L'arcivescovo Pizzaballa.
Internazionale

Il Patriarca latino Pizzaballa sulle sfide attuali dei cristiani a Gerusalemme

«L’ottavo sacramento: uso sempre questa espressione per definire il pellegrinaggio in Terra Santa, che, a mio giudizio, fra tutti i pellegrinaggi esistenti, resta un unicum. È infatti un viaggio alle sorgenti della fede che in genere consente, attraverso l’incontro con i luoghi santi, di vedere Gesù sotto una nuova luce, di fare un’esperienza speciale di Lui, un’esperienza che modifica la relazione con il Signore portandola a un livello più profondo». Così esordisce, in questa conversazione con catt.ch e Catholica, l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa: 57 anni, frate minore francescano, custode di Terra Santa per 12 anni, dal 2020 è il Patriarca Latino di Gerusalemme.  Guida  i cattolici di rito latino residenti in Israele, Palestina, Giordania e Cipro. In questa vasta area i cristiani costituiscono l’1% della popolazione: i cattolici sono la metà.

Come descriverebbe la stagione che stanno attualmente vivendo le comunità cattoliche del Patriarcato?

«È una stagione caratterizzata da luci e ombre. Nelle nostre comunità vi sono  giovani che si impegnano con generosità per il bene di tutti e questo è un elemento positivo e incoraggiante. Per contro non mancano i problemi: i cattolici sono pochi, il tasso di natalità è basso, nel vasto territorio del Patriarcato è faticoso tenere unite comunità costituite da piccoli gruppi di fedeli. Inoltre stanno diminuendo i religiosi e le religiose e diventa quindi difficile gestire le molte opere della Chiesa: scuole, ospedali, case di riposo, attività sociali e così via».

I fedeli hanno partecipato con convinzione alla prima fase del sinodo dedicato alla sinodalità?

«Talune parrocchie hanno accolto tiepidamente la consultazione ed è stato faticoso far comprendere il tema della sinodalità. Ma complessivamente la partecipazione è stata buona: convinta e seria. Il bilancio è positivo. Per i movimenti, sempre tentati dall’autoreferenzialità, è stata un’esperienza arricchente: sono riusciti a lavorare insieme scoprendo e valorizzando ciò che hanno in comune. Anche le comunità religiose e i gruppi giovanili hanno fatto un bel cammino».

La pandemia ha bruscamente ridotto i pellegrinaggi in Terra Santa: ora stanno riprendendo?

«Sì. In particolare sono numerosi i gruppi provenienti dagli Stati Uniti e dall’Asia. Le agenzie turistiche segnalano un’ulteriore ripresa a partire da settembre: ne siamo lieti. Il pellegrinaggio in Terra Santa, come dicevo, è un’esperienza straordinaria che rende più salda la relazione con Gesù e lascia un’impronta indelebile nella vita delle persone. Per noi i pellegrinaggi costituiscono anche un sostegno importante perché, come dico sempre, la nostra Chiesa ha due polmoni: i fedeli locali e i pellegrini. Certo, si può vivere anche con solo polmone, ma con due si respira meglio. Inoltre i pellegrinaggi, che generano molteplici occasioni di lavoro, aiutano le nostre comunità dal punto di vista economico».

Come viene vissuta in Terra Santa la guerra in Ucraina?

«Questa guerra non è al centro delle attenzioni, è percepita come una questione europea. Dal punto di vista politico, gran parte della comunità araba, sia musulmana sia cristiana, tende a sostenere maggiormente la Russia, soprattutto in chiave antiamericana. I palestinesi patiscono a causa di questo conflitto poiché, a loro giudizio, la comunità internazionale applica due pesi e due misure: reputa inaccettabile l’aggressione e l’occupazione dell’Ucraina ma non quella della Palestina».

In Terra Santa, da lungo tempo prostrata da tensioni e violenze, la Chiesa svolge una paziente opera di pacificazione. La vostra esperienza può essere d’aiuto alla Chiesa universale.

«Certamente. Il compito della nostra Chiesa è presentare uno stile, mostrare il modo cristiano di stare in mezzo a un conflitto. E questo modo ha alcuni capisaldi: l’impegno a rammendare gli strappi dolorosi e a tessere pazientemente legami buoni e la ferma convinzione che i conflitti si possono superare senza il ricorso alla violenza, che per superarli è necessario riconoscersi gli uni gli altri, che per costruire un futuro di pace è indispensabile purificare la memoria. Finché infatti non si accetterà di rivedere la propria storia, di curare le proprie ferite, di perdonarsi reciprocamente il conflitto non cesserà. Questo nostro modo di abitare il conflitto – che prevede anche il coinvolgimento di quanti, ebrei e musulmani, sia pure con sfumature diverse, si impegnano con dedizione per la pace e la giustizia – è il contributo che possiamo offrire alla Chiesa universale».

Quali iniziative pastorali desidera avviare nel Patriarcato?

Ne menziono una cui tengo particolarmente: la creazione di centri di formazione biblica e teologica in lingua araba per la nostra gente. Esistono già centri di questo tipo in altre lingue, ma non in arabo. È una mancanza grave: non possiamo lamentarci della poca formazione dei fedeli se poi non diamo loro gli strumenti necessari. Il primo centro sorgerà ad Haifa, successivamente ne fonderemo altri in diverse zone del Patriarcato. Coltivo l’idea di queste strutture da molto tempo. A convincermi ulteriormente della loro urgente necessità è stato quanto è accaduto in occasione della Domenica della Parola celebrata lo scorso gennaio. Noi avevamo organizzato in tutte le parrocchie un programma di lettura continua del Nuovo Testamento e la distribuzione di copie del Nuovo Testamento. È stato un successo che non esito a definire incredibile. Basti pensare che vi sono stati padri di famiglia che hanno chiesto le ferie ai datori di lavoro per poter stare a casa e leggere il Vangelo con i figli».

Cristina Uguccioni

A novembre 2022 è previsto un pellegrinaggio dal Ticino in Terra Santa organizzato dall’Opera diocesana pellegrinaggi della Diocesi di Lugano. Info: odplugano@catt.ch

L'arcivescovo Pizzaballa. | © vaticanmedia
21 Agosto 2022 | 07:48
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