Labre, il patrono (forse poco conosciuto) dei poveri

Il padre aveva desiderato per lui, primo di quindici figli, una tranquilla e sicura vita sacerdotale alla stregua di due zii, ma è venerato come il patrono dei mendicanti e dei senzatetto. È una storia molto conosciuta in Francia, Svizzera e Germania quella di san Benedetto Giuseppe Labre (memoria liturgica il 16 aprile), una figura di pellegrino povero – forse da noi non così nota – che in occasione della 1° Giornata mondiale dei Poveri, istituita da papa Francesco, finisce per incarnare tutti i derelitti della terra.

 

Nativo di Amette, nei pressi di Arras Pas-de-Calais, nella regione francese dell’Artois, il 26 marzo 1748, battezzato col nome di Benoît-Joseph, venne affidato alle cure dello zio paterno parroco di Erin, per la catechesi della prima comunione e lo studio del Latino. Ma non c’era l’ingresso in seminario nei sogni del giovane Benoît, quanto piuttosto il desiderio di farsi monaco trappista, una decisione maturata in silenzio grazie soprattutto alla lettura dei dieci tomi dei «Sermoni» di Jean Le Jeune (morto nel 1672), oratoriano cieco, che a 80 anni si era lasciato divorare dai pidocchi per spirito di penitenza. A fronte del rifiuto dei genitori, questa volta trova aiuto in uno zio materno, parroco a Conteville, che lo induce ad accantonare l’idea della trappa per entrare invece nell’Ordine dei Certosini.

 

Una soluzione che evidentemente non faceva per lui. È lunga la serie di certose dove Benoît o non viene accolto oppure, una volta entrato, viene assalito da attacchi di panico (Valsainte, Montreuil-sur-Mer, Neuville…) e costretto a rientrare in famiglia, continuando a sognare la trappa. Mossi a pietà per quel figlio alla ricerca della sua strada, il 25 novembre 1767 i genitori lo lasciarono partire alla volta della Grande-Trappe de Soligny in Normandia. Dopo 60 leghe percorse a piedi in un rigido autunno-inverno, non gli è permesso di entrare per via della troppo giovane età: aveva solo 20 anni, ma da quel momento inizia per lui una vita di incertezza e peregrinazioni che si concluderà alla sua morte, a soli 35 anni.

 

Determinato a raggiungere il suo obiettivo, bussa alla porta della trappa di Sept-Fons, a Dompierre-sur-Besbre: ancora un rifiuto. Una buona parola di monsignor de Pressy, il vescovo che lo aveva cresimato, gli offre uno spiraglio verso la certosa di Neuville, dove però ritrova la medesima angoscia associata a febbre alta e dopo due mesi è di nuovo fuori ancora alla ricerca della propria vocazione. Ultimo tentativo ancora a Sept-Fons: ammesso come postulante, riceve il nome di Urbain, ma ben presto finisce per decidere definitivamente che la cella di un monastero non fa per lui, sebbene avesse poi sempre portato con sé la tunica e lo scapolare di novizio.

 

A 22 anni, nel 1770 s’incammina in pellegrinaggio alla volta di Roma, mosso dal desiderio di fare luce sulla propria vita. Accolto nel frattempo tra le fila del Terz’ordine francescano, si mette in viaggio vestito di saio con i fianchi cinti da una corda (segno della scelta di povertà di Francesco d’Assisi) da cui pendeva una ciotola di legno, un crocifisso e una corona del rosario al collo e un cappello di feltro nero. Unico bagaglio di viaggiatore una bisaccia, che conteneva più che altro libri come «l’Imitazione di Cristo», il «Nuovo Testamento», il «Breviario» e il «Memoriale» di Luigi di Granada. Aveva però raggiunto finalmente il suo scopo e la «chiamata» si delineava sempre più chiara: se un abate gli aveva detto «Dio vi aspetta altrove», la strada sarebbe stata il suo monastero e la sua trappa testimoniando con la vita, come soleva dire, che «in questo mondo siamo tutti pellegrini verso il Paradiso».

 

Per quindici anni sarà pellegrino da un santuario all’altro, cibandosi di un tozzo di pane ed erbe selvatiche: non chiedeva neppure l’elemosina e, allorché qualche buon’anima gli faceva dono di pochi spiccioli, si affrettava a condividerli con gli altri poveri, incurante del rischio che il benefattore, irritato, facesse seguire al denaro una serie di bastonate, come effettivamente accadde una volta.

