Internazionale

Ritrovare il senso della vita a partire dalla fine di essa

«Chi crede che una cosa sia impossibile non dovrebbe disturbare chi la sta facendo». Così sta scritto sul cartello posto all’entrata del borgo di Mezzana, frazione di Cantagallo, nel cuore dell’Appennino toscano. Una frase attribuita ad Einstein che bene introduce il visitatore all’interno di questo progetto, ormai quasi terminato, dove dai ruderi di un antico borgo abbandonato negli anni ’70, sta rinascendo un villaggio che ospiterà al suo interno un hospice per persone giunte al termine della loro vita.

Volontari al lavoro per ridare vita all’antico borgo di Mezzana, frazione di Cantagallo, nel cuore dell’Appennino toscano.

Un progetto unico in Europa e che è stato annoverato tra le «buone pratiche esemplari» a cui ispirarsi, dal «Consiglio dei comuni e delle regioni d’Europa». E ad essere esemplare sono sia la modalità con cui la ricostruzione dell’antico borgo è avvenuta – nell’ottica della piena sostenibilità ambientale, secondo la logica del recupero, del riuso e del riciclo – sia lo stile di vita che caratterizzerà la vita a Mezzana, interamente improntato sulle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti.

«La morte è rimasta l’ultimo tabù della nostra società», dice accarezzandosi la lunga barba brizzolata, padre Giudalberto Bormolini dei «Ricostruttori nella preghiera»: a metà della cinquantina, mente, braccia e cuore di quest’esperienza nata tra i boschi toscani. Un tabù a cui la pandemia ha inferto un forte scossone, riportando il tema del morire e della malattia al centro se non dei nostri pensieri, certamente delle nostre paure. Pensavamo di averla addomesticata e poi improvvisamente ci siamo riscoperti fragili e vulnerabili di fronte a questa nuova malattia, contagiosa e diffusa in tutto il mondo, che ci ha richiamato alla mente pandemie medievali e scenari apocalittici. Pertanto, oggi più di ieri e in questo periodo dell’anno in modo particolare, il tema della morte e del morire torna ad interrogarci.

Padre Giudalberto Bormolini

Per padre Guidalberto – monaco, prete cattolico e tanatologo, esperto cioè, di ciò che riguarda la fine della vita terrena – il tema della morte è profondamente legato a quello del dono.

«Noi (i «Ricostruttori nella preghiera», ndr) cerchiamo di veicolare l’idea che la morte non sia l’opposto della vita, ma una parte di essa: l’ultima sua parte. Ed è dono. La gente oggi è terrorizzata di fronte alla morte perché non è capace di donare. Il terrore o l’angoscia della morte non sono per il dolore, non sono per la paura di soffrire ma per l’angoscia dell’annullamento, del nulla. Ora, per uno abituato a donare tutto, come San Francesco ci ha insegnato, la morte vissuta come dono estremo non farà paura, perché è donando tutto all’infinito, che riceveremo in dono l’infinito!».

Nel piccolo borgo in mezzo al bosco la vita e la morte, dunque, convivranno, incontrandosi in modo del tutto naturale. E questa «normalità si esprime anche nella struttura del borgo e delle singole case. Non saranno luoghi asettici e medicalizzati, quelli che accoglieranno le persone che nel borgo trascorreranno le ultime settimane di vita, ma cellette monacali, piene di colori, ciascuna col suo piccolo giardino da cui si potranno udire i suoni della vita che trascorre, continuando a sentirsene parte. Del resto, anche la separazione tra sani e malati viene da parte di Padre Guidalberto sentita come relativa ed aleatoria: «Oggi è avvenuta una frattura tra l’uomo ed il divino e questo ha creato una civiltà malata alla radice». Per cui siamo tutti malati. Chi di una malattia a cui sa dare il nome, chi di quella «malattia di vivere » di cui parlava già Cesare Pavese e che si annida nell’anima. Quindi la «cura», nel senso bergogliano del termine, sarà di tutti nei confronti di tutti. E tutti potranno attingere ad una formazione spirituale in modo da avere gli strumenti per affrontare e supportare le persone nel dolore, per saper leggere bisogni e segnali e dare risposte adeguate ed opportune. In quest’ottica un’attenzione particolare verrà data anche ai parenti che hanno perso un loro caro: verranno accompagnati e sostenuti anche durante il periodo del lutto affinché, come dice padre Guidalberto, «a partire dalla morte trovino il senso della vita».

Ormai manca davvero poco, della ventina di case previste molte sono già state realizzate anche grazie al lavoro dei tanti volontari che nel corso dell’estate si sono avvicendati a Mezzana, per periodi più o meno lunghi. L’estate prossima, chissà, l’utopia sarà… a tetto e si trasformerà in realtà. Una realtà bellissima che speriamo faccia scuola.

di Corinne Zaugg

La storia: i «Ricostruttori nella preghiera»

I «Ricostruttori nella preghiera», contano un centinaio di consacrati tra donne e uomini, trenta dei quali preti e alcune centinaia di volontari. Sono presenti con una cinquantina di sedi in quasi tutte le regioni d’ Italia. La fondazione si deve al gesuita Gian Vittorio Cappelletto (1928-2009) che negli anni Settanta, entra in contatto con monaci indiani e scopre la meditazione profonda e lo yoga, che (nonostante l’iniziale contrarietà dei superiori) giudica compatibile con il cattolicesimo e in continuità con la spiritualità dei padri cristiani orientali. A Torino inizia così a organizzare incontri di meditazione per giovani lontani dalla Chiesa, che riesce ad appassionare. Promuove quindi la ricostruzione di cascine e monasteri abbandonati per trasformarli in centri di preghiera. Attualmente i «Ricostruttori» sono al lavoro con padre Guidalberto Bormolini, per ricostruire un antico borgo abbandonato sull’Appennino toscano, dove accogliere anche alcuni malati terminali.

1 Novembre 2021 | 10:27
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