Mons. Alain de Raemy
Ticino e Grigionitaliano

L’anno «tosto» del vescovo Alain tra sfide pastorali e dossier caldi

di Cristina Vonzun e Corinne Zaugg

Un anno fa la notizia bomba attesa da qualche giorno per via di un diffuso vociferare: il Papa ha accolto la rinuncia del vescovo Valerio Lazzeri al governo della diocesi di Lugano. Una conferenza stampa in Curia a Lugano, il 10 ottobre 2022, alla presenza del Nunzio apostolico in Svizzera mons. Krebs informava il Ticino che mons. Alain de Raemy, vescovo ausiliare di Losanna, Ginevra e Friburgo, veniva nominato amministratore apostolico della diocesi di Lugano.

Mons. de Raemy è passato un anno. Forse allora non avrebbe immaginato che si sarebbe trattato di un anno così …tosto.

Il Nunzio mi aveva detto che sarei rimasto, più o meno, 6 mesi mentre siamo già ad un anno; dunque, questa è la prima cosa che non potevo aspettarmi. D’altra parte, questa è una bella esperienza perché a Friburgo, da vescovo ausiliare, sei un po’ – usando un’immagine biblica – «l’amico dello sposo»: c’è lo sposo della Chiesa che è il vescovo diocesano (a nome di Cristo!) mentre io ero l’amico dello sposo, colui che collabora al lavoro del vescovo diocesano. Adesso sono diventato lo «sposo», se si può usare questa espressione per l’amministratore apostolico sede vacante, non pienamente vescovo di Lugano. È davvero un coinvolgimento sponsale che proprio ti sconvolge!

Come è cambiata la sua visione della diocesi di Lugano in questi 12 mesi?

Mi rendo conto che le sfide e gli interrogativi sono davvero gli stessi ovunque nella Chiesa, con forse un atteggiamento più sereno che altrove. Ma le domande sono le medesime.

È stato anche un anno di ripartenza importante dopo la pandemia. Lei è arrivato proprio nel momento del flusso di ripresa. Lo testimoniano anche i tanti eventi, viaggi, incontri a cui è stato invitato a partecipare. Cosa l’ha colpita, in particolare?

Quello che mi colpisce sempre è la presenza delle persone. In qualsiasi contesto c’è un coinvolgimento che mi tocca profondamente il cuore. Non faccio una gerarchia: i giovani non sono più importanti delle persone degenti nelle case anziani. Tutto è importante e quello che mi colpisce in ogni luogo, è vedere il coinvolgimento della gente e quanto c’è bisogno di essere incoraggiati.

In questi giorni in Ticino si parla con toni accesi della posizione espressa dal presidente dei vescovi svizzeri, mons. Felix Gmür, che si è detto favorevole ad una eventuale abolizione dell’obbligatorietà del celibato dei preti. Le parole di mons. Gmür cosa hanno suscitato in lei?

Conoscevo un po’ la posizione di mons. Gmür su questa questione. Mi sono arrabbiato contro me stesso perché quando abbiamo fatto questa intervista, l’intervista di tre vescovi, uno per regione linguistica a tre quotidiani nazionali (NZZ, Le Temps, Corriere del Ticino, pubblicata il 23 settembre 2023), il giornalista del Corriere del Ticino (Cdt), mi ha dato da rileggere l’articolo che aveva scritto per aggiungere forse qualcosa o correggere, se fosse stato il caso. L’ho fatto ma ho trascurato il mio contributo su questo tema, perché in quella discussione io avevo ricordato che il celibato non solo è stato vissuto da Cristo e voluto da Cristo per sé stesso ma è stato Gesù stesso ad offrirlo alla Chiesa come un dono di sé stesso, come espressione molto concreta del dono totale di sé, senza preferenze. Quindi mi sono arrabbiato contro me stesso per non averlo precisato nella trascrizione dell’intervista al Cdt. Il rischio della presa di posizione di mons. Gmür è quello di fare un collegamento diretto fra abusi e celibato, il che – anche dal punto di vista scientifico – non si può fare. (Vedi il commento redazionale in Catholica del 30.9.2023, ndr).

A Giubiasco, il 21 settembre scorso, lei ha vissuto un incontro di preghiera e confronto con la popolazione sul tema abusi; la settimana dopo ha incontrato catechisti e docenti a Lugano. Come ha vissuto questi momenti?

