Mons. Kabalan, a destra, e René Roux, rettore FTL (foto Laura Quadri)
Ticino e Grigionitaliano

Padre Kabalan, ospite della Fondazione Spitzer e della Facoltà di Teologia: «Un Medio Oriente senza cristiani mi fa paura»

«I cristiani del Medio Oriente sono i migliori ambasciatori di riconciliazione verso i connazionali musulmani. Ma necessitano di un sincero sostegno da parte dell’Occidente». Lo affermava, ad Avvenire, il patriarca siro-cattolico di Antiochia, Ignazio Youssef III Younan, poco meno di un mese fa. Esattamente dello stesso avviso è mons. Rami Al Kabalan, che i ticinesi hanno potuto incontrare giovedì sera, alla Biblioteca Salita dei Frati a Lugano, su iniziativa della Facoltà di teologia di Lugano e della Fondazione Spitzer, dopo essere rientrato dall’importante evento «Mediterraneo frontiera di pace». L’incontro, che ha visto la partecipazione di 60 vescovi e 65 sindaci del Mediterraneo e a cui avrebbe dovuto partecipare anche papa Francesco, fermato all’ultimo da un problema di salute, ha portato all’elaborazione di una Carta della Pace, con l’auspicio che «inizino immediatamente i negoziati per ristabilire la pace nel Mediterraneo».

Mons. Kabalan – anche vescovo di Arteusa dei Siri, antica diocesi della Chiesa siriaca – vi ha partecipato in qualità di visitatore apostolico e procuratore del Patriarcato siriaco-cattolico presso la Santa Sede. Nato in Siria nel 1979 e già parroco di Nabek e Yabrud, nell’arcieparchia di Homs, la sua conoscenza della Chiesa siro-cattolica è vasta. Pur avendo quale quartier generale Beirut, in Libano, essa ha come terre d’origine e di riferimento anche la Siria e l’Iraq. O almeno le aveva. Perché oggi la comunità siro-cattolico è diffusa in tutto il mondo. Un’espansione figlia – purtroppo – della diaspora imposta da conflitti, attacchi e persecuzioni degli ultimi anni. 

Questo spaventa molto mons. Kabalan. E lo dice senza mezzi termini: «Un Medio Oriente senza cristiani è pericoloso. Da sempre, infatti, i cristiani hanno fatto da ponte tra le culture e le religioni in queste terre, in particolar modo con i musulmani. Penso al lavoro del compianto padre Paolo Dall’Oglio – ero parroco di una comunità poco distante dalla sua – e alla sua strenua fatica di far collaborare cristiani e musulmani. O alle tante chiese aperte, per accogliere i civili, durante la crisi siriana. Questo crea «equilibrio», stabilità: c’è la possibilità che qualcuno eviti il peggio nel conflitto. Ma se questa presenza dovesse venire a mancare, e con essa la mediazione esercitata dai cristiani, gli scontri tra le fazioni musulmane stesse (in particolare, sciiiti e sunniti) saranno più crudeli, più forti, più inesorabili».

Il rischio, tuttavia, è concreto, reale, sotto gli occhi di tutti: «Fu un gesuita, nel 1996, a predirmi che nel 2020 avremmo visto gli ultimi cristiani lasciare la Siria. Pensai, allora, che era pazzo. Adesso ci ripenso: forse era un profeta. Le Comunità locali effettivamente sono stanche, i capi religiosi invitano i giovani a rimanere ma senza qualcosa di concreto da offrire. Dire che i cristiani devono rimanere solo a un livello teorico, secondo me, del resto, non funziona. Penso, piuttosto, che per salvare il Medio Oriente e i suoi cristiani sia necessario partire dalle scuole, per generare una cultura nuova: la cultura dell’incontro. Senza rinunciare, come raccomanda il Vangelo, a dire la verità nella carità, ovvero facendo presente che i cristiani in Medio Oriente sono presenti da 2’000 anni. Da qui il diritto ad essere cittadini, con gli stessi diritti e doveri di ciascuno. Ecco l’unico modo di aiutare i cristiani in Medio Oriente».

Leggi l’intervento completo di padre Kabalan su Osservatore.ch

Laura Quadri

Mons. Kabalan, a destra, e René Roux, rettore FTL (foto Laura Quadri)
5 Marzo 2022 | 15:55
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