Unicef: niente pace per 3 bambini su 4 in Sud Sudan

Il Sud Sudan compie sette anni ma dall’indipendenza ad oggi sono 19 mila i bambini utilizzati dai gruppi armati. Tre bambini su quattro nati in questi anni non hanno conosciuto altro che guerra. È quanto denuncia l’Unicef in vista del 9 luglio, anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan. «Sebbene dall’inizio dell’anno siano stati rilasciati 800 bambini da gruppi armati, si stima che 19mila bambini continuino ad essere utilizzati come combattenti, cuochi e messaggeri e a subire abusi sessuali – spiega l’organizzazione -, rispetto ai 500 bambini utilizzati quando è scoppiato il conflitto nel 2013».

Senza cibo né studio

E se nel 2014 in 35 su 100 non sapevano da dove sarebbe arrivato il pasto successivo, la percentuale è salita adesso al 60, «con alcune aree del Paese – si legge nel comunicato – a un passo dalla carestia, soprattutto durante la stagione secca». I tassi di malnutrizione «sono a livelli critici. Più di 1 milione di bambini sono malnutriti, 300 mila dei quali sono gravemente malnutriti e a rischio di morte». Ovviamente una nazione in guerra si mangia sempre il futuro dei suoi figli. Perché, prosegue l’Unicef, «il conflitto ha anche spinto centinaia di migliaia di bambini fuori dalla scuola, con una scuola su tre danneggiata, distrutta, occupata o chiusa dal 2013». In altre parole, «più dii 2 milioni di bambini – o più del 70% di coloro che dovrebbero frequentare le lezioni – non ricevono un’istruzione».

Una situazione estremamente fragile

Dall’inizio del conflitto, nel 2013, anche la macchina degli aiuti umanitari ha subito perdite. Sono stati uccisi più di 100 operatori umanitari, spiega l’organizzazione, tra cui un autista dell’Unicef proprio la scorsa settimana. La nascita del paese più giovane del mondo, inoltre, ha dato il via a un massiccio ritorno dei rifugiati nella loro nuova nazione indipendente. Tuttavia, dall’inizio del conflitto nel 2013, più di 2,5 milioni di persone (tra cui oltre 1 milione di bambini) sono nuovamente fuggite dai combattimenti nel Sudan meridionale per cercare sicurezza nei paesi vicini.

Accordi troppo fragili

Intanto sui media rimbalzano il commento all’accordo firmato il 27 giugno a Khartoum dal Presidente sud sudanese Salva Kiir e dall’ex Vice Presidente Riek Macha. «Per valutare la bontà di ogni accordo di pace il primo criterio è il rispetto del cessate il fuoco. Purtroppo questo è stato immediatamente violato e i combattimenti, sia pure sporadici, non sono mai cessati» dicono all’Agenzia Fides fonti locali da Juba. L’accordo prevede un cessate il fuoco che avrebbe dovuto entrare in vigore il 30 giugno, la creazione di un corridoio umanitario per assistere i rifugiati, il ritiro delle rispettive truppe dai vari fronti sparsi nel Paese, la formazione di un Governo transitorio e la ripresa della produzione petrolifera.
«In realtà diversi commentatori locali hanno da subito espresso perplessità sull’intesa del 27 giugno» affermano delle fonti a Fides, che hanno chiesto l’anonimato per motivi di sicurezza. «Inoltre una delle clausole principali dell’accordo riguarda la riattivazione dei pozzi di petrolio, dei quali circa la metà sono ancora operanti dopo lo scoppio della guerra civile nel dicembre 2013. Diversi sud-sudanesi si domandano perché in un accordo di pace si debba parlare del petrolio, ritenendo che la questione vada affrontata dopo che la situazione si sia stabilizzata. Il sospetto quindi è che questo accordo, sponsorizzato dagli Stati confinanti, e firmato alla presenza del Presidente ugandese, miri più ad una spartizione del potere e delle risorse petrolifere che non a riportare una vera pace a favore della popolazione».

L’incoraggiamento delle Chiese

Le chiese hanno ripetutamente spinto per il cessate il fuoco e garantire così un accesso umanitario nelle zone di conflitto. I gruppi religiosi hanno continuato a offrire aiuti di soccorso e assistenza pastorale alle comunità colpite dalla guerra.

Nonostante tutto, le chiese sud sudanesi hanno dunque accolto con favore la firma di un accordo di cessate il fuoco permanente da parte dei principali rivali, pur ammonendo che molti altri patti di questo tipo sono stati disonorati in passato.

Agenzie/red

9 Luglio 2018 | 11:00
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