Se gli «altri» sono semplicemente «nessuno»

di Paolo Merlo
unimondo.org – 2 febbraio 2017

E’ molto interessante affrontare la questione «immigrazione» da un punto di vi­sta storico, provando ad analizzare la storia degli spostamenti umani di massa… «Quando le persone si muovono…» è il titolo di questa serie di articoli sull’immigrazione, quindi cominciamo da quando le persone si sono mosse…
Senza andare troppo indietro, per non dare l’idea di voler dare la colpa delle immigrazioni ai Fenici (abitanti del Libano di qualche migliaio di anni fa) o ai Greci o agli Egiziani o ai Romani o, altrove, ai Vichinghi…
Certo che se cominciamo almeno dalla scoperta dell’America, ci dovremmo sentire qualche piccolo rimorso di coscienza, visto che «noi europei» (in ordine sparso inglesi, francesi, spagnoli, italiani si sono contraddistinti in questo eso­do) abbiamo scoperto e creato gli Stati Uniti d’America, ma abbiamo anche «civilizzato» gli indiani pellerossa, abbiamo distrutto popoli come i Maya e gli Aztechi, distrutto o quasi gli indios centro- e sud-americani, per non parlare degli aborigeni australiani…
Andando in giro per il mondo, i neo-americani, tra il 1492 e il 1550 passa solo mezzo secolo, appunto intorno alla metà del sedicesimo, e per un periodo di trecento anni, fino al 1855, hanno deportato nel Nord-America oltre 11 milioni di africani, da sfruttare nelle piantagioni di cotone, o nelle miniere, o nella corsa all’oro ed al servizio totale dei bianchi. Da questo «movimento» è nato il vocabolo «negrieri», che erano coloro che portavano sulle loro imbarca­zioni i «negri», prelevati sulle coste atlantiche africane, fino ai porti dell’Atlanti­co nordamericano…
Tra il 1849 e il 1855 si tiene a Berlino una importante Conferenza sul Congo, a cui partecipano personaggi del livello di Otto von Bismarck. Il titolo di questo incontro parla del Congo, ma in realtà la nuova politica, che si aprirà con l’affi­damento di questo paese al re del Belgio, segna di fatto, l’inizio della «colo­nizzazione» europea, con la presa di sovranità di intere nazioni, considerate «di nessuno», come se i loro abitanti fossero «nessuno».
Si vede così la corsa all’accaparramento dei territori da parte dei francesi nel nord-Africa, nell’Africa Occidentale e Centrale, ma anche Gibuti, enclave fran­cofona nel Corno d’Africa, e parte della Tanzania, lasciata poi a tedeschi ed in­glesi. Abbiamo poi l’Africa sub-sahariana a sud dell’Egitto, dominata dagli in­glesi nel Sudan (una volta denominato «anglo-egiziano»), e a sud nell’Uganda ed in altre aree. Il Belgio ha posseduto e sfruttato il Congo fino agli anni ›60. Il Portogallo ha tenuto Angola, Guinea Bissau, Capo Verde e Mozambico, mentre i «Boeri» olandesi hanno dominato il Sud Africa con la politica dell’»apartheid».
L’Italia, che in parte si è distinta per una colonizzazione «morbida» ed educatri­ce, ha dominato l’area ad est del Sudan: Eritrea, Etiopia e Somalia, in cui ha lasciato qualcosa di buono (costruzioni, dighe, ferrovie) e molta cultura.
Poi siamo andati in «missione di pace» in Somalia, negli anni ›90, ed abbiamo fatto quello che non avevamo fatto di male prima, ma questo non fa più parte del colonialismo, anche se spiega molte cose…
Nella maggioranza dei casi, negli anni tra il 1948 e il 1960, gli eserciti europei se ne sono tornati in Europa ed ai popoli africani è stata lasciata la possibilità di eleggere governi autonomi e darsi un’indipendenza.
Forse per un eccesso di democrazia, più probabilmente per salvare gli interessi economici di ogni singolo paese colonizzatore, si sono volute imporre leggi e regolamentazioni di tipo occidentale, adatte all’Europa ed ai suoi «mercati» ma sicuramente molto meno ai paesi che mai avevano avuto la democrazia, alme­no nel senso che intendiamo noi europei. Si sono quindi preparati, soprattutto in Europa, personaggi «politici» che, dopo una formazione umanistica e politica di tipo occidentale, ma non sociologica e soprattutto non aderente alle realtà locali, sono stati spinti al potere con appoggi economici di ogni genere e, quan­do non bastava, con appoggi militari come quello francese in Algeria, e quello belga in Congo (con l’aiuto anche italiano, se ricordiamo i caduti di Kindu).
Al potere della colonizzazione civile e militare si è sostituito il potere della colonizzazione economica e della corruzione generalizzata al fine di favorire sempre le economie dei paesi che si autodefiniscono «ex-colonizzatori».
Può far bene ricordare agli italiani che lo abbiano dimenticato (abbiamo noto­riamente memoria cortissima per quanto riguarda la politica italiana, figuria­moci di quella internazionale!) la cacciata degli italiani dalla Libia alla fine degli anni ›60 e successivi.
Se aggiungiamo i comportamenti pieni di arroganza tipicamente occidentale di alcune ONG, i cui rappresentanti guadagnano cifre da capogiro e danno esempi quanto meno assai poco edificanti in rapporto all’ambiente ed alle tradizioni in cui vivono, ecco che si giustificano le espulsioni richieste ormai da molti paesi di queste organizzazioni.
Un esempio per tutti. L’Uganda, ma non solo, si sta ribellando a FAO (Food and Agriculture Organization) e WFP (World Food Programme), che lavorano en­trambe sotto l’egida dell’ONU, perché le continue «donazioni» di riso e grano e zucchero sono diventate una «concorrenza sleale» nei confronti degli agricoltori che lavorano i terreni e producono questi prodotti a prezzi commerciali e non li possono vendere.
La lungimiranza politica ed economica non fa parte del corredo della classe dirigente che governa oggi il mondo.

6 Marzo 2017 | 18:00
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