Li ho vissuti come un sollievo, perché su questo tema non c’è nulla di peggio del silenzio. Il silenzio è bellissimo per ritrovarci con Dio ma quando c’è l’oppressione di un problema non bisogna rimanere in silenzio, al contrario. Quindi per me è stato un sollievo poter dare l’opportunità a tutti di esprimersi. Ed è solo l’inizio. All’incontro con gli insegnanti di religione e i catechisti tanti hanno detto: «Ah, avrei avuto ancora quella e questa domanda». Più uno matura nella problematica, più si pone delle domande sempre più concrete. Per questo bisogna continuare il dialogo. Ora sono in programma degli incontri in tutti i vicariati del Ticino. Con i vicari foranei abbiamo già predisposto un calendario.

Abbiamo sentito della situazione nella diocesi di Losanna, Ginevra Friburgo: mons. Morerod è stato operato d’urgenza qualche giorno fa ed è convalescente. A Friburgo si è dimesso il vicario generale
Bernard Sonney, coinvolto nell’inchiesta sugli abusi e ora la diocesi è in mano ad interim ad un’equipe di laici. Non è che la richiamano a Friborgo?

No, diciamo che la diocesi non è in mano a questi quattro laici. Loro sono incaricati di occuparsi dei lavori della Curia. Perché i rappresentanti del vescovo li abbiamo già nei Cantoni della diocesi. C’è un delegato laico del vescovo in ogni Cantone che svolge un po’ il ruolo del vicario episcopale. E questo continua a funzionare. Penso che la priorità, per me, rimanga il Ticino. Questo è chiaro.

Cosa pensa dell’iniziativa di raccolta firme lanciata lo scorso inverno per cambiare la legge ottocentesca che in Ticino regola la nomina del vescovo di Lugano?

È stata un’iniziativa di tre persone senza che si fossero consultati con me. Io non c’entravo per niente e non vorrei che venisse intesa come un’iniziativa a mio favore, affinché resti in Ticino. La domanda che io sento dalla gente, sempre, è: «Ma come mai ci limitiamo nella scelta del vescovo?» È un po’ questa la domanda che colgo da parte del popolo cristiano.

La diocesi di Lugano, già prima del suo arrivo, stava affrontando un importante cammino sinodale di riforma di alcune sue strutture. Ad esempio, l’introduzione delle Reti pastorali, la trova una buona idea?

Sì, mi sembra una buona idea. Dobbiamo collaborare di più, non possiamo più vivere la Chiesa come se fosse un circuito chiuso, parrocchiale, piccolo. Questo non vuol dire trascurare le realtà piccole, ma significa metterci insieme per fare meglio e per consigliarci a vicenda. Per porre le qualità degli uni al servizio degli altri. È una questione di collaborazione e di coinvolgimento di tutti e quindi – in questo senso – mi piace tanto la parola «rete» perché non è una questione solo di territorio.

In questo suo anno in Ticino il progetto delle Reti pastorali ha fatto passi avanti?

Non dappertutto con lo stesso ritmo, anche questo mi piace di questo progetto perché abbiamo la pazienza di convincere, cominciando dalla realtà locale. È da lì che ci dev’essere la convinzione che serve collaborare con altri. E per questo bisogna avere tanta pazienza. Non possiamo fare uno schema unico per tutti, bisogna rispettare le differenze e andare avanti a poco a poco. In questo momento c’è un po’ di esitazione, perché non c’è il vescovo «definitivo». Qualcuno si domanda se bisogna continuare ad andare avanti. Lo possiamo fare perché tutto era già stato deciso prima del mio arrivo.

Cosa accade ora alla sua funzione di amministratore apostolico, dato che è passato un anno? Ci pare che la normativa preveda qualche aggiornamento di funzioni…

Nel regolamento per i vescovi viene precisato che un amministratore apostolico, dopo un anno, può nominare i parroci. Qui in Ticino si nominano «amministratori parrocchiali», per questo ho già potuto effettuare nomine, ma se una parrocchia chiede che il suo amministratore diventi parroco, potrò rispondere solo d’ora in poi. Idem per incardinare o escardinare un prete. Ci saranno altre facoltà o altri «poteri»? Ho chiesto al Nunzio di domandare alla Santa Sede di precisare un po’ meglio il mio ruolo. E se possibile, dare anche una tempistica.

A «Chiese in Diretta» domenica alle ore 8.30

Domenica 7 ottobre, a «Chiese in diretta» su Rete Uno dalle ore 8.30, mons. Alain de Raemy in dialogo con la giornalista Corinne Zaugg affronterà molti altri temi, tra i quali le donne nella Chiesa, il ruolo dei laici in Ticino, i giovani, il Sinodo a Roma, l’ecumenismo, l’ecologia integrale, i migranti e altre sfide pastorali.

Mons. Alain de Raemy | © catt.ch
8 Ottobre 2023 | 14:16
Tempo di lettura: ca. 5 min.
Condividere questo articolo!