Aiutare i migranti a casa loro?

Certamente l’Europa dovrebbe fare la sua parte e non la fa, mentre l’Italia è lasciata incredibilmente sola ad affrontare il problema degli sbarchi e dell’accoglienza delle migliaia di migranti che varcano il confine dell’Europa e approdano sulle sponde italiane. Così i nostri politici, scoraggiati dal mancato intervento europeo, vanno in Libia a cercare di stipulare accordi di tipo politico che sembrano giusti, ma che si rivelano puntualmente inefficaci.

Si dovrebbe sapere ormai che Tripoli non è la Libia e che dietro al nome Libia c’è un’accozzaglia di tribù che pretendono il potere su quello Stato. La morte di Gheddafi, decisione improvvida oltre che ingiusta, è stata l’inizio di una catena di disgrazie e di conflitti interni di cui ancora oggi noi paghiamo il conto. Non c’è pace in Libia e quindi senza la pace ogni proposta o trattato sulle migrazioni è lettera morta. Ma tant’è, qualcosa bisogna pur fare… anche se non è quello di cui c’è bisogno. Questo perché dimentichiamo due cose importanti.

Cambiare marcia

La prima è che la Libia è in stato di guerra, da molto, troppo tempo, e non se ne vede ancora la fine, per cui è praticamente impossibile mettere attorno a un tavolo i responsabili dei due principali governi ufficiali e quella quindicina di tribù che controllano il vasto territorio del Paese verso il Sahara e che lucrano sul trasporto di chi cerca disperatamente di arrivare in Italia.

Ma c’è un secondo dato di fatto che noi europei dimentichiamo perché è… futuro ed è che tra vent’anni, cioè nello spazio di una generazione – ricorda Romano Prodi –, l’Africa subsahariana aggiungerà alla sua popolazione un miliardo di abitanti, mentre nel frattempo l’Europa ne perderà parecchie decine di milioni. Questo fatto dovrebbe svegliare l’Europa perché prepari un progetto di sviluppo proporzionato alla crescita demografica del continente africano e al rischio che questo comporta. Dimenticando quest’ultimo fatto, sarà impossibile gestire le centinaia di milioni di potenziali immigranti che continueranno a cercare lavoro e libertà fuori del loro continente.

Quello che stiamo facendo è meritorio, soprattutto per il generoso intervento di molte associazioni umanitarie e/o di privati cittadini che alleviano le sofferenze dei migranti, ma è insufficiente, mentre gli aiuti che pensiamo di dare ai governi africani per frenare il flusso migratorio non solo sembrano scarsi ma con molta probabilità e, oserei dire con certezza, non arrivano allo scopo per cui sono dati, ma finiscono nelle tasche dei governanti locali, dei politici e dei burocrati corrotti o inefficienti.

Sacrosanta mi sembra quindi la conclusione cui giunge Romano Prodi: «Per aiutare i cittadini africani in casa loro bisogna perciò cambiare marcia sia dal punto di vista della quantità che della qualità della nostra politica». Ma ora di tutto questo non si vede ancora la realizzazione. Ha ragione il card. Parolin quando afferma che aiutare gli africani a casa loro è un «discorso valido», purché esso si concretizzi, perché, come ha detto mons. Galantino, «se non si dice dove, quando e con quali risorse, non solo [questo discorso] rischia di non bastare ma può anche essere un modo per scrollarsi di dosso le responsabilità» (Corriere della sera, 13 luglio 2017).

Noi, missionari, che lavoriamo in quelle terre, l’abbiamo visto ormai troppe volte: i buoni propositi di contribuire allo sviluppo di quello che una volta si chiamava il terzo mondo, si arenano sul bagnasciuga delle buone intenzioni o nella rete degli interessi privati di chi dichiara di voler aiutare. Troppe volte abbiamo dovuto concludere che non sono le elargizioni di denaro che salvano l’Africa o la fanno decollare verso lo sviluppo.

Condizioni per un futuro migliore

Per promuovere il decollo di un continente come quello africano, che possiede tutte le risorse naturali ma non le capacità tecniche e politiche per provvedere al proprio sviluppo, bisogna anzitutto che sia l’Africa stessa a volerlo; in secondo luogo, che le sia proposto un programma, come lo presenta Prodi, che riguardi «le infrastrutture necessarie a costruire una moderna economia, non solo strade e ferrovie ma nuove reti di telecomunicazione, di produzione e distribuzione dell’energia oltre a moderni e capillari sistemi scolastici e sanitari».

Dice ancora Prodi: «L’efficacia di questi interventi a rete viene resa evidente dal fatto che la buona crescita che si è verificata in una parte dei paesi africani negli scorsi anni è strettamente dipendente dalla diffusione di un sistema capillare di telefoni portatili, promossi soprattutto dalle imprese cinesi».

Un simile programma è sicuramente necessario, ma è altrettanto necessario che «certi signori» tengano le loro mani fuori dall’Africa, e permettano a chi crede davvero nello sviluppo di quel continente di farlo con spirito di solidarietà e nella logica della gratuità, in modo disinteressato e solo preoccupato del bene comune. Di questo spirito per ora non vediamo neppure… gli albori. Vediamo anzi un «assalto alla diligenza» da parte di colossi economici anonimi o di stati, dei quali la Cina è il più evidente e sfacciato, non unico, esemplare, che stanno saccheggiando il continente africano.

La cosa seria e grave è che se noi non provvederemo a tempo, andremo dritti verso un peggioramento dell’attuale situazione dell’Africa e verso una «una tragedia» che inevitabilmente renderà più insicuro e drammatico anche il futuro del nostro continente.

(Settimana News)

19 Luglio 2017 | 17:18
Tempo di lettura: ca. 3 min.
migranti (422)
Condividere questo articolo!