Papa e Vaticano

Papa Francesco alla Curia romana: «La pace sia il dono di questo Natale»

«Mai come in questo momento sentiamo un grande desiderio di pace». Lo ha detto il Papa, che nella parte centrale del suo discorso alla Curia Romana, pronunciato ieri, 21 dicembre 2022, ha citato per l’ennesima volta la «martoriata Ucraina», ma anche i «tanti conflitti che sono in atto in diverse parti del mondo. La guerra e la violenza sono sempre un fallimento». «La religione non deve prestarsi ad alimentare conflitti», ha ribadito Francesco: «Il Vangelo è sempre Vangelo di pace, e in nome di nessun Dio si può dichiarare ›santa’ una guerra». «Dove regnano morte, divisione, conflitto, dolore innocente, lì noi possiamo solo riconoscere Gesù crocifisso», ha proseguito il Papa: «E in questo momento è proprio a chi più soffre che vorrei si rivolga il nostro pensiero».

Una cultura della pace «quotidiana»

«Non esiste solo la violenza delle armi, esiste la violenza verbale, la violenza psicologica, la violenza dell’abuso di potere, la violenza nascosta delle chiacchere, che distruggono tanto».

«La cultura della pace non la si costruisce solo tra i popoli e tra le nazioni. Essa comincia nel cuore di ciascuno di noi», questo l’appello forte e chiaro del Papa. «Mentre soffriamo per l’imperversare di guerre e violenze, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo alla pace cercando di estirpare dal nostro cuore ogni radice di odio e risentimento nei confronti dei fratelli e delle sorelle che vivono accanto a noi».

«Possiamo domandarci», l’invito di Francesco: «Quanta asprezza c’è nel nostro cuore? Che cos’è che la alimenta? Da cosa nasce lo sdegno che molto spesso crea distanze tra di noi e alimenta rabbia e risentimento? Perché la maldicenza in tutte le sue declinazioni diventa l’unico modo che abbiamo per parlare della realtà? Se è vero che vogliamo che il clamore della guerra cessi lasciando posto alla pace, allora ognuno inizi da sé stesso.

San Paolo ci dice chiaramente che la benevolenza, la misericordia e il perdono sono la medicina che abbiamo per costruire la pace. La benevolenza è scegliere sempre la modalità del bene per rapportarci tra di noi».

Sinodalità e conversione

Quindi l’augurio, ai cardinali, subito proferito, di «ritornare all’essenziale della propria vita, per buttare via tutto ciò che è superfluo e che può diventare impedimento nel cammino di santità».  «La cosa peggiore che possa accaderci è pensare di non avere più bisogno di conversione, a livello sia personale sia comunitario. Convertirsi è imparare sempre di più a prendere sul serio il messaggio del Vangelo e tentare di metterlo in pratica nella nostra vita. Non è semplicemente prendere le distanze dal male, è mettere in pratica tutto il bene possibile. Presumere di avere imparato tutto ci fa cadere nella superbia spirituale».

Poi il riferimento ai sessant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, definito «una grande occasione di conversione per tutta la Chiesa». «Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio», la citazione di Giovanni XXIII. «La conversione che il Concilio ci ha donato è stato il tentativo di comprendere meglio il Vangelo, di renderlo attuale, vivo e operante in questo momento storico», ha spiegato il Papa: «Così, come più volte era già accaduto nella storia della Chiesa, anche nella nostra epoca come comunità di credenti ci siamo sentiti chiamati a conversione. E questo percorso è tutt’altro che concluso.

L’attuale riflessione sulla sinodalità della Chiesa nasce proprio dalla convinzione che il percorso di comprensione del messaggio di Cristo non ha fine e ci provoca continuamente».

«Il contrario della conversione è il fissismo, cioè la convinzione nascosta di non avere bisogno di nessuna comprensione ulteriore del Vangelo», ha precisato Francesco: «È l’errore di voler cristallizzare il messaggio di Gesù in un’unica forma valida sempre. La forma invece deve poter sempre cambiare affinché la sostanza rimanga sempre la stessa.

