Ticino e Grigionitaliano

VI Domenica del Tempo Ordinario. Commenti al Vangelo

VI Domenica del Tempo Ordinario: Lc 6,17.20-26.

La sesta domenica del Tempo Ordinario è l’occasione per don Willy Volonté di riflettere sul nostro tempo. La pandemia che ci ha sconvolto, ha messo in evidenza la fragilità della condizione umana e l’arroganza della scienza, che pensava di controllare tutto e si è ritrovata come chi abbraccia l’acqua nel tentativo di trattenerla. Le letture ci aiutano a recuperare parole antiche, come Provvidenza, Affidamento, Riconoscimento della vanità delle nostre pretese. I due versanti dell’atteggiamento umano e della risposta di Dio sono ben descritti nella prima lettura e nel salmo. Il profeta Geremia infatti esordisce con una maledizione: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno», che vuole dire con parole forse non appartenenti alla nostra sensibilità, che chi si affida all’uomo rischia di andare in rovina, perché fonda la sua certezza sull’argilla di cui siamo fatti. Nel Salmo 1, invece, ecco il destino di chi confida nel Signore: «È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene».

Questo tempo è un’occasione straordinaria per ritrovare il nostro fondamento, il luogo dove possiamo trovare l’acqua che ci fa crescere e germogliare, il terreno che ci feconda.

Non sono queste parole di disprezzo per l’uomo, ma realistiche considerazioni sulla nostra fragilità e arroganza, che ci illude di un potere che non abbiamo affatto. Tutti gli scienziati consapevoli e umili, sanno che la conoscenza dell’uomo e dei misteri della natura è sempre solo un barlume, mentre sono molte di più le cose che non sappiamo. Affidarci al Signore, ci aiuta soprattutto a sperare di poter essere rinnovati profondamente nella nostra identità, paradossalmente proprio riconoscendo che non siamo noi a poterci fare da noi stessi, ma è l’incontro con il Signore a rivelarci quello a cui siamo chiamati, le radici nell’acqua viva della sua grazia, il capo rivolto alla luce che ci illumina.

Dante Balbo, dalla Rubrica Il Respiro spirituale di Caritas Ticino, in onda su TeleTicino e su YouTube.


Domenica VI dopo l’Epifania: Luca 7, 11-19

Nel viaggio verso Gerusalemme, Gesù sceglie di passare attraverso il territorio dei Samaritani, terra non ospitale per i Giudei. Quando aveva inviato i suoi discepoli associandoli alla sua missione, aveva loro ordinato di non entrare nelle città dei Samaritani (Mt 10,5). Lui, invece, ci entra, sceglie di passare per quelle terre consapevole che non vi troverà buona accoglienza. L’incontro, a distanza, con i dieci lebbrosi si colloca proprio in terra samaritana. Anche in questo caso, come nella pagina di domenica scorsa, basta una parola di Gesù affinché i dieci siano guariti. Fin qui solo un gesto di guarigione: Gesù ne ha compiuti tanti. Ma qui c’è una conclusione fortemente provocatoria. Dei dieci guariti uno solo torna indietro per ringraziare il suo guaritore e Luca annota, ripeto provocatoriamente: «era un Samaritano». Gesù stesso osserva che solo uno straniero aveva sentito il bisogno di ringraziare. Due conclusioni da questa pagina che ho detto provocatoria.

Ringraziare è consapevolezza di quanto dobbiamo esser riconoscenti verso quanti, e non sono pochi, ci aiutano ad essere noi stessi. Quello che siamo, a cominciare dal dono della vita, lo dobbiamo ad altri. Impariamo allora a dar voce, frequente, alla gratitudine.

È un modo per riconoscere che proprio grazie ad altri siamo quelli che siamo. La seconda conclusione è meno tranquilla, soprattutto in questi nostri anni che ci mettono ogni giorno di fronte agli «stranieri». Proprio uno straniero, proprio un Samaritano, è modello di gratitudine. In tutto questo c’è una forte carica di provocazione per noi che, troppe volte, consideriamo lo straniero come un potenziale pericolo. Ma se anche in lui, come non raramente accade, brilla un lampo di gratitudine e di umanità vuol dire che dobbiamo arginare il pregiudizio che istintivamente e spesso a torto genera in noi ostilità e rifiuto. Impariamo, almeno, a non fare d’ogni erba un fascio. Nel fascio d’erba non c’è solo zizzania, ci può essere anche buon grano.

Don Giuseppe Grampa

13 Febbraio 2022 | 06:00
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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