Padre Antonio Grasso, Berna.
Svizzera

Padre Grasso da Berna: da 60 anni «nella nostra comunità i fedeli si sentono a casa»

Domenica 7 maggio si sono svolti i festeggiamenti per i 60 anni della missione cattolica di lingua italiana a Berna. Dopo la processione e la messa con il Nunzio apostolico, la festa con la comunità alla quale ha preso parte anche padre Antonio Grasso, il missionario scalabriniano che da otto anni è a capo della comunità. Pubblichiamo l’intervista realizzata dal corrispondente RSI da Berna Gian Paolo Driussi, andata in onda in parte nel programma SEIDISERA su Rete Uno.

Di Gian Paolo Driussi

Padre Antonio Grasso, oggi la comunità alla quale si rivolge è certamente diversa da quando era stata fondata, sono cambiate le situazioni come è anche cambiato il modo di comunicare con le proprie origini e con la propria Chiesa. Senza contare la secolarizzazione e il calo dei fedeli. Ha ancora senso avere una missione cattolica?

Ciascuno di noi appartiene contemporaneamente a più realtà: posso far parte di un’associazione sportiva, un’associazione musicale, un partito politico, sono parte di un quartiere ma anche di una comunità di fede. Quindi la domanda è: oggi le persone hanno ancora bisogno di una comunità di fede? Io credo di sì, perché se noi perdiamo la dimensione comunitaria della nostra fede abbiamo perso una grossa fetta della nostra identità. Io penso sempre a Gesù che radunava i discepoli e discepole e scherzando con i miei parrocchiani dico «ma se stava da solo stava meglio. Avrebbe fatto prima e meglio!». E invece ha accettato di radunare e accompagnare questi discepoli, ha avuto la pazienza dei tempi lunghi, della loro incomprensione. È Gesù stesso che attraverso il suo operare ci dice che la dimensione comunitaria è importante nella nostra fede. A partire da questo io dico sì per rispondere alla domanda se oggi è ancora importante avere in ogni posto un punto di riferimento a livello spirituale e nel nostro specifico è di lingua italiana quindi per tutti i fedeli che si sentono di vivere la loro fede attraverso questa dimensione linguistica. Attraverso le nostre iniziative e il nostro cammino cerchiamo di far sentire a casa i nostri fedeli.

Chi si reca alla missione di lingua italiana a Berna?

Festeggiamo i 60 anni della chiesa della missione, in realtà già alla fine dell’´800 esisteva una missione di lingua italiana a Berna nata come comunità di ritrovo degli italiani. Oggi abbiamo diverse tipologie di persone in età, provenienze e in costituzione: abbiamo gli anziani di origine italiani o ticinesi, abbiamo coppie bi-culturali, coppie bi-confessionali, e aumentano sempre di più fedeli di altre lingue che però capiscono l’italiano e si sentono a casa. Questo per me è importante: che tutti si sentano parte di questa comunità.

Lei è stato missionario in più luoghi, anche oltre oceano come a Los Angeles: cosa differenzia e cosa accomuna la comunità italofona che rivolge alla missione di Berna con le altre comunità che ha visitato e guidato altrove?

Fortunatamente in questi luoghi non ho lavorato solo con gli italiani. A Los Angeles per esempio ho lavorato in una parrocchia latino-americana e quindi per la maggior parte con messicani, salvadoregni, guatemaltechi, con un gruppo di filippini e con gli autoctoni americani. Era la mia prima esperienza, una bellissima esperienza perché il mondo latino americano è un mondo vicino a quello mediterraneo, quindi molto affettuoso, espansivo, una realtà dura di tanta gente che aveva attraversato il confine tra il Messico e gli Stati Uniti e quindi si lavorava molto sulla dimensione sociale. Nei due anni di permanenza, ogni lunedì mi recavo in carcere per confessare i ragazzi e parlare con loro: si lavorava con le bande di quartiere che spacciavano droga con le armi. Realtà molto dure dal punto di vista umano e sociale; ma allo stesso tempo c’era questo mix con la religiosità e spiritualità come potrebbero essere oggi i mafiosi del sud Italia che si affidano alla protezione divina. La Vergine di Gadalupe messicana era tatuata da qualsiasi parte. Venivano al catechismo per fare la Cresima ma allo stesso tempo spacciavano e rubavano.

