Ticino e Grigionitaliano

Il personale dell’OCST coinvolto nel percorso «Lumen fidei» con il card. Scola

di Federico Anzini

Il sindacato OCST ha deciso di puntare molto sulla formazione dei propri collaboratori e delegati per rendere più forte il senso di alcuni parole essenziali per il suo operato nella società civile, quali: solidarietà, sussidiarietà, bene comune, primato della persona. «Sono convinto – ci dice Renato Ricciardi, segretario cantonale dell’OCST – che solo sindacaliste e sindacalisti con forti radici e una solida consistenza umana possono resistere alle molte pressioni del mondo del lavoro, della politica ma anche del sindacato stesso». Infatti già mons. Eugenio Corecco, nel suo intervento al Congresso dell’OCST del 1987, aveva richiamato al fatto che «il rischio che corre il sindacalista, come quello di qualsiasi cristiano, sta sempre nella tentazione di svuotare in senso secolarizzato le categorie fondamentali della propria esperienza cristiana ed ecclesiale».

Da qui l’interesse per il percorso Lumen fidei guidato dal card. Scola che sarà proposto come formazione al personale del’OCST. Ma chiediamo a Ricciardi, da dove nasce questo interesse per la proposta del Cardinale?

Avevo letto il libro del card. Scola «L’amicizia come virtù civica» (ed. Feltrinelli) scritto a quattro mani con Riccardo Bonacina. In una società dell’individualismo, segnata spesso dalla solitudine e dalla sofferenza delle persone, il cardinale invitava a reinventare le comunità e i luoghi di dialogo, insistendo sulla condivisione, come metodo per costruire un bene sociale che crei un riconoscimento comune. Il sindacato è un luogo di rappresentanza del lavoro, il suo scopo – come lo è quello della politica – è «di sostenere l’amicizia civica». Nel proprio statuto l’OCST precisa lo scopo in questi termini: «La promozione spirituale, culturale e materiale dei lavoratori, contribuendo all’attuazione di un ordine economico e sociale fondato sul pieno riconoscimento della dignità della persona e sul primato del lavoro sul capitale». Con quale chiarezza i nostri fondatori hanno precisato il fine del sindacato. Il raggiungimento del nostro scopo non può che essere raggiunto grazie ad una partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori alla vita delle comunità in cui operano e vivono e sostenendo l’»amicizia civica», la solidarietà, tra di loro. 

In un’altro libro «L’esperienza della solitudine» (ed. Piemme), scritto durante il periodo della pandemia, il card. Scola indica una via decisiva per uscire dalla crisi. Scrive «Questi giorni devono secondo me far comprendere che, in una società plurale, o l’io vive come relazione o non vive. Dal diffondersi dell’epidemia può nascere un diverso senso di unità e una riflessione per una politica che favorisca la condivisione dentro tale pluralità». L’ho raccontato spesso ai miei collaboratori quando il sindacato è stato chiamato a partecipare alla gestione della crisi economica durante il periodo dell’emergenza sanitaria. Questo lavoro comune ha messo in pratica il principio della sussidiarietà – orizzontale, attraverso il confronto tra le parti sociali e l’istituzione politica, e verticale, con l’autorità federale – permettendo al nostro Cantone di ottenere un adeguato margine di autonomia, in virtù della particolare situazione in cui ci siamo trovati nel momento iniziale dell’emergenza. Credo che abbiamo contribuito a costruire una comunità dove «non si vive da soli ma sempre in relazione». Per questo motivo abbiamo festeggiato il Primo Maggio di quell’anno con il motto «La rotta della solidarietà», seguendo Papa Francesco che ci aveva esortato a «ricostruire il mondo senza lasciare nessuno indietro». Abbiamo scoperto il desiderio di essere utili, di condividere la vita con altri, di partecipare collettivamente alla vita sociale del Paese.  

Quali sono le aspettative, le domande, i punti, … che vorreste che il card. Scola approfondisse maggiormente? 

– Il Vescovo Corecco al Congresso OCST del 1987 affermava, «il rischio che corre il sindacalista, come quello di qualsiasi cristiano, sta sempre nella tentazione di svuotare in senso secolarizzato le categorie fondamentali della propria esperienza cristiana ed ecclesiale». Spesso finiamo per pensare che molti valori del sindacato (sussidiarietà, il bene comune, la dignità della persona,….) siano così difficili da far permanere nel tempo. Cosa occorre fare per mantenere viva la coscienza dello scopo del fare sindacato?

– Papa Francesco alla Pontificia Commissione per l’America latina del 2019: «Essere cattolico nella politica (si potrebbe dire anche «essere cattolico nel sindacato») non significa essere una recluta di qualche gruppo, organizzazione o partito, bensì vivere dentro un’amicizia, dentro una comunità. Se tu, nel formarti nella Dottrina sociale della Chiesa, non scopri nel tuo cuore il bisogno di appartenere a una comunità di discepolato missionario veramente ecclesiale, in cui puoi vivere l’esperienza di essere amato da Dio, puoi correre il rischio di lanciarti un po’ da solo nelle sfide del potere, delle strategie, dell’azione, e finire nel migliore dei casi con un buon posto politico, ma solo, triste e con il rischio di essere manipolato». 

– Altri temi: l’amicizia civica e la politica, il ruolo del sindacato e i grandi temi sociali, la solidarietà e il ruolo sussidiario allo stato delle parti sociali, l’importanza della relazione con gli altri (anche con i datori di lavoro) 

16 Settembre 2022 | 14:08
Tempo di lettura: ca. 3 min.
AngeloScola (16), lumenfidei (6), ocst (7)
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