Il Pastore Stefano D'Archino
Ticino e Grigionitaliano

Un ecumenismo in Ticino da rilanciare dopo la pandemia

di Gino Driussi

Lo scorso 14 maggio, il Sinodo (nel senso per i riformati di «parlamento») della Chiesa evangelica riformata nel Ticino, riunito a Lugano, ha eletto presidente del Consiglio sinodale (l’esecutivo) il pastore Stefano D’Archino, che succede al pastore Tobias Ulbrich, rimasto in carica negli ultimi 12 anni. Nato a Roma 61 anni fa, divorziato, padre di due figli, D’Archino ha studiato teologia alla Facoltà valdese di Roma e matematica alla Sapienza, sempre nella capitale italiana, e ha lavorato come informatico. Quando è stato possibile, ha ripreso la sua vocazione con funzioni pastorali nella Chiesa valdese in Italia. Dal 2002 al 2018 è stato pastore in Bregaglia per la Chiesa riformata grigionese, in cui è stato ordinato. Da inizio 2019 è pastore della comunità di Bellinzona e dintorni della Chiesa evangelica riformata nel Ticino (CERT).

Pastore D’Archino, come ha accolto la sua nomina a presidente del Consiglio sinodale della CERT?

Sono stato molto onorato per la fiducia e per gli apprezzamenti che mi sono stati dimostrati, nel contempo però ho accolto l’elezione con una certa preoccupazione, visti i tanti impegni che si sommano a quelli di pastore nella mia comunità.

Pastore D’Archino, i protestanti in Ticino sono una minoranza che si va assottigliando (attualmente costituiscono poco meno del 4 per cento della popolazione). La sua Chiesa, come peraltro quella cattolica, vede diminuire il numero dei suoi fedeli e subisce il cosiddetto fenomeno della secolarizzazione, particolarmente diffuso in tutto l’Occidente. Questo la preoccupa?

Non particolarmente. La fede in Gesù Cristo, che è Signore anche del domani e capo della Chiesa, non solo assicura che la sua Chiesa non avrà mai fine, ma direi che non ci autorizza a preoccuparci. Certamente le Chiese di oggi si dovranno trasformare in una società che a sua volta si trasforma, anzi dalla Riforma protestante abbiamo imparato che dobbiamo sempre essere «in riforma». Inoltre sono abituato a Chiese di piccoli numeri e di forte diaspora, per cui non mi spaventa essere minoranza, però occorre avere una certa «massa critica» per poter svolgere le varie attività della Chiesa e questa cercheremo di mantenerla. La secolarizzazione non è un fenomeno nuovo e vedo, magari quando parlo di scienza e fede, che c’è comunque sempre un forte interesse per la spiritualità, meno per la Chiesa come istituzione. Ciò porta con sé anche una minore ricerca di vita comunitaria, ma è un fenomeno di tutta la società in atto da tempo, anche prima della pandemia, che forse lo ha accelerato. Le Chiese però non possono demordere nel «fare comunità», perché la Chiesa è una comunità e non si è cristiani completi vivendo come singoli.  

Per attirare nuovamente i fedeli, soprattutto i giovani, serve secondo lei una «nuova evangelizzazione»? E se sì, di che tipo?

L’espressione «nuova evangelizzazione» non mi appartiene. In ogni situazione e tempo, quando parliamo del lieto messaggio di salvezza di Gesù Cristo facciamo evangelizzazione, ogni epoca poi ha le sue caratteristiche e l’essere sempre «in riforma» si riferisce proprio a trovare modi aderenti ai tempi per annunciare l’Evangelo. Ad evangelizzare però non è un cristiano da solo, anche se è pastore. Anche se all’inizio ci sarà un contatto personale, sarà la comunità che evangelizza, che invita a conoscere Gesù Cristo. Forse questo aspetto dovremo ritrovarlo. Prima dicevo dell’interesse alla spiritualità, che hanno specialmente i giovani, insieme ad un’indipendenza di giudizio e spesso con meno preconcetti. Penso che dobbiamo essere oltremodo onesti con loro, riconoscendo anche i possibili errori, e parlare di ciò che del messaggio di Gesù è essenziale per la loro vita. Infine non dobbiamo aver timore dei cambiamenti, lo Spirito soffia, dà una pluralità di doni e apre infine nuove prospettive.  