Una realtà molto diversa rispetto a quella che ha trovato in Svizzera, ma magari ha incontrato anche qualche italiano a Los Angeles. C’è qualche analogia che può tracciare?

No, italiani a Los Angeles, a parte due o tre famiglie con le quali andavo a mangiare un piatto di pasta e bere un caffè, non ce n’erano. La realtà italiana di Los Angeles è quella di una generazione che si è trasferita lì da tanti anni e che ormai è distaccata totalmente dall’Italia. Qui in Svizzera, sia nella mia esperienza di sette anni a Basilea, sia negli otto anni qua a Berna è diverso: si mantengono legami ancora forti e noi adattiamo il nostro programma adattandolo alle esigenze familiari. È una realtà dinamica.

Rispetto ad esempio alla comunità latino americana negli Stati Uniti, a livello pastorale e sociale quella svizzera sembrerebbe una realtà molto più semplice…

Non direi, perché le sfide sono altre. Già tra Berna e Basilea ho trovato molte differenze: Il contesto lavorativo è diverso, Berna offre determinate cose e non offre altre, Basilea è una città molto più internazionale con la presenza dell’industria farmaceutica che attira persone da tutto il mondo e quindi anche italiani che spesso arrivano a Basilea per dei progetti limitati di tempo, creando dunque dinamiche pastorali diverse. Una comunità che vuole essere viva e vicina alle persone deve reagire e creare dei percorsi di fede adattati alle persone: tocca noi dunque chiederci come possiamo far sentire a casa tutto questo mondo in movimento; bisogna trovare nuovi linguaggi e nuove forme perché una persona nella sua mobilità e nel breve percorso comunitario e spirituale che farà senta di appartenere ad un posto e non sia in un perenne terminal di aeroporto con la valigia sempre pronta.  

Essere in cattolico in Svizzera, come essere evangelico in Svizzera, significa obbligatoriamente pagare le imposte di culto, almeno nella maggior parte dei cantoni. È sicuramente uno dei motivi che spinge parecchie persone ad uscire dalla loro Chiesa di riferimento. La missione cattolica di lingua italiana a Berna usufruisce dei proventi dell’imposta di culto: è un sistema che la convince rispetto a quello che ha visto altrove e in particolare in Italia?

Già negli scritti di San Paolo troviamo tracce di collette che davano testimonianza di forme di solidarietà tra i cristiani e tra le comunità cristiane per garantirne il funzionamento. In Svizzera c’è questa forma, in Italia ce n’è un’altra, in altri posi non ce n’è alcuna. A chi viene dall’Italia facciamo fatica a trasmettere il concetto di «tassa del culto»: è un sistema di solidarietà e dal momento in cui una persona sente di appartenere a una comunità sa anche che ci sono dei costi di mantenimento. Noi riceviamo questo contributo perché siamo parte della Gesamtkirchgemainde della regione di Berna che ci permette di essere equiparati nei diritti e nei doveri a una parrocchia.

La dinamica che viene rilevata dalle statistiche riguardo all’uscita dalle Chiese viene vissuta anche nella missione cattolica di lingua italiana a Berna? È qualcosa che la preoccupa?

Non essendo una parrocchia a livello territoriale non abbiamo registri dei nostri fedeli, ma l’amministrazione della Chiesa di Berna mi dice che anche qui il numero di coloro che lasciano aumenta. Bisognerebbe distinguere l’aspetto di fede da quello economico: i vescovi ci chiedono di avvicinare queste persone e aprire un dialogo con loro per capire se stanno uscendo dall’istituzione Chiesa per una questione di fede perché non si identifica più o per una questione economica e in questo caso ci sono tante altre soluzioni che non tutti conoscono.

Per esempio?

Per esempio non pagare la tasse, dichiarando il proprio reddito. Nel momento in cui uno è nel bisogno, abbiamo anche un servizio di assistenza sociale per aiutare le persone in difficoltà economica. Io mi auguro che le persone rimangano e che capiscano che questi soldi sono importanti perché vengono versati nella comunità che ne trae benefici. Mi auguro che le persone siano sempre più aperte e in dialogo.

A padre Grasso e alle comunità cattoliche sarà dedicata la puntata di Strada Regina di sabato 13 maggio.

Padre Antonio Grasso, Berna.
11 Maggio 2023 | 15:09
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