Il Papa in Sud Sudan. (Foto Vatican News)
Papa e Vaticano

Sud Sudan. Francesco ai religiosi: state in mezzo alla vostra gente

Nel discorso ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi, ai consacrati, alle consacrate e ai seminaristi nella cattedrale di Santa Teresa a Giuba, sabato mattina, Papa Francesco ha ripreso l’immagine delle acque del fiume Nilo che attraversa il Paese, a cui già il giorno prima si era ispirato parlando alle autorità sud sudanesi, e ha ripercorso la figura di Mosè per cogliere alcune indicazioni utili per quanti sono chiamati a essere Pastori in questa terra: «Mosè col bastone in mano, Mosè con le mani protese, Mosè con le mani alzate». È un richiamo, quello di Francesco, alla responsabilità di corrispondere alla chiamata di Dio ad essere «strumenti di salvezza» per il popolo, non distogliendo lo sguardo dalle sue sofferenze e facendosi presenza profetica in mezzo alla sua storia.

Nelle acque del Nilo le lacrime di un popolo

«Da tanto coltivavo il desiderio di incontrarvi; per questo oggi vorrei ringraziare il Signore», sono le prime parole di Francesco dopo aver ascoltato le testimonianze di un sacerdote e di una religiosa. Circa 5.000 i fedeli presenti, un migliaio all’interno della cattedrale, gli altri all’esterno. Dicendo di voler guardare alle acque del Nilo secondo la prospettiva biblica che spesso associa l’acqua all’azione di Dio a favore del suo popolo, il Papa osserva poi che in queste acque oggi «si riversano le lacrime di un popolo immerso nella sofferenza e nel dolore, martoriato dalla violenza».

Papa Francesco invita a chiedersi «che cosa significa essere ministri di Dio» in una storia attraversata dalla guerra e dalla povertà, dove «i volti delle persone a noi affidate sono solcati dalle lacrime del dolore?» e propone alla riflessione di quanti lo ascoltano due atteggiamenti di Mosè: la docilità e l’intercessione. Mosè è stato docile all’iniziativa di Dio, afferma il Papa, ma non da subito. Scoperta la sua identità e colpito dalla sofferenza del suo popolo, Mosè decide «di fare giustizia da solo» uccidendo un egiziano. Ma poi sperimenta il fallimento e «una sorta di deserto interiore». Aveva contato solo sulle sue forze e aveva risposto alla violenza con altrettanta violenza. Francesco commenta:

A volte qualcosa di simile può capitare anche nella nostra vita di sacerdoti, diaconi, religiosi e seminaristi, consacrate, consacrati tutti: sotto sotto pensiamo di essere noi il centro, di poterci affidare, se non in teoria almeno in pratica, quasi esclusivamente alla nostra bravura; o, come Chiesa, di trovare la risposta alle sofferenze e ai bisogni del popolo attraverso strumenti umani, come il denaro, la furbizia, il potere. Invece, la nostra opera viene da Dio: Lui è il Signore e noi siamo chiamati a essere docili strumenti nelle sue mani.

Più tardi, nell’incontro con Dio che si manifesta nel roveto ardente Mosè capisce il suo errore e si lascia «attrarre e orientare da Lui». È la docilità, afferma Francesco, che ci fa vivere «in modo rinnovato il Ministero», dove al centro non c’è la propria volontà, ma la Parola del Signore.

Intercedere è mettersi in mezzo alla storia

Dalla figura di Mosè, il Papa, accanto alla docilità, sottolinea l’atteggiamento dell’intercessione, spiegando che Intercedere non significa solo «pregare per qualcuno», ma anche mettersi «nel mezzo ad una situazione». Mosè, infatti, si mette dentro alla storia del suo popolo e si fa ponte tra Dio e la sua gente. Il Papa spiega:

Ai Pastori è richiesto di sviluppare proprio quest’arte di «camminare in mezzo»: dev’essere la specialità dei Pastori camminare in mezzo; in mezzo alle sofferenze e alle lacrime, in mezzo alla fame di Dio e alla sete di amore dei fratelli e delle sorelle. Il nostro primo dovere non è quello di essere una Chiesa perfettamente organizzata: questo lo può fare qualsiasi ditta. Non è quello. Ma una Chiesa che, in nome di Cristo, sta in mezzo alla vita sofferta del popolo e si sporca le mani per la gente. Mai dobbiamo esercitare il ministero inseguendo il prestigio religioso e sociale – tante volte quel brutto «fare carriera» -, ma dobbiamo esercitare il ministero camminando in mezzo e insieme, imparando ad ascoltare e a dialogare, collaborando tra noi ministri e con i laici.

Il Papa torna alla figura di Mosè che intercede per il popolo e dice che la Bibbia lo presenta in tre atteggiamenti: «col bastone in mano, con le mani protese, con le mani alzate al cielo». Nella prima immagine Mosè intercede con la profezia, compiendo prodigi. È un insegnamento per l’oggi della Chiesa che deve guardarsi dalla tentazione «di lasciare le cose come stanno» per timore «di perdere privilegi e convenienze».

Il dono della vita di tanti uomini e donne missionari

Infine, le mani di Mosè alzate in cielo dicono quanto a Mosè stesse a cuore il destino del suo popolo che sostiene con la preghiera, una vera lotta con Dio, a volte, perché il Signore perdoni Israele e continui a stargli vicino. Papa Francesco torna alla domanda iniziale cioè a come vivere il ministero in questa terra e afferma che essere profeti, accompagnatori, intercessori, può richiedere la vita stessa.

Tanti sacerdoti, religiose e religiosi (…) sono rimasti vittime di violenze e attentati in cui hanno perso la vita. In realtà, l’esistenza l’hanno offerta per la causa del Vangelo e la loro vicinanza ai fratelli e alle sorelle è una testimonianza meravigliosa che ci lasciano e che ci invita a portare avanti il loro cammino.

Ricordando che san Daniele Comboni, qui missionario, diceva che «c’è bisogno di anime ardite e generose che sappiano patire e morire per l’Africa», Francesco conclude il suo discorso augurando ai presenti all’incontro di essere «Pastori e testimoni generosi», «profeti di vicinanza» e intercessori per il popolo «con le braccia alzate».

Vatican News/red

Il Papa in Sud Sudan. (Foto Vatican News)
4 Febbraio 2023 | 18:03
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