Quali priorità intende dare alla sua presidenza della CERT?

Dal punto di vista interno penso sia prioritario incrementare l’essere comunità, la comunicazione e la comunione fra le nostre chiese locali, come pure la nostra visibilità. 

Lei ha sempre dimostrato un grande interesse per l’ecumenismo. Come valuta le relazioni in Ticino tra la Chiesa cattolica romana – nettamente maggioritaria – e la Chiesa evangelica riformata, le due Chiese riconosciute dal Cantone come corporazioni di diritto pubblico?

A vari livelli abbiamo ottimi rapporti con molti membri e presbiteri della Chiesa cattolica romana. Con altri molto meno. Alcuni sembrano ignorare chi siamo. Come lei ha ricordato, siamo una Chiesa riconosciuta dal Cantone, ma taluni ci confondono con altre religiosità. È qualcosa che si supera non appena riusciamo a spiegare chi siamo, ma sembra alle volte di dover iniziare da capo nei rapporti ecumenici.

In quali ambiti secondo lei queste due Chiese potrebbero collaborare di più?

Intanto, mi piacerebbe riprendere con rinnovata presenza le svariate attività ecumeniche pre-pandemia. Poi avrei un auspicio, quello di poter dire il messaggio cristiano a livello pubblico insieme, pur con tutte le differenze, anzi proprio grazie a queste. Poter dire dinnanzi a questa società complessa e preoccupata che noi come cristiani abbiamo un messaggio di speranza e di vita autentica, che decliniamo in modi differenti, che a volte ci fanno ancora accapigliare, ma che ha la sua base nel nostro Salvatore. 

In Ticino vi sono altre Chiese minoritarie, la maggior parte delle quali aderiscono alla Comunità di lavoro della Chiese cristiane nel Cantone. Come valuta, se c’è, la vostra collaborazione con queste Chiese?

La Comunità di lavoro svolge un ruolo indispensabile, che favorisce una buona collaborazione e che valuto preziosa. Infatti, estende la conoscenza concreta e non solo teorica di altre confessioni cristiane, e già solo questo è un grande arricchimento, permettendoci di avere per quanto possibile una visione più globale della Chiesa di Cristo nel mondo.  

Vorrei concludere con un tema di tristissima attualità, cioè la guerra in Ucraina. Infatti, nella sessione del Sinodo che l’ha eletta alla presidenza è stata approvata una mozione in merito alla posizione del patriarca della Chiesa ortodossa russa Kirill sul conflitto ucraino, con una richiesta ben precisa che avete inoltrato alla Chiesa evangelica riformata in Svizzera. In che cosa consiste questa richiesta?

Penso che leggendo quanto riportato dalla stampa e predicato dal patriarca di Mosca, molti cristiani si siano sentiti colpiti in quanto cristiani. In più, come Chiese riformate siamo nel Consiglio ecumenico delle Chiese al pari e insieme alla Chiesa ortodossa russa. Ancor di più dunque le sue affermazioni ci coinvolgono. «Ecco, i cristiani – potrebbe dire qualcuno – sono di nuovo a benedire le baionette». Ho presentato allora una mozione, poi approvata con piccole modifiche, che chiede alla nostra Chiesa svizzera di esaminare la questione, oltre il sentito dire, e di proporre delle iniziative, anche dando appoggio alle voci di dissenso all’interno della Chiesa ortodossa russa, per sottolineare il nostro profondo sconcerto per un cristiano che chiede che la propria visione di fede sia difesa e imposta con la guerra. E,  ovviamente, non è solo una questione ecumenica, ma cristiana e di serietà.

Il Pastore Stefano D'Archino | © Voce Evangelica
13 Giugno 2022 | 06:03
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