Papa Francesco e Ahmad al-Tayyib nel 2019.
Commento

La modernità dell’islam e i suoi nemici

Dietro lo sguardo obliquo di Ahmad al Tayyeb , il grande imam di Al Azhar, che lo fa sembrare come un animale braccato, si nasconde «un grande timido», assicura l’ex ministro libanese della Cultura, Tarek Mitri. Egli lo conosce dai tempi dell’università passati a Parigi: uno seguiva gli studi di filosofia delle relazioni internazionali, l’altro di filosofia delle religioni. Siamo ben lontani dalle immagini di feroce «guardiano del dogma» o di «grande inquisitore» che ci si può fare nel seguire la sua carriera pubblica.

Figlio dello sheikh di una «tarika», una via sufi di Said  (Alto Egitto), Ahmad el-Tayyeb, 71 anni, ha anche una solida formazione filosofica acquisita alla Sorbona, nei corsi di Paul Ricoeur. «Il suo pensiero religioso è perciò informato da una parte dal misticismo e dall’altra dalla filosofia» precisa Tarek Mitri. «Egli non è un ›fakih’, un giurista o un canonista».

Nel discorso che ha pronunciato all’università di Al Azhar lo scorso 27 aprile, l’imam ha richiamato «l’esistenzialismo» e ha parlato della «post-modernità». Solo esibizionismo? L’ex ministro libanese va contro questo giudizio e commenta: «Quando si esprime in pubblico, l’imam si trova in una logica di scontro fra la fede religiosa e il nichilismo moderno. Ma in realtà. È un uomo che è in dialogo con la modernità. Vi è dunque l’uomo e la funzione. In pubblico, la funzione prende il sopravvento, ma io credo che egli sia spinto dalla preoccupazione di rendere il messaggio religioso plausibile, credibile agli occhi dei ›moderni’. Egli è cosciente che vi è una modernità piena di angoscia nel mondo musulmano».

Sul piano pubblico, il grande imam di Al Azhar, nominato dall’allora presidente Hosni Mubarak nel 2010, è certo approvato da molti, ma è anche assalito dalle critiche. I fondamentalisti lo detestano e il potere politico cospira per rimuoverlo. Nel 2011, durante le giornate rivoluzionarie che hanno cacciato il presidente Mubarak, i rivoluzionari lo hanno tacciato di essere un alleato del regime. Lui, senza essere rivoluzionario, era molto sensibile a quanto reclamavano i giovani. Per questo, le persone del potere hanno perso fiducia in lui, sospettandolo di essere troppo favorevole alle nuove idee.

«Fatto senza precedenti – precisa l’on. Mitri – l’imam ha deciso di fare di Al Azhar un luogo di dialogo. Egli ha creato la Beit el A’ila el Masria (la Casa della famiglia egiziana), un luogo dove tutti i capi religiosi cristiani si sentono a casa loro e dove si cerca di risolvere, di disinnescare le tensioni confessionali, di portare soluzioni puntuali a problemi puntuali, come si fa in una famiglia. Poi ha riunito diverse volte negli ultimi due anni intellettuali islamisti più o meno moderati, come anche dei liberali musulmani e cristiani. Da ciò è nato l’impegno sulla nozione dello Stato costituzionale. Egli ha anche proclamato – dietro consultazione con un gran numero di intellettuali da tutte le posizioni – una carta delle libertà che va molto lontano: libertà artistiche, libertà intellettuali e perfino libertà di coscienza, anche se non si usa questa parola. Infine, egli ha cercato di infondere il concetto di cittadinanza nel mondo islamico, rifluito nel colloquio del marzo scorso«.

Il nome dell’imam di Al Azhar è stato applaudito in modo caloroso alla messa celebrata dal papa il 29 aprile. Citato nei ringraziamenti finali dal patriarca dei copti cattolici, il suo nome è stato applaudito dalla folla insieme a quello del presidente al Sisi e a quello di Tawadros II. «Dolce consolazione in mezzo a tante amarezze», commenta Terek Mitri, alla fine della visita del papa. E proprio come il papa, che egli ha abbracciato in pubblico, l’imam si trova davanti un’opposizione interna tenace e talvolta anche menzognera da parte dei rigoristi del suo campo.

(Asia News)

Papa Francesco e Ahmad al-Tayyib nel 2019.
2 Maggio 2017 | 07:45
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