La Biblioteca Salita dei Frati, annessa all'ex convento cappuccino.
Ticino e Grigionitaliano

La lezione di Jäger: è il pensiero su Dio che ci caratterizza come uomini. Carlo Ossola su «Umanesimo e teologia»

Un intervento tenuto nel contesto della Seconda guerra mondiale presso la prestigiosa Marquette University, fondata dai gesuiti, e un conferenziere – Werner Jäger (1888-1961) –  professore ad Harvard e tra i più importanti classicisti e pensatori del XX secolo, intenzionato a formulare dopo la sua Paideia – il monumentale saggio sulla formazione dell’uomo greco, divenuto uno dei cardini della riflessione culturale della nostra epoca – un vero e proprio «manifesto» per il rinnovarsi della civiltà, messa a dura prova dalle mitologie naziste ma anche da teorie e visioni storiche, sociali, antropologiche non sempre capaci di indicare all’uomo la sua vera strada. Il testo che ne risultò, Umanesimo e teologia, fu tradotto e stampato in italiano per la prima volta grazie a David Maria Turoldo, nel 1958. Ora, a quasi settant’anni da quella storica edizione, esso ricompare per i tipi di «Vita e Pensiero», nella traduzione di Luciana Bulgheroni e con la prefazione del prof. Carlo Ossola, presente lo scorso lunedì sera a Lugano, alla Salita dei Frati, per raccontare e ripercorrere con il pubblico la preziosità dello scritto.

Non il dramma di essere uomini, ma lo spirito che ci rende tali

«Mentre  l’eredità greca contemporanea passa di solito attraverso la tragedia, improntata al dramma di essere uomini, Jäger si sofferma all’opposto sulla formazione dell’uomo greco, la paideia, e su ciò che a partire dagli autori greci potesse significare un reale umanesimo», ha spiegato il prof. Ossola. Umanesimo, ovvero, come spiega Jäger nel suo stesso saggio, prescindendo dalle singole interpretazioni dategli nella storia, «quello spirito umanizzante che aiuta l’uomo a scoprire il suo vero io e perciò ne plasma la personalità».

Quale «umanesimo» per l’uomo?

In ciò l’autore si confronta con due eredità precise, quella di Jacob Burckhardt (1818-1897) e di Friedrich Nietzsche (1844-1900). «Per il primo vale l’idea di un umanesimo «compiuto», dove si integrano l’architettura, il commercio, l’eredità classica, gli avanzamento civili e in cui compiere i propri doveri di cittadino è realizzare se stessi. Per il secondo, invece, è necessario per un vero umanesimo fare anzitutto uscire le università dallo specialismo». L’analisi di Nietzsche si basa sull’esperienza da lui maturata a partire dal 1869 presso l’Università di Basilea, come titolare della cattedra di lingua e letteratura greca, a contatto con un ambiente accademico immerso in un profondo «sonno», come scriverà in una lettera al suo maestro Friedrich Wilhelm Ritschl.

Socrate, Platone, Aristotele: i primi padri del pensiero «teologico»

Altro è il modello di «umanesimo» per Jäger, che – fondato sui valori greci poi assunti dal cristianesimo – guarda in primis a Socrate, Platone e Aristotele. In loro si fece infatti palesemente largo la certezza di Dio quale principio supremo del mondo naturale e sociale: le vere fonti spirituali – con i loro testi – dell’umanesimo classico. I sofisti, per contro, continueranno ad educare le nuove generazioni «tralasciando di indagare la natura delle cose divine e limitandosi alla sfera dell’uomo e a una scienza sociale senza alcuno sfondo metafisico» (Umanesimo e teologia, p. 93). Così, sottolinea Ossola, «è convinzione platonica che ogni vera formazione sia anti-sofistica», né si può formare l’uomo senza porsi il problema di Dio.

Non solo Platone e Aristotele avrebbero per primi formulato un discorso su Dio, ma avrebbero fortemente creduto nelle capacità razionali dell’uomo di poter formulare tale discorso. «Furono dunque i Greci, fondatori della filosofia e della scienza, che portarono nella vita intellettuale dell’umanità questa nuova forma di rapporto razionale con il mondo sovrumano», sottolinea Jäger. Una razionalità, secondo lo studioso, di cui sarà debitore da vicino – questo il cuore della sua tesi – San Tommaso, vero teologo, dunque, ma anche vero «umanista». «È possibile per l’uomo, attraverso la ragione che gli è propria, conoscere ciò che sta oltre la ragione?  Le risposte, anche per Tommaso, possono essere due», sottolinea il professor Ossola. «Il riconoscere di non poter assolutamente accedere a tale sapere, oppure, il prendere atto che, ad esempio, se Dio è inconoscibile,  si può perlomeno essere coscienti di non poterlo conoscere». Ciò vale per Jäger, il suo modello di teologia e di umanesimo: «Per lui, citando costantemente Platone, la teologia non è discorso strutturante e cristallizzato dell’impossessarsi di Dio, ma è il modo di porre razionalmente i limiti della ragione stessa; l’uomo deve essere cosciente di non poter comprendere Dio ma anche di poterselo porre come problema. Posti questi limiti,

non solo è possibile un ragionamento, un discorso razionale sul nostro porre il problema di Dio, ma questo è il vero umanesimo».

