Il Card. D’Rozario parla della testimonianza dei cattolici in Bangladesh

«Non è necessario mettere molto sale. Bastano pochi grani e il riso diventa saporito». La metafora evangelica del sale che dà gusto alla vita a cominciare anche al semplice piatto di riso, l’alimento base soprattutto per tanta povera gente, calza a pennello per spiegare il ruolo sociale della Chiesa cattolica in Bangladesh. A parlare è Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dhaka e primo cardinale del Paese asiatico, una tra le nazioni più densamente popolate del mondo e con un elevato tasso di povertà. Un paese di 160 milioni abitanti principalmente di tradizione musulmana in cui i cristiani sono una piccola minoranza, circa 600.000, di cui solo 350.000 cattolici. Probabilmente «il Papa ha voluto trasmettere alla Chiesa universale la ricchezza della Chiesa locale del Bangladesh», dice D’Rozario tradendo ancora i sentimenti di sorpresa e gratitudine per la porpora ricevuta dal Pontefice nel concistoro del 19 novembre scorso.
In una intervista all’agenzia Églises d’Asie parla appunto dell’impegno della piccola comunità cattolica, una comunità dalle caratteristiche molto particolari — «il 60 per cento dei cattolici appartengono alla popolazione tribale, gli aborigeni, che sono anche una piccola minoranza all’interno della comunità bengalese del Bangladesh» — e dell’apporto che essa è chiamata a dare alla costruzione di un clima di pace in un paese recentemente scosso da attacchi terroristici e da tensioni tra le diverse comunità religiose. Un paese, sottolinea il porporato, che auspica e spera ardentemente di poter ricevere in un futuro non molto lontano la visita di Francesco.
Pur con le sue dimensioni modeste, dunque, «la nostra comunità cristiana è molto dinamica e attiva in tutto il paese. Il nostro ruolo sociale — spiega — è come il sale. Spesso cito l’esempio di un piatto di riso: non è necessario mettere tanto sale. E questo è il modo in cui lavoriamo». Tanti sono perciò i campi d’azione: dalla sanità all’istruzione, dalle attività di beneficenza e quelle socio-economiche, in particolare attraverso il movimento dei sindacati cristiani. Soprattutto, però, aggiunge, «abbiamo anche un ruolo importante nel dialogo interreligioso, favorendo un dialogo con azioni concrete, oltre che sulle questioni spirituali. Tra il 70 e l’80 per cento di coloro che lavorano nelle nostre istituzioni appartengono ad altre religioni». Una sottolineatura non secondaria se si considerano le tensioni che attraversano il Paese soprattutto dopo i due gravi attentati terroristici del luglio scorso — quello in un caffè della capitale, in cui vennero uccise 22 persone, tra cui 18 stranieri, e quello di Kishoreganj, in cui venne presa di mira la locale comunità musulmana che celebrava la fine del ramadan —. «Ritengo che nessuno di questi attacchi faccia parte della cultura del Bangladesh: sono attacchi «stranieri», nel senso che non hanno radici nella realtà del Bangladesh. Questi terroristi hanno motivazioni politiche e usano la religione per destabilizzare il governo e il potere. Non è il fondamentalismo religioso, ma un progetto politico che usa la religione». Tuttavia, osserva, «Dio scrive diritto su righe storte: dopo tutti questi tragici eventi, delle cose buone sono accadute, con delle prese di posizione molto forti contro il terrorismo. Tutti i leader religiosi, musulmani, buddisti, cristiani o indù si sono riuniti e hanno discusso insieme di religione. C’è una reale presa di coscienza che attraversa tutto il paese, e questo insieme ai musulmani che sono il 90 per cento della popolazione. Da tutto questo male è venuto fuori qualcosa di positivo. La nostra identità culturale è forte ed è un ricco patrimonio di armonia religiosa che sperimentiamo ogni giorno».
Infatti, sottolinea, «deve essere chiaro che questi atti terroristici sono commessi da un piccolo numero di persone e non ricevono alcun sostegno da parte della popolazione musulmana del Bangladesh». In questa prospettiva, assicura il porporato, la Chiesa è impegnata ad approfondire la collaborazione con le istituzioni civili. «Ho chiesto la possibilità di una interazione tra il governo e tutti i vescovi e i rappresentanti cattolici del Bangladesh alla fine del prossimo gennaio per discutere di libertà religiosa, di libertà delle nostre istituzioni educative e di libertà delle popolazioni indigene».

(Il Sismografo)

29 Dicembre 2016 | 10:50
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