modo di agire molte volte ci disorienta. La luce del Signore Gesù che, secondo il profeta Isaia risplenderà su Gerusalemme vincendo le tenebre e la nebbia che avvolgono le nazioni, può essere riconosciuta soltanto da coloro che anzitutto accettano l’umiltà di Betlemme come i magi» (L. Zani, Guidati dalla stella. Il viaggio pasquale dei Magi, Ancora, Milano 2006, pp. 63-64).

[8] G. Rouiller, «Il vous est né un Sauveur». Luc 1-2 et Matthieu 2, ABC, Fribourg 1997, p. 150.

[9] «Il lontano cerca e interroga e così trova e dona con gioia; il vicino sa dove è il Signore, ma non lo cerca, interroga la Scrittura, ma non se ne lascia interrogare, e così cercherà di ucciderlo. All’uomo sono possibili due azioni: l’uccisione o la donazione di sé. Ambedue saranno assunte nella storia della salvezza. Proprio il rifiuto, che lo porterà sull’albero della croce, farà compiere al Figlio che adoriamo il cammino del dono di sé che ci salva» (S. Fausti, Una comunità legge il vangelo di Matteo, I, EDB, Bologna 1998, p. 24).

[10] A. Chieregatti (ed.), La Parola pregata, EDB, Bologna 1986, p. 77.

6 Gennaio 2022 | 07:02
Tempo di lettura: ca. 9 min.
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