Papa e Vaticano

Papa Francesco, l'undicesimo anno di pontificato segnato dal dolore per le guerre

Era esattamente un anno fa. Nel giorno in cui celebrava i dieci anni di pontificato, il Papa condivideva il suo intimo dolore, compartecipe di quello di migliaia di donne e madri nel mondo, in un podcast – il primo – con i media vaticani. Il pensiero era rivolto in particolare ai giovani morti sul terreno nella guerra di aggressione a quell’Ucraina definita da sempre e da subito «martoriata» o, talvolta, «martirizzata». Non uno stanco epiteto, come sobillato da alcune critiche svilenti, ma assillo continuo del supplizio a cui è sottoposto il popolo ucraino dal 24 febbraio 2022. Il dolore di cui Francesco faceva partecipe il grande pubblico non è andato attenuandosi in questi dodici mesi dell’undicesimo anno di pontificato, ma anzi si è acuito davanti alle prospettive di espansione del conflitto in Est Europa – con il possibile invio di truppe europee e la minaccia di una risposta nucleare – e ancor di più da ottobre con l’irruzione dell’orrore in Terra Santa, a seguito dell’attacco terroristico di Hamas e la risposta militare israeliana che ha provocato in cinque mesi circa 31 mila morti. Un altro di quei «pezzi» che compongono il terzo conflitto globale in corso.

Preghiera silenziosa, dolore pubblico

Dinanzi a questo dolore, Papa Francesco, capo della Chiesa universale e a 87 anni tra i Pontefici più longevi, prega nel silenzio della sua stanza, dove conserva icone, croci e altri oggetti rappresentativi dei territori feriti da cui provengono. Ad esso dà voce in ogni pronunciamento pubblico. Oltre 130 gli appelli che Jorge Mario Bergoglio ha espresso dal 13 marzo 2023 ad oggi per l’Ucraina, più di 60 quelli per il Medio Oriente e la popolazione di Gaza.

Non c’è stato Angelus, Regina Caeli o udienza generale in cui il Papa abbia mancato il riferimento alla guerra, ribadito la vicinanza alle popolazioni colpite o invocato la pace e il coraggio del negoziato quale esercizio di saggezza che impedisca il prevalere degli interessi di parte, tuteli le legittime aspirazioni di ognuno e faccia cessare la «follia» della guerra.

Pace per la martoriata Ucraina

A volte sono stati appelli vigorosi – voluti pronunciare pure quando la voce, a causa di bronchiti o influenze ricorse più volte in questi mesi, non lo permetteva – o spesso brevi chiose, fugaci memorandum o campanelli d’allarme per non far subentrare l’abitudine o il cinismo per cui anche il dramma di un attacco missilistico su scuole e abitazioni è declassato a «notizia di aggiornamento». La speranza di una pace giusta e duratura è stato ed è sempre l’unico sottofondo alle parole del Papa susseguitesi in questo undicesimo anno di pontificato, che vale la pena ripercorrere in tempi di rielaborazioni e strumentalizzazioni del suo pensiero o a fronte di accuse di «equivicinanza» che, come ha puntualizzato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, è sempre stato «lo stile» della Santa Sede.

L’appello all’Unione Europea

Francesco lo diceva alle famiglie rifugiate giunte in Italia grazie ai corridoi umanitari, ricevute in udienza il 18 marzo dello scorso anno. E quattro giorni dopo, nell’udienza generale ricordava l’atto di consacrazione di Russia e l’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria: «Non stanchiamoci di affidare la causa della pace alla Regina della pace», esortava, chiedendo di rinnovare ogni 25 marzo l’atto di consacrazione alla Madonna, «perché Lei, che è Madre, possa custodirci tutti nell’unità e nella pace». All’impegno spirituale il Pontefice ha sempre chiesto che corrisponda «un impegno coeso» politico e diplomatico, a partire dall’Unione Europea. Una sfida «molto complessa», evidenziava nell’udienza alla Comece, essendo i Paesi dell’UE «coinvolti in molteplici alleanze, interessi, strategie, una serie di forze che è difficile far convergere in un unico progetto» contro la guerra che, sottolineava nella stessa occasione, «non può e non deve più essere considerata come una soluzione dei conflitti».

Sforzi creativi di pace

«Dove sono gli sforzi creativi di pace?», ha domandato invece il Papa nell’Ungheria divenuta meta di rifugio di migliaia di profughi ucraini, durante il discorso alle autorità civili e politiche nel viaggio di aprile 2023.

Non solo denunce ma anche prospettive da parte del Papa che, sul volo di ritorno da Budapest, affermava ai giornalisti: «Credo che la pace si faccia sempre aprendo canali, mai si può fare una pace con la chiusura. Invito tutti ad aprire rapporti, canali di amicizia. Questo non è facile». «A tutti interessa la strada della pace. Io sono disposto, sono disposto a fare tutto quello che si deve fare», aggiungeva il Pontefice, anticipando l’avvio di una missione che si sarebbe rivelata poi quella del cardinale Matteo Maria Zuppi come suo emissario a KyivMoscaWashington e Pechino.

Un mondo senza odio e senza armi

Una missione che è andata cristallizandosi durante il suo stesso svolgimento, quella di Zuppi, assecondando il desiderio del Papa di uno sforzo anche per la «creatività». «Nell’oceano della storia, stiamo navigando in un frangente tempestoso e si avverte la mancanza di rotte coraggiose di pace. Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo?», domandava Francesco nel discorso alle autorità a Lisbona, primo appuntamento del viaggio in Portogallo per la GMG durante la quale ha incontrato un milione e mezzo di giovani. Quelli che, ha sottolineato nell’udienza generale del mercoledì successivo, hanno «mostrato a tutti che è possibile un altro mondo: un mondo di fratelli e sorelle, dove le bandiere di tutti i popoli sventolano insieme, una accanto all’altra, senza odio, senza paura, senza chiusure, senza armi!».

