Mons. Alain de Raemy, foto di archivio.
Ticino e Grigionitaliano

Solo se saprà sostenere lo sguardo dei sopravvissuti, la Chiesa del futuro saprà essere davvero una comunità

di Corinne Zaugg

Di incontro in incontro il copione si sta consolidando: mons. De Raemy con Myriam Caranzano (già direttrice dell’Aspi, il maggior ente privato di riferimento della Svizzera Italiana per il rispetto, i diritti e il buon trattamento dei bambini) stanno attraversano il Ticino da nord a sud per incontrare le persone e parlare «a cuore aperto» con loro, del tema degli abusi. Un tema che è deflagrato il 12 settembre scorso in occasione della presentazione del Rapporto svizzero sugli abusi. Un rapporto che può piacere o non piacere (accade che anch’esso venga messo in discussione, come è successo nel corso di una di queste sere) ma che segna una linea di non ritorno. Per le vittime, che anche se non trovassero la forza di parlare, sentono che intorno a loro il ghiaccio dell’ indifferenza che le ha isolate per decenni, si sta sciogliendo e già questo è un balsamo. E per la Chiesa tutta. Per i preti, intorno a cui sta nascendo una nuova primavera che ha il volto dell’inclusione e che sussurra dall’alto e dal basso: «Sei uno di noi, qua la mano che camminiamo insieme»! Per le donne, che questo scandalo lo hanno sempre portato nel cuore, come Maria e le donne ai piedi della croce (quando non sono rimaste che loro). Forse senza riuscire a nominarlo. Senza trovare le parole per dirlo, perché molto a lungo, di parole non ce n’erano. E per le persone tutte. Quelle che fanno Chiesa ogni domenica, quelle che abitano le parrocchie, quelle che se ne sono andate e oggi si sono affacciate per vedere se qualcosa è cambiato. E qualcosa sta cambiando.

Ma queste sono solo parole. Parole che durante una di queste tre prime serate pubbliche hanno incrociato uno sguardo. Sono affondate, in uno sguardo di sofferenza pietrificata. Un misto di ansia e
angoscia. Apparteneva ad un uomo che sedeva tra la gente, ma non era «gente». Era quello sguardo perso che infine ha alzato la mano e preso la parola. Una parola stenta. Dolente. Le parole dicevano tante cose. Interrogavano. Chiedevano. Ma lo sguardo rimaneva vuoto. Anche dopo che aveva ricevuto delle risposte. Non so a chi appartenessero quegli occhi, ma me li sono portati a casa. Dentro di me, sapevo che appartenevano ad un sopravvissuto. Non so a quale orrore, a quale dolore. E ho capito quanto hanno ripetuto alcuni vescovi svizzeri in queste settimane: «L’incontro con le vittime mi ha cambiato».
Credo che sia questo sguardo che come Chiesa tutta dobbiamo imparare a sostenere. Che appartenga ad un uomo, una donna, un bambino o una bambina, poco importa. È lo sguardo di chi cercava pane e ha ricevuto sassi. Sassi di discriminazione, indifferenza, giudizio, rifiuto, non ascolto, abuso e sopruso. Questo, come comunità, non dobbiamo più lasciare che accada. Perché come è stato ricordato nel corso delle serate in cui il vescovo ha voluto incontrare le comunità, se occorre un villaggio per far crescere un bambino, occorre una comunità per evitare un abuso. Ed è questa comunità che la Chiesa oggi ha il compito di diventare.

Gli incontri proseguiranno nelle prossime settimane: martedì 7 novembre , alle ore 20 ad Ascona (Collegio Papio), mercoledì 8 novembre, alle 20, al Centro parrocchiale di Bioggio e infine giovedì 9 novembre all’Oratorio di Balerna, sempre alle 20. Ad affiancare mons. de Raemy nei primi due incontri sarà Raffaella Brenni- Tonella, mnetre a Balerna, sarà Myriam Caranzano.

Mons. Alain de Raemy, foto di archivio. | © catt.ch
27 Ottobre 2023 | 15:15
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