Ticino e Grigionitaliano

Voci in ambito ecclesiale sull’impatto delle notizie sui casi di abusi nella Chiesa: mettere a tema il dialogo, superare idee riduttive di sessualità

di Cristina Vonzun

«Diciamo che cambia tutto quando si incontra una persona vittima di abusi», ci confida don Italo Molinaro, parroco del Sacro Cuore a Lugano. Non è infatti scontato capire l’entità del problema se lo si guarda da lontano. Abbiamo voluto dare spazio in questa paginetta a tre sguardi: un parroco, la presidente dell’Azione cattolica e un giovane. Per don Italo, diventa opportuno in questo tempo affrontare un grande lavoro di sensibilizzazione per evitare che ci sia il rischio che quanto accaduto venga inconsapevolmente sottovalutato. «Dobbiamo creare sicuramente occasioni di ascolto delle vittime», «favorendo la crescita di una cultura dell’empatia, del prendersi cura del prossimo, che al momento non è scontata neppure tra i preti e tra i preti e i fedeli», conclude don Italo.

Lara Allegri, presidente dell’Azione cattolica ticinese, di professione è operatrice nel settore sanitario in Ticino e nei Grigioni. Alla Allegri chiediamo una sua reazione sulle ragioni che potrebbero esserci dietro al silenzio delle vittime in Ticino, che gli esperti di Zurigo evidenziano oltre alla nota distruzione dei documenti. «Mi sono convertita al cristianesimo e sono diventata cattolica da giovane adulta, negli anni ’90, quindi non so se in passato nelle parrocchie o nelle strutture ecclesiali dove sono stata, ci fosse un comportamento di omissione. Io non l’ho mai percepito. Quello però che ho percepito fin da subito è stato un certo tabù della sessualità nella Chiesa. Anche quello di una sessualità sana, di una sessualità vissuta come dono. E qui vedo un pericolo: il rischio che questo tabù inibisca sia le vittime dal voler dire cosa è successo, perché sono abituate ad interpretare tutto quello che ha a che fare con la sessualità nella categoria di peccato/vergogna; quindi, temi e fatti di cui in Chiesa non si può parlare. Dall’altra parte, questo tabù rischia di inibire anche il prete o il laico a chiedere aiuto quando capisce di non riuscire più a gestirsi nel campo della sessualità». Lara Allegri non vuole generalizzare, ma ha comunque vissuto esperienze sul tema sessualità in ambito ecclesiale che l’hanno interrogata e che in questo momento riaffiorano. «Mi ricordo che mi parlavano della santità come dominio dell’istinto. Ma l’istinto ci appartiene, dobbiamo sapere come vivere il nostro corpo, sappiamo bene che una parte della stessa sessualità in noi è istintiva. Quando ho seguito con mio marito il corso per fidanzati, a fine anni ’90, la formazione affrontava il tema della sessualità esclusivamente dal punto di vista della procreazione, con la proposta del metodo di controllo naturale delle nascite. Cose giuste, ma non sufficienti; l’accento non era sul valore della sessualità nel rapporto di coppia». Oggi – per Lara Allegri – è importante in parrocchia «normalizzare» il tema della sessualità, sdoganarlo, ripulirlo da preconcetti del passato. Il vescovo Alain, sottolineava su catholica, una settimana fa, non solo il tabù della sessualità tra le cause degli abusi ma anche il pericolo di divinizzare il prete, perché l’abuso sessuale ai giorni nostri può essere conseguenza di un abuso spirituale. «Un maggior coinvolgimento dei laici può essere sia di supporto al prete che così non diventa l’unica figura di riferimento – continua Lara Allegri – e d’altronde è anche un aiuto «protettivo» per lui, nel senso che lo sguardo del laico accanto, che cammina con te prete, ti apre ad altre prospettive: non decidi più tutto da solo ma puoi condividere. La varietà di doni dei laici e delle laiche non può che essere di aiuto, si pensi alle coppie sposate ma anche a chi ha fallito nella sua unione e porta un’esperienza grande». Riguardo all’accoglienza delle persone vittime, Lara conclude: «Come Azione Cattolica dovremo sensibilizzarci e formarci maggiormente sul tema, per abbattere il tabù, in modo di poter accogliere, ascoltare e accompagnare le persone che chiedono aiuto, e allo stesso tempo poter individuare ed intervenire in caso di presunti comportamenti non idonei».

Lo studio di Zurigo è «il passo giusto per ritrovare la bellezza della Chiesa»

«La Chiesa che ho visto alla Giornata mondiale della Gioventù (GMG) di Lisbona è la stessa Chiesa che vedo in Ticino. Sono le stesse persone che la formano, cioè noi, e il fatto di constatare il marciume che c’è all’interno dopo quello che è emerso in queste settimane, scandalizza e spaventa, però allo stesso tempo mi dà maggiore fiducia il fatto che finalmente si stia compiendo un passo avanti per combattere concretamente questa piaga, della quale da anni si parla». Dennis Pellegrini, giovane della diocesi di Lugano, docente di religione e autore di una tesi di Master proprio sulla «prevenzione agli abusi», reagisce così all’uscita del rapporto svizzero sugli abusi nella Chiesa.

Dennis, come si pone di fronte a questo dramma?

Sono fatti e dunque è inutile negarli. I casi ci sono e sono tanti: a livello di percentuale siamo comunque in linea con gli altri Paesi. Sono dati che lasciano sconcertati perché pensiamo che la Chiesa deve essere Madre, ovvero una realtà che difende i bambini e le persone, secondo l’esempio del Maestro.

Gli esperti di Zurigo denunciano una «cultura del silenzio» che per decenni non avrebbe favorito la comunicazione di abusi nella diocesi di Lugano. Cosa ne pensa?

Credo che questa cultura sia un errore gravissimo. La paura di rovinare l’immagine della Chiesa ha prevalso su tutto, ma questo atteggiamento ha peggiorato la situazione perché tanti fedeli sono rimasti ancora più delusi dall’insabbiamento e dal voler nascondere i casi di abusi. Lo studio rappresenta un atto di trasparenza che dà la possibilità di avere maggior fiducia nella Chiesa, oltre quel silenzio. Certo, l’immagine è rovinata, ma se se si vuole andare avanti e se si vuole ritrovare la bellezza della Chiesa, questo è il passo giusto da fare.

25 Settembre 2023 | 14:10
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