Cristina Vonzun

Intelligenza artificiale, un tema del convegno «Economy of Francesco»

La tecnologia che abita la «galassia digitale» è «un dono di Dio». Ma – secondo papa Francesco – è anche una risorsa dai risvolti complessi, la cui relazione tra «l’apporto propriamente umano e il calcolo automatico» va studiato bene. Le nuove tecnologie, afferma il Papa, non sono «strumenti neutrali» e per la loro stessa natura arrivano a «rendere labili confini finora considerati ben distinguibili: tra materia inorganica e organica, tra reale e virtuale, tra identità stabili ed eventi in continua relazione tra loro». Quanto l’analisi papale sia tutt’altro che frutto di un banale moralismo, lo capiamo dagli esperti. Il professor Paolo Benantidell’Università Gregoriana di Roma, docente di bioetica, neuroscienze ed etiche delle tecnologie, membro della Pontificia Accademia per la Vita e frate francescano, è il relatore principale su questi temi all’Economy of Francesco (vedi spalla). Secondo Benanti «la caratteristica chiave di questa nuova frontiera evolutiva» è che «l’intelligenza artificiale (AI) non serve a fare cose nuove ma è una tecnologia che cambia il modo con cui facciamo tutte le cose. Un po’ come accadde con l’introduzione dell’energia a vapore o della corrente elettrica». L’AI, oltre a surrogare la presenza dell’uomo in vari campi, dà luogo a nuove mutazioni comportamentali e sociali come è sempre accaduto nella storia dallo sviluppo di nuovi artefatti, alla rivoluzione industriale fino alle macchine più complesse. «L’insorgere dell’AI sta già modificando la percezione che abbiamo di noi», basti pensare alla robotica in tutti i campi. È un aspetto del «cambiamento d’epoca» sottolineato dal Papa. Ma, all’osso, di cosa si tratta? Dentro ad un robot, ad un drone e in generale a tutto ciò che a che fare con la galassia digitale ci sono degli algoritmi matematici. Dalla loro complessità e potenza e dalle loro sequenze deriva un’intelligenza artificiale più o meno evoluta. Uno dei grandi problemi oggi è che questi algoritmi «sono protetti dal copyright» – spiega Benanti – quindi la prima posta in gioco etica sarebbe quella di renderli conoscibili. Se, infatti, i copyright rendono gli algoritmi come delle scatole nere, inutile parlare di etica e di conseguenti regole. Poi c’è un secondo aspetto. «La sfida etica nel caso dell’AI – prosegueBenanti –è particolarmente impegnativa perché i valori su cui decide la macchina sono numerici. Allora bisogna creare nuovi paradigmi per trasformare i valori etici in qualcosa che la macchina possa capire», nell’orizzonte del suo linguaggio che è solo matematico. Una strada potrebbe essere quella che Benanti definisce «un’algor-etica», cioè «come l’etica racchiude in sé principi, valutazioni e norme, così l’algor-etica dovrà racchiudere tavole di valori, principi e norme da tradurre in un linguaggio-macchina». Come? «Un modello può essere quello di «insinuare» all’interno della macchina una sorta di incertezza in modo che di fronte ad un dubbio etico la macchina interpellerà colui che dell’etica è portatore, ossia l’uomo, per validare le sue decisioni». Un’altra questione è se questa AI sarà mai in grado di autodeterminarsi e come. «No – ribadisce Bennati – perché la consapevolezza è una qualità umana e richiederebbe un’intelligenza generale e non specifica come quella artificiale. Richiederebbe che fossimo in grado di creare non qualcosa ma qualcuno. Ciò non toglie che dovremmo arrivare ad avere macchine che fanno cose che non riusciamo a spiegare, il cui funzionamento complesso potrebbe superare la nostra capacità di comprensione, ma questo non le renderà certamente persone». Di questo presente rivolto al futuro si parla all’Economy of Francesco, considerando anche un altro aspetto del mondo digitale legato allo sviluppo: se il progresso tecnologico aumenta le disuguaglianze, non è un progresso reale.

Cristina Vonzun

21 Novembre 2020 | 15:42
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