Sempre una sconfitta

«La guerra è una sconfitta», anche questo un leitmotiv ricorrente di questi ultimi mesi di pontificato. Per qualcuno un’espressione forse troppo ingenua, ma come poter definire una «vittoria» la morte in massa di migliaia di propri cittadini, il più delle volte civili innocenti?

«Una catastrofe umanitaria»: così il Papa definiva già, dopo nemmeno dieci giorni dalla risposta armata di Israele, la situazione a Gaza.

Tacciano le armi! Si ascolti il grido di pace dei popoli, della gente, dei bambini! Fratelli e sorelle, la guerra non risolve alcun problema, semina solo morte e distruzione, aumenta l’odio e moltiplica la vendetta. La guerra cancella il futuro

Il coraggio del negoziato

E a questo «no» deve corrispondere un’azione concreta. Papa Francesco la suggeriva nel discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede: «Non si può lasciare protrarre un conflitto che va incancrenendosi sempre di più, a detrimento di milioni di persone, ma occorre che si ponga fine alla tragedia in atto attraverso il negoziato, nel rispetto del diritto internazionale».

Con Pietro, sempre

Editoriale di Andrea Tornielli

Nel silenzio assordante della diplomazia, in un panorama caratterizzato dall’assenza sempre più evidente di iniziativa politica e di leadership capaci di scommettere sulla pace, mentre il mondo ha iniziato una folle corsa al riarmo destinando ai sofisticati strumenti di morte somme che basterebbero per assicurare due volte l’assistenza sanitaria di base a tutti gli abitanti della terra e ridurre significativamente le emissioni di gas serra, la solitaria voce di Papa Francesco continua a supplicare di far tacere le armi e a invocare il coraggio di favorire percorsi di pace. Continua a chiedere il cessate il fuoco in Terra Santa, dove allo spietato massacro del 7 ottobre attuato dai terroristi di Hamas è seguita e continua ad essere perpetrata la tragica carneficina di Gaza. Continua a chiedere di far tacere le armi nel tragico conflitto deflagrato nel cuore dell’Europa cristiana, nell’Ucraina distrutta e martoriata dai bombardamenti dell’esercito aggressore russo. Continua a invocare pace nelle altre parti del mondo dove si combattono con indicibili violenze i conflitti dimenticati che compongono i tasselli sempre più grandi di un conflitto mondiale.

Il Vescovo di Roma entra nel dodicesimo anno di pontificato in un’ora buia, con le sorti dell’umanità in balia del protagonismo di governanti incapaci di valutare le conseguenze delle loro decisioni che sembrano arrendersi all’ineluttabilità della guerra. E con lucidità e realismo dice che «è più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo», cioè «chi ha il coraggio di negoziare», perché «negoziare è una parola coraggiosa», della quale non bisogna vergognarsi. Papa Francesco, sfidando le incomprensioni dei vicini e dei lontani, continua a mettere al centro la sacralità della vita, ad essere vicino alle vittime innocenti e a denunciare gli sporchi interessi economici che muovono i fili delle guerre ammantandosi di ipocrisia.

Un rapido sguardo a questi ultimi undici anni di storia fa comprendere il valore profetico della voce di Pietro. L’allarme, lanciato la prima volta due lustri fa, sulla terza guerra mondiale a pezzi. L’enciclica sociale Laudato si’ (2015), che ha mostrato come cambiamenti climatici, migrazioni, guerre, economia che uccide sono fenomeni interconnessi tra di loro e possono essere affrontati soltanto attraverso uno sguardo globale. La grande enciclica sulla fratellanza umana (Fratelli tutti, 2020), che ha indicato la via per costruire un mondo nuovo basato sulla fraternità, togliendo ancora una volta qualsiasi alibi all’abuso del nome di Dio per giustificare il terrorismo, l’odio e la violenza. E poi il costante riferimento nel suo magistero alla misericordia, che intesse tutta la trama di un pontificato missionario.

Nelle società secolarizzate, e «liquide» senza più certezze, nulla può essere dato per scontato e l’evangelizzazione – insegna Francesco – ricomincia dall’essenziale, come si legge in Evangelii gaudium (2013): «Abbiamo riscoperto che anche nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o «kerygma«, che deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale. […] La centralità del kerygma richiede alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, ed un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna».

La testimonianza della misericordia rappresenta dunque un elemento fondamentale di questo «amore salvifico di Dio» che è «previo all’obbligazione morale e religiosa». In altre parole, chi non è ancora venuto in contatto con il fatto cristiano, come aveva già osservato lucidamente Benedetto XVI nel maggio 2010, difficilmente rimarrà colpito e affascinato dall’affermazione di norme e obblighi morali, dall’insistenza sui divieti, dagli elenchi minuziosi dei peccati, dalle condanne, o dagli appelli nostalgici ai valori di un tempo.

All’origine dell’accoglienza, della vicinanza, della tenerezza, dell’accompagnamento, all’origine di una comunità cristiana capace di abbracciare e di ascoltare c’è il riverbero della misericordia che si è sperimentata e che si cerca – pur tra mille limiti e cadute – di restituire. Se si leggono con questi occhi i gesti del Papa, anche quelli che hanno provocato in alcuni le stesse reazioni scandalizzate che provocavano duemila anni fa i gesti di Gesù, se ne scopre la profonda forza evangelizzatrice e missionaria.

Vatican News

| © Vatican Media
13 Marzo 2024 | 09:37
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