«Il Vangelo è stato scritto per annunziare la redenzione»

Il vangelo di questa II Domenica del tempo ordinario si pone in continuità con quanto abbiamo ascoltato nel giorno dell’Epifania e del Battesimo. La manifestazione del Signore – rivelata alle genti (Magi) a Israele (Giovanni Battista) – trova compimento nella fondazione della Chiesa e nella vocazione alla sequela di Cristo. Il Battista, spesso indicato dai teologi come l’ultimo vero profeta
dell’Antico Testamento, confessa la propria fede in Gesù e profetizza la salvezza della Croce: «Ecco l’Agnello di Dio!» (Gv 1, 36). Questa espressione richiama l’istituzione della Pasqua, così come narrata in Esodo. Nella notte in cui l’angelo passò a fare giustizia dei figli dell’Egitto, Dio ordinò agli Israeliti di immolare ogni anno in quell’occasione un agnello: «Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno; […] allora tutta l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare» (Es 12, 5-7). Ma quell’agnello era solo un’immagine dell’Agnello di Dio, cioè Cristo, della cui essenza divina ci nutriamo nell’Eucarestia.
Interessante analizzare l’altra professione di fede compiuta da san Giovanni Battista che ritroviamo nello stesso vangelo di san Giovanni: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1, 29). Il verbo qui usato – toglie – è in realtà un calco della traduzione latina tollit, che tuttavia letteralmente significa «prendere su di sé». Il testo greco originario usa infatti il
participio ò aìron, che letteralmente significa «colui che solleva». Come non pensare dunque a Gesù che viene sollevato da terra sul legno della Croce? Lo stesso Signore profetizzerà: «Quando sarò sollevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32). Gesù Cristo, nato senza peccato, prende su di sé il peccato del mondo per espiarli (cioè anzitutto il peccato originale, comune a tutti gli uomini, e
secondariamente i peccati personali, che derivano dal primo).
Il vangelo non è stato scritto per raccontare la vita di Gesù, ma per annunziare la redenzione – come suggerisce la parola stessa ›vangelo’, euangelion, cioè ›buona notizia’. Ma per portare una notizia è necessario che vi sia chi la annunci: ecco la Chiesa, che in questo vangelo inizia a prendere forma nella chiamata dei primi discepoli. Andrea e l’altro discepolo, probabilmente lo stesso Giovanni evangelista, non esitano: lasciano tutto e seguono Gesù, tanto da dimorare con lui. Il vangelo si conclude con una profezia di Gesù che riguarda ancora la Chiesa. Andrea, preso dalla gioia, incontra il fratello Simone e lo conduce da Gesù. Ed ecco che il Signore «fissò lo sguardo su di lui» (Gv 1, 42). C’è un gioco di sguardi in questo brano del vangelo. Prima, il Battista aveva fissato lo
sguardo su Gesù e aveva profetizzato. Adesso, Gesù fissa lo sguardo su Simone e profetizza di nuovo: «sarai chiamato Cefa», cioè profetizza l’unità della Chiesa. Bisogna infatti fissare lo sguardo sulla realtà per essere profeti.

Gaetano Masciullo

17 Gennaio 2021 | 07:08
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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