Il vescovo Valerio: Te Deum di gratitudine e gloria.

di Gianni Ballabio

«Sono lieto di salutarvi per l’ultima celebrazione di questo 2019». Così il nostro Vescovo ha accolto i  molti fedeli convenuti in cattedrale nel tardo pomeriggio di martedì 31 dicembre,  per la Santa Messa di fine anno. Ha invitato ad «affidare al Padre i nostri giorni, certi della sua presenza e della sua forza». Con Mons. Lazzeri, assistito da un diacono,  hanno concelebrato diversi presbiteri, in particolare l’arciprete e i canonici di San Lorenzo, i parroci della città e il cerimoniere vescovile. 

Nell’omelia, ricollegandosi al brano del Vangelo di Luca proposto dalla Liturgia, ha fatto immediato riferimento ai pastori che «andarono senza indugio verso  Maria, Giuseppe e il Bambino», avendo poi forte nel cuore «il desiderio di raccontare quel che del bambino era stato detto loro», creando stupore e meraviglia in quanti li udivano.  Questo «intreccio tra parole e fatti non ci lascia indifferenti, mentre si chiude l’anno», ha sottolineato Mons. Lazzeri, perché «ci fa bene, in queste ultime ore, prima del cambio di calendario, respirare in questa atmosfera di comunicazione vera e di pensieri profondi». Infatti «ci rigenera stare fra persone reali che si incontrano, si guardano in faccia, si parlano direttamente», senza temere di «ascoltarsi davvero», proprio come i pastori che «non hanno paura di esprimere con la loro presenza, corporea e non  virtuale, ciò che li ha messi in cammino  e li tiene vivi». Le loro infatti sono parole «vere e concrete, maturate in un percorso di affidamento all’annuncio ascoltato, fra passi obbedienti, compiuti con impegno e costanza nel tempo». Sono parole sgorgate da «occhi che si sono aperti» e da «cuori che si sono lasciati toccare» e poi «se ne tornarono, glorificando  e lodando Dio per tutto quello che avevano visto  e udito, come era stato detto loro», ha sottolineato mons. Lazzeri, facendo riferimento  a un sentimento di sincera meraviglia, dove «non c’è spazio per il rimpianto, la nostalgia, la recriminazione, il risentimento», mentre è viva la possibilità «di guardare altrimenti le vicende del tempo, a partire da Dio che lo ha visitato», donandoci una prospettiva all’infinito. Ne scaturisce l’invito a scuoterci dal «torpore, dalla nebbia dell’indifferenziato grigiore che minaccia costantemente di avvolgerci», aprendo «le orecchie e il cuore» e sentendo che la spinta per cantare il Te Deum  deve «venirci da dentro, dalla rinnovata coscienza figliare, seminata in noi dal Figlio che Dio ha mandato». Vivere questa esperienza di figli «è il radicale motivo per cui ogni anno alla fine possiamo far convergere tutto verso la lode e la glorificazione di Dio», nella «incondizionata speranza che Dio può far nascere in noi oggi e in ogni istante, nelle nostre povere esistenze, la forza di dire sì alla vita, perfino quando tutto vorrebbe obbligarci a restituire il biglietto per la felicità, consegnato a ciascuno il giorno in cui è stato concepito». Così anche se «non è facile continuare a vivere umanamente, rinunciare alla tristezza, al rancore, alla ricerca di un risarcimento a tutti i costi, per i torti subiti, per quello che avremmo voluto e non ci è stato dato», come cristiani  «possiamo anticipare con il canto quello che già è vero nel profondo del nostro cuore», elevando «la voce dei figli che in Cristo scoprono di essere anche eredi», senza «paura del tempo che passa».

Un messaggio intenso che è sfociato, dopo la Comunione,  nel canto del Te Deum, chiara e preziosa tradizione a fine anno. «Come incenso profumato s’elevi la nostra lode, la nostra riconoscenza e la nostra preghiera al Padre» è stato l’invito del Vescovo, mentre il cuore dei presenti ripercorreva, grato e commosso, il cammino compiuto nel corso dell’anno.

Prima della benedizione finale  Mons. Lazzeri ha espresso l’augurio di «un nuovo anno di luce e di pace». Ha ribadito l’invito a «mettersi in cammino come i pastori per contemplare e conoscere la Luce». Ha invitato ad «andare verso il nuovo anno con fiducia e serenità, testimoniando il Vangelo con le nostre opere, prima ancora che con le nostre parole».

1 Gennaio 2020 | 10:24
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