Melchior Kanyamibwa, Corinne Zaugg, Lorenzo Lanni  ed Erwin Tanner, segretario dei vescovi svizzeri, membri insieme a Raphael Pfiffner e al vescovo di San Gallo, Mons. Markus Büchel, della Commissione dell’Apostolato dei Laici Svizzera.
Commento

Una dichiarazione per difendere l'uomo dall'uomo

Si ritrovano ogni due anni da tutte le parti dell’Europa per mettere a fuoco un tema di interesse generale. Al centro dei dibattiti negli anni passati sono stati i giovani, la giustizia, le diversità, il Concilio Vaticano II. Quest’anno sul tavolo della discussione per la cinquantina di rappresentanti del Forum Europeo dei Comitati Nazionali dei Laici riuniti a Lisbona, c’era il tema della Dichiarazione universale dei diritti umani, in occasione del settantesimo anniversario della loro introduzione.

Tutti ne hanno sentito parlare, ma come dimostrano diverse inchieste effettuate tra la gente, grande è la fatica a citarne qualche articolo o ancor di più, di  inserirla nel suo contesto  o ricordare quando è nata.  Quest’anno, potrebbe essere il momento buono per rispolverarla nella nostra memoria e riflettere su quanto ci dice. Infatti il 10 dicembre saranno passati 70 anni dalla sua introduzione,  avvenuta nel 1948 nell’immediato dopoguerra.  Troppi erano stati gli orrori che si erano perpetrati nel corso del primo e del secondo conflitto mondiale per non pensare di mettere nero su bianco dei principi che difendessero l’uomo dall’uomo.

Questo dunque il punto da cui ha preso le mossa Erik Borgman, professore di teologia sistematica presso l ›Università di Tilburg, in Olanda per presentare ai partecipanti del Forum europeo questa dichiarazione che ci arriva da molto lontano, ben oltre a quel 1948 in cui ha visto la luce. 

Come e da dove nasce la Dichiarazione?

Professor Borgman: La «Dichiarazione universale dei diritti umani»,  si stacca da tutti  i testi giuridici che l’hanno preceduta, in quanto riconosce all’uomo dei diritti che gli appartengono per natura. Riconoscere il diritto naturale fa parte della tradizione della Chiesa, non solo di quella cattolica. Non è l’uomo ad aver «inventato» questi diritti. A lui spetta solo il compito di cercarli e, una volta individuati, di riconoscerli. Con la modernità e la progressiva secolarizzazione, questo pensiero ha via via perso terreno, ma la «Dichiarazione» si può capire nel profondo, solo se si conosce il tipo di pensiero religioso che vi sta alla radice. Se, per esempio uno Stato non riconosce la Dichiarazione all’interno dei suoi confini, gli altri Stati non possono dire: «Va bene, allora entro i tuoi confini, questa non ha valore».  Perché se la dignità umana conta, conta sempre, indipendentemente dal fatto che venga politicamente riconosciuta o meno. Questo è quanto è tacitamente sottinteso alla dichiarazione universale dei diritti.

Ma che lingua, o meglio che linguaggio, parla questa dichiarazione? Sappiamo che si tratta di uno dei documenti più tradotti al mondo, ma quello che vorrei sapere è a che genere letterario appartiene il linguaggio che usa: giuridico, politico, religioso?

Professor Borgman: Io direi, al linguaggio delle religioni. Forse non tutti saranno d’accordo con me. Ma il dato religioso in questa dichiarazione è presente proprio nel fatto che riconosce all’uomo una dignità che gli viene, dal solo fatto di esistere.

Concretamente e storicamente stendere questa dichiarazione è stato un lavoro molto impegnativo e difficile per gli uomini e le donne che vi si sono cimentati. Quindi sì, la scelta è caduta su un linguaggio religioso che mai, però, nomina Dio. E questo è stato fatto espressamente in quando se si nomina Dio si escludono le persone che non credono in Dio. E questo assolutamente non doveva accadere. In quanto a tutti gli uomini sono riconosciuti questi doni,  e una e la medesima dignità.  Un linguaggio giuridico non sarebbe riuscito a dare questa profondità. L’universalità della dichiarazione è data proprio da questo tipo di linguaggio ed è per tanto importante mantenerlo, direi.

Lei ha detto che Dio non viene mai nominato. Ma è innegabile che vi siano dei legami tra la Dichiarazione e la Dottrina sociale della Chiesa, che nasce nel 1891 con l’Enciclica di Leone XIII «Rerum Novarum».

Prof. Borgman: Non sarebbe corretto dire che la Dichiarazione sia un prodotto della Dottrina sociale della Chiesa o della Chiesa stessa anche se sia i cattolici che i protestanti vi hanno preso parte. Le influenze certo, sono presenti, ma non si tratta di un «prodotto» delle Chiese. Piuttosto direi che è la dichiarazione ad essere diventata una parte della dottrina sociale della Chiesa. Tradizionalmente i diritti umani non hanno rappresentato un punto di forza per la Chiesa cattolica. Si preferiva affermare che solo la Verità avesse dei diritti, mentre i diritti del singolo venivano un po’ dopo, in secondo piano. Questo oggi è stato modificato. E questo mutamento risale al medesimo momento storico. Dopo la seconda guerra mondiale, dopo la shoa, dopo le profonde ferite inferte all’uomo… alla sua dignità, c’è stata una diversa presa di coscienza anche da parte della Chiesa cattolica che ha imparato che i diritti umani sono qualcosa che anche lei ha da riconoscere prima che da dare …

Lei ritiene che oggi i diritti umani siano particolarmente disattesi e la loro applicazione sia in pericolo?

Prof. Borgman: Direi in pericolo no. Ma questo modo di leggerli ed intenderli non è evidente. Direi che oggi è particolarmente difficile capirli in questo senso perché siamo sempre più convinti che i diritti siano costruzioni e che siamo noi a crearli. Mentre la dichiarazione universale dei diritti umani non può essere intesa in questo modo. Per questo alle volte viene considerata obsoleta e ci si chiede a che cosa possa servire…O al contrario,  viene letta come una serie di obblighi da mettere in pratica. Per cui sì, è in pericolo la sua corretta comprensione. Ed è in pericolo, e lo è sempre stata, perché parla di «universalità». Concretamente, penso alle migrazioni di oggi: quando arrivano delle persone da fuori e noi non le vogliamo,  abbiamo comunque da rispettarli…e questo è difficile. Non li vogliamo e vorremmo che scomparissero, che andassero altrove! Invece la dichiarazione ci ricorda che chiunque ha dei diritti anche se arriva su una barca, anche se non appartiene alla nostra nazione, anche se ha un colore diverso. Il vero problema è che questo ci chiede uno sforzo grande. Preferiamo credere che la dichiarazione sia obsoleta, ingenua, non più attuale.

Anche la Svizzera era presente al Forum con una delegazione di quattro persone (nella foto da sinistra verso destra): Melchior Kanyamibwa, Corinne Zaugg, Lorenzo Lanni  ed Erwin Tanner, segretario dei vescovi svizzeri, membri insieme a Raphael Pfiffner e al vescovo di San Gallo, Mons. Markus Büchel, della Commissione dell’Apostolato dei Laici Svizzera (CSAL)

(Corinne Zaugg)

Melchior Kanyamibwa, Corinne Zaugg, Lorenzo Lanni ed Erwin Tanner, segretario dei vescovi svizzeri, membri insieme a Raphael Pfiffner e al vescovo di San Gallo, Mons. Markus Büchel, della Commissione dell’Apostolato dei Laici Svizzera.
2 Agosto 2018 | 17:00
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