Lettera di Clarisse e Carmelitane a Mattarella. Le reazioni in Ticino

Non se la aspettavano nemmeno loro un’accoglienza così calorosa. Ha infatti raccolto centinaia di adesioni la lettera aperta che Clarisse e Carmelitane di 62 monasteri italiani hanno indirizzato l’11 luglio scorso, giorno di San Benedetto, al presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella e al premier Giuseppe Conte per esprimere la loro preoccupazione «per il diffondersi in Italia di sentimenti di intolleranza, rifiuto e violenta discriminazione nei confronti di migranti e rifugiati». In pochi giorni alla loro si è aggiunta la voce di 273 istituti e congregazioni religiose, senza contare le adesioni – innumerevoli – di singoli religiosi e laici.

L’iniziativa ci ha spinto a chiederci se anche dalle nostre parti questa urgenza venga avvertita con analoga preoccupazione. Da noi contattate, alcune comunità religiose ci hanno detto che preferiscono non esprimersi pubblicamente su questo tema così delicato, a cui comunque dedicano la loro preghiera. Hanno invece deciso di esprimere la propria opinione in merito i fratelli e le sorelle della Fraternità francescana di Betania di Rovio – che conta anche otto case in Italia – affidando la loro riflessione a padre Roberto Fusco, docente di Teologia spirituale nonché responsabile della comunità in Ticino. «Il tema dei migranti è evidentemente tutt’oggi ancora caldo e riempie quotidianamente le pagine dei giornali», osserva padre Roberto.

«I flussi migratori sono un segno forte dei nostri tempi che ci costringe ad interrogarci e che non ci dà la possibilità di dare risposte preconfezionate o scontate. A mio avviso, è questo che Carmelitane e Clarisse hanno voluto sottolineare con la loro lettera».

Una lettera, secondo padre Roberto, che ha il merito di andare dritta al punto, senza giri di parole: «Qui ad essere in gioco non è un’ideologia o un atteggiamento demagogico più o meno palese, quanto le migliaia di vite umane, di uomini e di donne senza nome che ogni giorno rischiano la vita su imbarcazioni di fortuna per scappare dalla guerra e dalla carestia».

Le parole delle monache, dunque, ci riportano sul terreno della concretezza e a quanto accade pressoché quotidianamente nelle acque del Mediterraneo. Ma chiediamo ancora a padre Roberto, quando è legittimo un atteggiamento prudente e quando invece inizia l’intolleranza nei confronti degli altri? «Siamo intolleranti quando le nostre risposte sono dettate unicamente dalla paura. Del resto, la xenofobia è un’espressione antica che dice in profondità il timore, la paura e il disagio che proviamo di fronte a chi è diverso da noi». A sorprendere in positivo padre Roberto è la prospettiva con cui è scritta la lettera: «Le monache ci indicano un atteggiamento che viene prima ancora di qualsiasi decisione politica e accordo tra nazioni, vale a dire la condivisione di una realtà e di un modo di vivere sociale, che loro definiscono con l’espressione «società più umana» ».

Ma – vogliamo infine sapere da padre Roberto – cos’è per lei una società più umana? Il responsabile della comunità di Rovio non ha dubbi: «Evidentemente una società è più umana quando, al di sopra di tutti i discorsi e le ideologie sottostanti, fa emergere con chiarezza un valore fondamentale: la dignità delle persone. Di ogni persona, anche di quelle che riteniamo diverse da noi. Questa è certamente una lezione che possiamo imparare tutti, partendo da quanto sta accadendo oggi nel mar Mediterraneo: il rispetto della dignità di ognuno porta a vincere la paura atavica che ciascuno di noi ha dell’altro, per poter iniziare a cercare e costruire nuove strade di integrazione e di accoglienza reciproca.»

Laura Quadri

11 Agosto 2019 | 16:00
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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