Papa Paolo VI
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Paolo VI, i giornalisti e i geroglifici

«Uno viene a Roma… crede di vedere tutto perché ha veduto la cupola di San Pietro, o ha veduto gli svizzeri al Portone di Bronzo e dice: «Ah questa è Roma». C’è anche qualche cosa d’altro, sapete… noi temiamo perciò d’essere giudicati secondo una conoscenza superficiale, unilaterale e parziale della nostra realtà». Sono parole dirette di un discorso in buona parte improvvisato che Paolo VI rivolge ai giornalisti della stampa estera in Italia il 28 febbraio 1976. Il testo – recuperato dall’archivio sonoro della Radio Vaticana e pubblicato ora da monsignor Leonardo Sapienza con una introduzione del vescovo di Albano Marcello Semeraro – ha una sua singolare istanza, un’aspirazione che ancora oggi mantiene un carattere d’inderogabile necessità. Papa Montini si rivolge con tono colloquiale, persino con garbata ironia ai giornalisti e colpisce soprattutto per l’attualità nel mettere a nudo con tre pungenti aggettivi una tendenza mediatica che corrode e distorce senza tregua l’informazione religiosa: la superficialità, l’unilateralità e la parzialità.

 

Con i giornalisti partecipanti a quell’udienza il Vescovo di Roma si era voluto soffermare a mettere bene in luce cosa significa osservare, scrivere e informare sulla realtà ecclesiale. Per il Papa venuto dalla tradizione ambrosiana c’è un aspetto fondamentale che non può essere ignorato: quello della natura sacramentale della Chiesa. Lo sguardo del giornalista – dice – deve essere molto attento alla singolare complessità della Chiesa perché – spiega Montini – essa ha «un’umile e gloriosa prerogativa», «un’ indole sacramentale», che la configura come «realtà risultante di un duplice elemento umano e divino» e solo chi «riconosce» questa sua natura «può comprendere come sia doveroso e interessante guardare alla Chiesa nei suoi molteplici aspetti».

 

«Ora – afferma ancora Montini – se la vita interna della Chiesa, la quale è una comunione di fedeli, e non una semplice comunanza di opinioni, richiede, per essere pienamente compresa uno sguardo penetrante, è naturale pertanto che noi domandiamo, cari Signori, di avere nei riguardi della Chiesa e dei suoi membri, nei riguardi cioè di ciò che è veramente essenziale e specifico nelle sue strutture e nel suo insegnamento un’acuta attenzione: bisogna che penetriate questo alfabeto poco conosciuto alla cultura moderna e comune; noi vogliamo essere letti nel senso profondo, come se si leggessero dei geroglifici di una piramide – chessò io – egizia. Se non si legge questo non si comprende quello che significa quel monumento. Qualche cosa di analogo avviene per noi, se non sapete leggere ciò che noi veramente esprimiamo…».

 

Montini solleva così l’urgenza di una istanza che, allora come oggi, rischia di rimanere lettera morta, soffocata da un certo analfabetismo religioso che unito ai criteri di tabella dei valori stabiliti dalle letture politiche riduce inesorabilmente la Chiesa alle solite alternanze del gioco destra-sinistra, tradizione-rivoluzione.

 

È noto che Paolo VI fu indubbiamente il Papa che più di tutti i suoi predecessori conobbe meglio il mondo del giornalismo, avendolo frequentato e praticato sin da ragazzo e che certamente l’opera di sensibilizzazione nei confronti dei mezzi di comunicazione per la Chiesa, in particolare per la comunicazione del Vangelo, è avvenuta soprattutto grazie a Paolo VI. Già durante la Commissione preparatoria del Concilio Montini era intervenuto proprio in merito allo schema sulle comunicazioni sociali e chiese che il Concilio producesse un messaggio per raccomandare l’uso retto degli strumenti della comunicazione sociale. Ed è con la grandezza di respiro della Chiesa conciliare che si era prodigato come padre fondatore del quotidiano Avvenire, al quale per il Papa spettava essenzialmente il compito di collaborare alla diffusione del Vangelo.

 

Anche per il suo immediato successore Giovanni Paolo I, giornalista nato, era necessario illuminare e dare testimonianza di uno sguardo di fede e di un approccio non superficiale, non unilaterale e parziale, quindi non ideologico e clericale nel parlare della realtà ecclesiale: «Bisognerebbe entrare nella visuale della Chiesa quando si parla della Chiesa – disse in un passaggio a braccio ai rappresentanti della stampa internazionale subito dopo la sua elezione – io ho avuto invece l’impressione che a volte i giornalisti si attardino su cose del tutto secondarie, in cose di Chiesa. Bisognerebbe colpire il centro, quelli che sono i veri problemi della Chiesa. Sarebbe anche allora una funzione educatrice del vostro pubblico che vi legge, vi ascolta, vi guarda».

 

Ma quanto indicato e spiegato da Papa Montini nel suo discorso alle stampa estera del 1976 si ritrova espresso in continuità e con chiarezza nel discorso ai rappresentati dei media di Papa Francesco pronunciato tre giorni dopo la sua elezione il 16 marzo 2016: «Gli eventi ecclesiali non sono certamente più complicati di quelli politici o economici! Essi però hanno una caratteristica di fondo particolare: rispondono a una logica che non è principalmente quella delle categorie, per così dire, mondane, e proprio per questo non è facile interpretarli e comunicarli ad un pubblico vasto e variegato».

 

Anche Papa Francesco mette così in evidenza la natura della realtà ecclesiale: « La Chiesa, infatti, pur essendo certamente anche un’istituzione umana, storica, con tutto quello che comporta, non ha una natura politica, ma essenzialmente spirituale: è il Popolo di Dio, il Santo Popolo di Dio, che cammina verso l’incontro con Gesù Cristo ». «Soltanto ponendosi in questa prospettiva si può rendere pienamente ragione di quanto la Chiesa Cattolica opera» afferma il Papa, sottolineando che è perciò importante «tenere in debito conto questo orizzonte interpretativo, questa ermeneutica, anche per mettere a fuoco il cuore degli eventi». E da qui, esattamente come espresso da Montini, l’invito a cercare di conoscere sempre di più «la vera natura della Chiesa e anche il suo cammino nel mondo, con le sue virtù e con i suoi peccati, e a conoscere e le motivazioni spirituali che la guidano e che sono le più autentiche per comprenderla».

 

«Il vostro lavoro necessita di studio, di sensibilità, di esperienza, come tante altre professioni – sottolinea poi ancora Papa Francesco – ma comporta una particolare attenzione nei confronti della verità, della bontà e della bellezza; e questo ci rende particolarmente vicini, perché la Chiesa esiste per comunicare proprio questo: la verità, la bontà e la bellezza «in persona»». Non manca infine di stigmatizzare anche la perversione del narcisismo: «Dovrebbe apparire chiaramente che siamo chiamati tutti non a comunicare noi stessi, ma questa triade esistenziale che conformano verità, bontà e bellezza».

 

Accade tuttavia ormai troppo spesso che le istanze suggerite da questi orizzonti siano inghiottite nel nulla di un nuovo imposto conformismo clericale e distorsioni nella rappresentazione mediatica del Papa e della Chiesa sembrano prevalere oggi più che mai.

Stefania Falasca – VaticanInsider

Papa Paolo VI
27 Febbraio 2018 | 19:00
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