Lituania, beatificato il primo martire dopo il regime comunista

«Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti…», recita il Salmo 90. Robusto lo è stato, fino ad ottant’anni, l’arcivescovo Teofilo Matulionis, martire lituano beatificato oggi, che ha resistito per oltre un ventennio alla prigionia e alle persecuzioni del regime comunista del suo Paese. Fino a quando, il 20 agosto 1862, dopo l’ennesimo sopruso subito, cessò una esistenza che «fu un faticoso calvario di restrizioni e di sofferenze», come ebbe a dire Giovanni Paolo II nella celebrazione sotto il «Monte delle Croci» durante la visita in Lituania, Lettonia ed Estonia del ›93.

La Chiesa universale ora lo ha proclamato beato a Vilnius, alla presenza di migliaia di fedeli, soprattutto giovani che celebravano oggi la Giornata nazionale. Una coincidenza non casuale, un modo per indicare il suo luminoso esempio alle nuove generazioni della Lituania. Alla cerimonia, presieduta in rappresentanza del Papa dal prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato, c’erano anche i vertici del Ccee, il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, (ovvero il cardinale presidente Angelo Bagnasco, e i vicepresidenti il cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, e monsignor Stanislaw Gadecki, arcivescovo di Poznan), venuti a salutare la prima beatificazione che il Paese est-europeo celebra dopo i decenni di stritolamento del totalitarismo sovietico. Lo stesso che 30 anni fa aveva impedito l’ultima beatificazione di un venerabile lituano, monsignor Giorgio Matulaitis, per questo presieduta da Giovanni Paolo II in San Pietro, in occasione del 600esimo anniversario della cristianizzazione della Lituania.

 

«L’Europa è stata costruita anche sul sangue dei martiri, quali il venerabile Teofilio Matulionis, che sotto il regime sovietico, totalitarista e agnostico, non ha lesinato gli sforzi per difendere i diritti fondamentali di ogni uomo e si prodigò in particolare per la salvaguardia della libertà di coscienza», ha affermato il segretario generale del Ccee, monsignor Duarte da Cunha. Il Consiglio dei vescovi, spiega, «giungendo fino a Vilnius per associarsi alla gioia del popolo lituano, vuole rendere omaggio al modello di fedeltà a Cristo, alla Chiesa e alla Santa Sede che fu il venerabile Matulionis, e ricordare al continente la necessità di custodire la libertà religiosa guardando alla testimonianza che hanno dato persone come l’arcivescovo lituano nel difendere la dignità della persona e i valori su cui l’Europa è stata forgiata».

 

Nato il 22 giugno 1873 a Kudoriškis, territorio dell’allora Impero russo, da una famiglia contadina di profonda fede cattolica, restò presto orfano di madre. Sin da bambino mostrò grande passione per lo studio; a 27 anni, il 4 marzo 1900, fu ordinato sacerdote e si trasferì a San Pietroburgo dove si occupò della costruzione della chiesa del Sacro Cuore del Salvatore, fino a che i lavori furono interrotti dalla «Rivoluzione d’ottobre» del 1917.

 

Il primo arresto arrivò qualche anno dopo, nel 1923, quando padre Matulionis aveva da poco compiuto 50 anni. Finì in manette insieme ad altri religiosi e condannato a tre anni di Gulag, per poi essere scarcerato grazie all’intervento dei parrocchiani. Liberato, ritorna a Leningrado, dove diventa parroco della chiesa del Sacro Cuore di Gesù. Il 28 dicembre 1928, con il consenso di Pio XI, venne clandestinamente nominato vescovo titolare di Matrega e coadiutore dell’amministratore apostolico di quella che aveva assunto il nome di Leningrado, oggi San Pietroburgo, il metropolita Eduard Baron von der Ropp finito anche lui vittima delle persecuzioni anticristiane.

 

Sempre in maniera clandestina, il 9 febbraio 1929, Matulionis ricevette l’ordinazione vescovile. La strategia di «copertura», tuttavia, durò poco: nel novembre dello stesso anno fu arrestato per la seconda volta. La condanna, però, fu più pesante di un macigno: dieci anni di reclusione nel lager delle Slon, le Isole Solovki nel Mar Bianco, alla quale si aggiunse, nel maggio ’33, la punizione ad un anno d’isolamento con l’obbligo dei lavori forzati. Dopo pochi mesi, il 24 marzo 1934, il vescovo fu liberato e partì per Roma per incontrare Papa Pio XI in Vaticano.

 

Scambiato con un prigioniero sovietico fece ritorno in Lituania, dove fu nominato vescovo ausiliare di Kaunas e cappellano supremo dell’Esercito, carica che ricoprì per poco tempo a causa dell’invasione sovietica del 1940. Nel 1943, sotto l’occupazione tedesca, fu nominato segretamente vescovo di Kaišiadorys. Un anno dopo, le truppe sovietiche invasero di nuovo la Lituania e il regime comunista iniziò subito la persecuzione della Chiesa.

 

Arrivò quindi il terzo arresto nel 1946 e la condanna a dieci anni di campi di concentramento da scontare in Siberia. Matulionis uscì dal carcere nel 1956, già avanti con gli anni e in gravi condizioni di salute, ma non mancò nel suo impegno di amministrare la diocesi di Kaišiadorys e di sistemare gli affari della Chiesa lituana. Provato nel corpo ma non nello spirito, esortava gli amministratori diocesani e i sacerdoti a non scendere a compromessi con il regime.

 

La sua testimonianza impressionò Giovanni XXIII che, il 9 febbraio 1962, gli concesse la dignità di arcivescovo. Godette per pochi mesi di tale onorificenza; morì il 20 agosto dello stesso anno dopo una severa perquisizione nella casa in cui alloggiava. Si disse che fu intossicato da un medicinale. Ipotesi confermata nel 1999 quando i resti vennero riesumati e nel corpo furono trovate tracce di avvelenamento da piombo.

 

Una morte «in odium fidei» come stabilito dal decreto della Congregazione per le Cause dei Santi approvato da Papa Francesco il 1° dicembre 2016, dopo quasi trent’anni di processo (1990-2008) in cui sono stati raccolti otto volumi tra documentazione e testimonianze. Oggi la beatificazione a Vilnius, accolta da un fragoroso applauso risuonato in contemporanea a Roma su richiesta di Papa Francesco che, al termine dell’Angelus, ha chiesto ai fedeli in piazza San Pietro di acclamare a questo «strenuo difensore della Chiesa e della dignità dell’uomo».

26 Giugno 2017 | 08:00
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