Il Papa durante la visita a Lesbo nel 2016.
Internazionale

Incendio nel campo profughi di Moira a Lesbo: tra gli sfollati anche pazienti Covid-19

Un altro incendio sulle isole greche: nella notte tra l’8 il 9 settembre è stata di nuovo la volta del campo di Moria, a Lesbo. Le fiamme hanno devastato almeno l’80% del campo, più di 12mila persone sono fuggite in strada nei dintorni dell’hotspot o dirette verso la città, senza un piano definito per l’evacuazione. Tra queste, anche 35 pazienti con Covid-19 e molte altre persone probabilmente positive, ospitate nel centro di isolamento del campo, anch’esso andato a fuoco. Il governo greco ha dichiarato lo stato di emergenza sull’isola.

Da anni l’organizzazione Still I Rise denuncia, insieme alle altre organizzazioni, la pessima situazione degli hotspot sulle isole greche, chiedendone l’evacuazione immediata con un meccanismo di solidarietà equo tra tutti gli Stati membri europei. Tuttavia la situazione non fa altro che peggiorare, aggravata dalle misure anti Covid-19.

«Gli hotspot sulle isole greche non raggiungono gli standard minimi di igiene e sicurezza per ospitare degli animali, figuriamoci per esseri umani: inutile sottolineare che lavarsi le mani, tenere 2 metri di distanza e «stare a casa» non è mai stata un’opzione possibile per tutte queste persone», dichiara Giulia Cicoli, Direttrice Programmi & Advocacy per Still I Rise.

«Questa situazione è il risultato della politica greca ed europea di bloccare migliaia di persone in condizioni igienico-sanitarie devastanti per anni su piccole isole greche, in attesa di una risposta dalle autorità sulla loro richiesta di protezione internazionale. La necessità di evacuazione immediata dagli hotspot, che chiediamo con forza da anni, è diventata ancora più urgente dall’inizio della pandemia, eppure le autorità greche ed europee hanno ignorato le nostre grida di allarme e ora ci troviamo col campo profughi più grande in Europa completamente in fiamme e 12.000 persone, tra cui pazienti positivi al Coronavirus, in mezzo alla strada senza un piano di emergenza. Queste persone vanno trasferite in un posto sicuro ora, e l’Unione Europea deve lavorare al migration pact con un sistema di quote di ricollocamento automatiche ed eque nei vari Stati Membri. Le isole greche da anni sono al collasso e questa politica di contenimento ed esternalizzazione delle frontiere deve finire».

Il Papa a Moria nel 2016

Era il 16 aprile 2016 quando Papa Francesco visitò i migranti dell’isola greca di Lesbo, nel Mar Egeo, insieme con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, e con l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, Ieronymos. Nel corso di questi anni il Pontefice ha ricordato più volte quel toccante incontro. «Non voglio dimenticare l’isola di Lesbo, i tanti patimenti di migranti e rifugiati, molti dei quali bambini», ha detto Francesco nell’ultima Pasqua. «Non perdete la speranza», fu il messaggio che Francesco volle lasciare ai migranti di Lesbo, prima di tornare in Italia portando con sé, a sorpresa, 3 famiglie di richiedenti asilo siriani. Il Papa andò a Moria per ascoltare le drammatiche storie dei migranti e per esortare la comunità internazionale a dare una risposta adeguata – in modo «degno», sottolineò – a quella crisi. Un appello ancor  oggi sempre più attuale a causa dell’incendio che rischia di rendere inagibile il campo.

Vatican News/red

Il Papa durante la visita a Lesbo nel 2016.
9 Settembre 2020 | 15:20
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