Svizzera

Festa dell'Ascensione: il testo dell'omelia di mons. Pierre-Yves Maillard

Pubblichiamo il testo dell’omelia dell’Ascensione della Santa Messa in Eurovisione da Hérémence in Vallese pronunciata da mons. Pierre-Yves Maillard.

L’Ascensione porta con sé parole di immagini, immagini di celebrazione. Alziamo la testa, guardiamo il cielo, ci aspettiamo sempre una promessa. «Il Signore Gesù fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio». Che cos’era questa esperienza degli apostoli? Che ruolo hanno avuto i sensi, che ruolo ha avuto lo spirito? Non lo so. Riconosciamo semplicemente l’umile necessità delle immagini. L’Ascensione è il passaggio da un luogo all’altro; è l’invito al grande passaggio dalla visione alla fede, da ciò che si capisce a ciò che si crede. Per vedere più chiaramente, per credere più intelligentemente, dobbiamo scendere, scendere per salire meglio.

Il racconto dell’Ascensione presenta una doppia partenza. Quella di Gesù, una partenza effettiva, una partenza definitiva. Quaranta giorni dopo la Pasqua, Cristo non è più visibile agli occhi carnali dei suoi discepoli. L’altra partenza è quella degli apostoli: «Quanto a loro, andarono ad annunciare il Vangelo dappertutto». Queste due partenze sono state precipitose? Siamo tentati di pensarlo.

A quanto pare, fu a causa di un’evidente insicurezza, di un’incredulità irrisolta e di una scarsa comprensione di ciò che stava accadendo, che Gesù lasciò i suoi discepoli e li lanciò nell’avventura della missione. Non sarebbe stato più saggio rimanere con loro ancora per un po’, per dar loro una maggiore formazione, per prepararli alle persecuzioni che sarebbero arrivate?

Secondo quale logica Gesù decide di disperdere gli apostoli in un momento in cui la loro fede nella sua risurrezione è ancora agli inizi? Si può maltrattare un neonato? Ma Gesù non la pensava così. È stato un rischio calcolato o una brillante improvvisazione? La domanda non si limita a questi termini. Termini che fanno troppo parte della logica della pianificazione, che terrebbe conto delle percentuali di assicurazione e di rischio, di successo e di fallimento, di vantaggi e di svantaggi.

Abbiamo noi stessi cercato di pianificare la nostra vita in questo modo? No. Ci siamo affidati, come questa mattina, alla dinamica di una promessa. Sulla fede in una vita nuova, su cui la morte non ha potere. Su uno Spirito che deve venire. Il punto di riferimento, per noi come per gli apostoli, è davanti, non dietro. I segni nascono davanti, non dietro. Questa è l’avventura della fede. Questa è stata la nostra scelta. Allora perché l’impulso evangelico rimane così spesso legato alle fragili sicurezze del passato e del presente? Forse perché, troppo naturalmente, i cristiani sono troppo cauti, una cautela che sposa troppo velocemente il cristianesimo con la logica del mondo. Vogliamo garantire il raccolto prima di rischiare la semina. Questa saggezza dei preliminari, che vuole che tutto sia minuziosamente perfezionato prima di fare la scommessa della fede, è un principio evangelico? C’è davvero da chiederselo. Se aspettiamo la perfezione dei riti e del linguaggio, nostro e dei nostri fratelli, prima di fare il grande passo, quando saremo pronti?

Il nostro debole impegno sta insabbiando il mondo. Allora, è possibile scrollarsi di dosso questa abitudine di evangelizzare in cui abbiamo quasi più fretta, come scrive Papa Francesco nella sua prima esortazione «Evangelii Gaudium», di considerare il tabellone di marcia piuttosto che la marcia stessa?

Con la scomparsa di Gesù, tocca a noi; tocca a noi andare in tutto il mondo, tocca a noi essere Cristo, a casa e per gli altri. «Proclamate il Vangelo ovunque»: la missione universale della Chiesa non potrebbe essere espressa più chiaramente. A volte traduciamo: il Vangelo deve coprire la faccia della terra. L’evangelizzazione procederebbe per estensione di un tessuto clericale. Il Vangelo dovrebbe essere diffuso come una notizia. Ma Gesù lascia i suoi discepoli sulla terra e alla terra, con la missione di farla arrivare a Dio, come completamento della propria Pasqua. Come ci ricorda Mons. Lovey nel suo messaggio pasquale, se Gesù «è passato facendo del bene», ora tocca a noi fare del bene per far passare questo mondo in Dio e Dio in questo mondo. Attraverso l’Ascensione, siamo nuovamente inviati sulla terra, nel mondo, e siamo invitati a mettere prima i piedi per terra, come ci piace fare sui nostri sentieri di montagna. Al contrario di una fuga dalla nostra vita, l’Ascensione è una lezione di realismo. Siamo ancora una volta invitati a non librarci nel cielo dei nostri sogni. Terra e cielo si distinguono come nel primo giorno della creazione, ed è la terra che ci viene nuovamente assegnata, donata, non abbandonata.

Alcuni dipinti dell’Ascensione mostrano le impronte dei piedi di Gesù come unica reliquia «scavata» della sua partenza, un apparente raddoppio della sua assenza, come la tomba vuota del mattino di Pasqua, ma anche un segno della nostra vocazione e della sua nuova presenza. Sta a noi dare oggi a questa terra una Parola, che non è solo un’informazione, ma un linguaggio nuovo, un lievito, una speranza nuova, perché il Regno di Dio prenda forma e sorga in mezzo al mondo. Allora l’Ascensione troverà il suo vero significato.

Amen.

9 Maggio 2024 | 11:30
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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