L’eresia vera non consiste solo nel predicare un altro Vangelo, come ci ricorda Paolo, ma anche nello smettere di tradurlo nei linguaggi e nei modi attuali, cosa che proprio l’apostolo delle genti ha fatto. Conservare significa mantenere vivo e non imprigionare il messaggio di Cristo».

Nemmeno la denuncia basta

«Alcune cadute, anche come Chiesa, sono un grande richiamo a rimettere Cristo al centro», la tesi del Papa, secondo il quale «la semplice denuncia può darci l’illusione di aver risolto il problema, ma in realtà quello che conta è operare dei cambiamenti che ci mettano nella condizione di non lasciarci più imprigionare dalle logiche del male, che molto spesso sono logiche mondane. In questo senso, una delle virtù più utili da praticare è quella della vigilanza. State attenti».

 »Il primo modo di peccare è andarsene, perdersi, fare cose evidentemente sbagliate», ha osservato il Papa, ma «ci si può perdere anche in casa, e si può vivere infelici pur rimanendo formalmente nel recinto del proprio dovere, come accade al figlio maggiore del padre misericordioso. Se, per chi va via, è facile accorgersi della distanza, per chi rimane in casa è difficile rendersi conto di quanto si viva all’inferno, per la convinzione di essere solo vittime, trattati ingiustamente dall’autorità costituita e, in ultima analisi, da Dio stesso». «E quante volte ci succede questo, qui a casa», ha aggiunto a braccio. «A tutti noi sarà successo di perderci come quella pecorella o di allontanarci da Dio come il figlio minore», ha argomentato Francesco: «Sono peccati che ci hanno umiliato, e proprio per questo, per grazia di Dio, siamo riusciti ad affrontarli a viso scoperto. Ma la grande attenzione che dobbiamo prestare in questo momento della nostra esistenza è dovuta al fatto che formalmente la nostra vita attuale è in casa, tra le mura dell’istituzione, a servizio della Santa Sede, nel cuore stesso del corpo ecclesiale; e proprio per questo potremmo cadere nella tentazione di pensare di essere al sicuro, di essere migliori, di non doverci più convertire». 

Accogliere il Principe della Pace

«Davanti al Principe della Pace che viene nel mondo, deponiamo ogni arma di ogni genere. Ciascuno non approfitti della propria posizione e del proprio ruolo per mortificare l’altro». È l’appello con cui il Papa ha concluso il suo discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi. «La misericordia è accettare che l’altro possa avere anche i suoi limiti», ha spiegato Francesco, secondo il quale «è giusto ammettere che persone e istituzioni, proprio perché sono umane, sono anche limitate». «Una Chiesa pura per i puri è solo la riproposizione dell’eresia catara», ha ribadito il Papa: «Se così non fosse, il Vangelo e la Bibbia in generale non ci avrebbero raccontato limiti e difetti di molti che oggi noi riconosciamo come santi. Infine il perdono è concedere sempre un’altra possibilità, cioè capire che si diventa santi per tentativi. Dio fa così con ciascuno di noi, ci perdona sempre, ci rimette sempre in piedi e ci dona ancora un’altra possibilità. Tra di noi deve essere così». «Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono», ha aggiunto a braccio: «Ogni guerra per essere estinta ha bisogno di perdono, altrimenti la giustizia diventa vendetta, e l’amore viene riconosciuto solo come una forma di debolezza. Dio si è fatto bambino, e questo bambino, diventato grande, si è lasciato inchiodare sulla croce. Non c’è nulla di più debole di un uomo crocifisso, eppure in quella debolezza si è manifestata l’onnipotenza di Dio.

Nel perdono opera sempre l’onnipotenza di Dio. La gratitudine, la conversione e la pace siano allora i doni di questo Natale».

(red/agensir)

| © Vatican Media
23 Dicembre 2022 | 07:55
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