Lungi dal rappresentare una rottura, il Medioevo al quale Jäger guarda emerge dunque come il compimento dell’anelito a quell’«Umanesimo integrale» che, pochi anni prima della conferenza di Jaeger, Maritain aveva così formulato: «L’uomo è chiamato a un destino migliore che a una vita puramente umana».

La vera vocazione dell’uomo? Ritornare alla propria origine divina

Carlo Ossola.

Il secondo fondamentale elemento dell’umanesimo di Jäger «è che nel conoscere la propria origine divina, l’uomo conosce se stesso e conosce la parte divina che è in lui». Un’antropologia ben delineata anche da Dante, in cui tomismo e pensiero aristotelico si incontrano alla perfezione, anche secondo Jäger, e che attraverso la sua Commedia indica all’uomo il vero senso del «superarsi», l’andare oltre sé stessi. «L’uomo ha l’esigenza di comprendere sé stesso come più degno della propria fisicità senza cadere, però, nell’aspetto superomistico di Nietzsche. Dante a queste domande risponde con le parole del suo maestro, Brunetto Latini, colui che gli ha insegnato «come l’uom s’etterna»: non un riferimento alla gloria, all’eternità della fama, come molti dantisti hanno sempre creduto, bensì un appello affinché l’uomo riconquisti, ripartecipi della sua stirpe, cioè della sua origine divina e da questa si lascia ispirare».

Dall’amore francescano per il Creato a Dio, un pensiero «universale»

Ma qual è il carattere di questo umanesimo fondato sulla possibilità dir ragionare «al di sopra dell’uomo», giungendo fino a Dio? «L’uomo – spiega Ossola –  deve conoscere l’aspetto fisico delle cose tanto ciò che lo travalica: se non abbiamo coscienza di ciò che deve fare la scienza – come affermava Aristotele –  ogni nostra metafisica è una impostura.

Tutto ciò che riguarda il contesto che arriva in contatto con l’uomo è propriamente ciò di cui l’uomo si deve occupare. E anche tutto ciò che riguarda la terra, come insegnato da San Francesco.

Perciò gli autori che si sono dotati di questa universalità sono quelle che hanno sorretto l’umanesimo. È una universalità affermata nel Novecento anche dall’eredità domenicana e dal tomismo novecentesco, in cui sarebbero riconosciuti Giuseppe Toffanin, don Giuseppe De Luca, Carlo Dionisotti».

La conversione necessaria all’uomo oggi: agire insieme di fronte ai grandi problemi

E infine come raggiungere, anche nel presente – un presente per Jäger allora attraversato dal conflitto mondiale – questo ideale di umanesimo? «Jäger  prescinde qui dall’idea di una trasfigurazione – l’uomo in grado di decidere da sé la sua metamorfosi –  e introduce un termine nuovo: l’immagine platonica della periagoghè, ovvero il convertirsi, il vertere cum, il volgersi tutti assieme in una direzione, nella duplice idea di un movimento comune, un agire intorno ai grandi problemi contemporanei in modo corale.

È un modello che vale anche per la Chiesa: intraprendere insieme un cammino.

Questo deve prevedere la formazione dell’uomo contemporaneo: la formazione di una «comunità ideale», non una società regolata dal contratto sociale o dalla trasfigurazione del singolo. Potrebbe Jäger aver mutuato l’idea da  Novalis, La Cristianità ovvero l’Europa, l’idea di una cristianità che ponga la propria identità in una cittadella «faro», rilevata come una nuova Gerusalemme? Forse sì».

«Uno dei sensi per i quali abbiamo riproposto questo libro? Perché la vera autorità non impone discepolati, ma è autoritativa, aumenta la consapevolezza, fa crescere. Mi auguro che questo libro con la sua carica di provocazione possa diventare un libro autoritativo, che faccia crescere  la consapevolezza del dramma di fronte al quale siamo e induca la conversione», conclude il prof. Ossola.

Laura Quadri

La Biblioteca Salita dei Frati, annessa all'ex convento cappuccino.
9 Marzo 2023 | 23:09
Tempo di lettura: ca. 5 min.
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