Mons. Giorgio Marengo
Internazionale

Intervista al missionario Giorgio Marengo, il più giovane cardinale creato da Papa Francesco

di Cristina Uguccioni

Attualmente il più giovane membro del collegio cardinalizio è padre Giorgio Marengo, 48 anni, missionario della Consolata, cuneese di origine e torinese di adozione. Creato cardinale da papa Francesco nel concistoro dello scorso agosto, padre Marengo vive dal 2003 in Mongolia, Paese molto vasto abitato da tre milioni di persone in larga maggioranza di religione buddista. I cattolici sono un piccolo gregge: 1’400 persone. Vi sono nove parrocchie, 23 sacerdoti e un gruppo di religiosi e religiose che appartengono a dieci congregazioni. Quest’anno la Chiesa di Mongolia festeggia trent’anni di vita: i primi missionari arrivarono qui nel 1992 su richiesta del governo che aveva appena stabilito relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Padre Marengo ha svolto il proprio ministero nella missione del piccolo centro di Arvaiheer. Poi, nel 2020, è stato nominato vescovo e prefetto apostolico e si è stabilito ad Ulaanbaatar, la capitale, dove vive tutt’ora. In questa conversazione con catt.ch e Catholica riflette sulla sua esperienza in terra d’Asia.

Qual è stato il suo pensiero all’annuncio della nomina a cardinale?

«Questa nomina mi ha colmato di stupore e riconoscenza. La considero espressione dell’attenzione e della cura che papa Francesco riserva alle Chiese piccole e minoritarie presenti nel mondo. L’annuncio è stato accolto con gioia dai cattolici locali e con soddisfazione dallo stato mongolo, i cui rapporti con la Santa Sede hanno avuto il loro culmine in luglio, quando il presidente della Repubblica ha ufficialmente invitato il Papa a visitare la Mongolia». 

Lei ha scritto un volume intitolato «Sussurrare il Vangelo nella terra dell’eterno Cielo blu» (Urbaniana University Press). Perché ha scelto l’immagine del sussurro? 

«L’espressione «sussurrare il Vangelo al cuore dell’Asia» è stata coniata da un vescovo indiano, mons. Thomas Menamparampil: quando anni fa la ascoltai mi colpì molto. Capii che illustrava bene la natura dell’azione missionaria in Mongolia e in Asia. Il sussurro è un simbolo appropriato; infatti rimanda sia alla relazione, poiché si sussurra solo a chi già si conosce, sia al contenuto di ciò che si annuncia, poiché si sussurra Chi è colui che ci invia e che ci tiene in vita: Cristo, il Figlio di Dio, da incontrare nel cuore. L’immagine del sussurro dice di un annuncio ai popoli asiatici – così marcatamente differenti da quelli occidentali – proposto con delicatezza, discrezione, rispetto, umiltà».

Qual è la gioia più grande che ha sperimentato durante questi anni in Mongolia?

«La gioia più grande è poter svolgere il mio ministero in un Paese in cui Cristo è poco conosciuto e poter guidare le persone all’incontro con Lui. Mi commuove sempre molto constatare l’azione del Signore nel cuore delle persone e vedere il loro stupore quando iniziano a conoscere le sue parole, i suoi gesti di liberazione dal male, il suo perdono, la sua morte e risurrezione. Ciò che forse colpisce maggiormente le persone è la misericordia del Signore che rialza dalle cadute e riapre la vita: il sacramento della riconciliazione, qui, è particolarmente amato. Le confessioni durano facilmente anche un’ora. Accompagnare un popolo che non conosce Cristo, sostenere quanti iniziano a seguirlo, esige che si vada all’essenziale della propria fede e anche questa, per me, è una grazia».

Quali opere ha avviato la Chiesa in Mongolia? 

«Nel corso di questi 30 anni la Chiesa ha operato in campo sociale, educativo, sanitario aprendo quattro scuole, tre asili, un ambulatorio medico che garantisce cure gratuite ai più indigenti, un centro di assistenza per i disabili e due istituti che ospitano anziani poveri e soli. Abbiamo anche fondato due centri culturali: uno dedicato alla promozione del dialogo interreligioso, l’altro allo studio del ricco patrimonio culturale mongolo. Nelle singole parrocchie sono stati promossi servizi di doposcuola, corsi di artigianato e diversi progetti caritativi (ad esempio, mense e docce pubbliche)». 

Quali progetti si propone di realizzare nei prossimi anni? 

«Ne segnalo uno che mi sta particolarmente a cuore. Qui nella capitale ho rilevato un immobile lasciato da una congregazione femminile. Confrontandomi con gli altri missionari ho deciso che, dopo una impegnativa ristrutturazione, sarà trasformato in una struttura che provvisoriamente ho chiamato Casa della misericordia: sarà un luogo dove le persone che vivono un momento di grave difficoltà potranno essere ospitate per alcuni giorni e ricevere una prima assistenza (anche sanitaria), dove saranno ascoltate, seguite ed eventualmente indirizzate alle strutture e ai servizi più adatti che sono presenti sul territorio. Mentre ogni altra opera cattolica presente in Mongolia è portata avanti da una singola congregazione, alla organizzazione e alla gestione di questa Casa contribuiranno tutte le congregazioni, coordinate dalla prefettura apostolica».

Cosa ritiene che la giovane Chiesa mongola stia portando in dono alla Chiesa universale? 

«Il suo dono è una sorta di freschezza delle origini, l’allegrezza semplice e grata di persone che hanno appena incontrato Gesù e iniziano a vivere affidandosi a Lui. La bellezza e lo slancio della loro giovane fede, il loro vivere con naturalezza il fatto di essere un piccolo gregge, spero possano sostenere e incoraggiare quelle comunità che, in Occidente, patiscono per essere diventate minoranza, rischiano di ripiegarsi su se stesse e rimpiangono nostalgicamente un passato di grandi numeri che, in realtà, non è né mai è stato la peculiarità del cristianesimo nel mondo».

Mons. Giorgio Marengo
9 Novembre 2022 | 06:28
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