 

Dopo aver sostato lungo il cammino verso la «Città Eterna» presso la tomba di san Francesco ad Assisi e quindi alla «Santa Casa» di Loreto, raggiunge Roma il 3 dicembre 1770 e lì fissa la sua base, senza però mai possedere un tetto. Dopo tre giorni trascorsi presso l’ospizio di San Luigi dei francesi, avvilito per le troppe bestemmie, preferisce mescolarsi ai tanti poveri che bivaccavano lungo le vie, ma visita anche tutte le basiliche che incontra, sale in ginocchio la «Scala Santa» e non disdegna di sostare sotto gli archi del Colosseo. A chi gli domandava qualcosa, rispondeva: «Faccio la volontà di Dio».

 

La gente comincia a riconoscere e familiarizzare con questo giovane dai tratti delicati e l’accento straniero che appellava con le espressioni più disparate: «Penitente del Colosseo», «pellegrino della Madonna», «povero delle Quarantore». Per qualcuno «il nuovo sant’Alessio» in quanto, come il patrizio romano che si era fatto mendicante sull’Aventino, soleva ripetere: «Occorre abbandonare patria e famiglia per condurre una nuova vita di estrema penitenza, in mezzo al mondo, visitando in pellegrinaggio i santuari cattolici più frequentati».

 

Da Roma andrà poi in pellegrinaggio (si stimano almeno 30mila km da lui percorsi) sempre a piedi alla volta di numerosi santuari in Italia e all’estero: Chieri, La Verna, Camaldoli, Montecassino, San Michele al Gargano, San Nicola di Bari, Valverde a Catania, San Romualdo a Fabriano, e poi il monastero di Einsiedeln in Svizzera, Santiago de Compostela in Spagna, Paray-le-Monial, Lione, Chambery nella sua terra di Francia. Quando gli capitava di bussare alla porta di qualche convento dove non era conosciuto, viste le sue condizioni, veniva sempre accolto con pietà, ma se udiva espressioni come «povero disgraziato!» rispondeva «perché mai? Disgraziati sono piuttosto quelli all’inferno che hanno perduto Dio per sempre!».

 

Talvolta aveva faticato a ricevere l’eucaristia perché il celebrante, vedendolo in pessime condizioni, lercio e coi vestiti colonizzati dagli insetti, non aveva il coraggio di accostarsi a lui. Ma, ricevuta l’ostia, accadeva di frequente che sul piattino cadessero due grosse lacrime.

 

Gli ultimi sei anni, logorato dalla penitenza, non era più in condizione di allontanarsi troppo da Roma, ma, nonostante gli stenti, riuscì a raggiungere, annualmente, il Santuario di Loreto. In quel periodo la Provvidenza gli fece dono dell’aiuto in un pio religioso, l’abate Mancini, che l’aveva incontrato una sera sotto le arcate del Colosseo convincendolo a cercare un riparo migliore presso l’ospizio di San Martino ai Monti dove tornò ogni notte. Trascorreva le giornate a vagare da una chiesa all’altra dove sostava raccolto in preghiera presso il tabernacolo o qualche altare dedicato alla Vergine Maria o a santi martiri. Qualcuno lo descrive così assorto in contemplazione da assomigliare a una statua.

 

«Fu cercatore di Dio sulle strade della terra. La solitudine fu la sua vocazione, foss’egli smarrito fra sentieri selvaggi o fra il popolo di Roma. La contemplazione dovette essere tutta la sua vita nel tempo che precedette la beatitudine eterna» scrisse di lui il filosofo cattolico suo connazionale Jacques Maritain.

 

Ma la ferrea mortificazione della carne e la vita vagabonda avevano finito per logorare la sua già fragile fibra e il 16 aprile 1783, mercoledì santo, dopo aver partecipato a ben due celebrazioni eucaristiche, Benoît, «martire della penitenza», cade svenuto sulle scale all’uscita dalla chiesa di Santa Maria dei Monti dove i fedeli avevano notato il suo stato di estrema debilitazione fisica.

 

Coincidenza volle che fosse riconosciuto dal macellaio del quartiere, un certo Francesco Zaccarelli, che lo ricoverò a casa sua, in via dei Serpenti 2, ma nonostante le cure e un pasto caldo, Labre morì quella sera stessa dopo aver ricevuto il sacramento degli infermi all’ora dei vespri.

 

La notizia della sua morte si diffuse rapidamente tra i mendicanti di Roma e fra le persone buone che l’avevano aiutato tanto che il suo Funerale venne paragonato a quello di san Filippo Neri per la folla immensa in lacrime che già lo chiamava «santo».

 

Per decisione del curato il «vagabondo di Dio» il 20 aprile venne sepolto in Santa Maria dei Monti in una nicchia sotto l’altare, mentre in Francia la sua casa veniva spogliata di ogni suppellettile da conservare come reliquia. Le cronache raccontano che già poche settimane dopo cominciarono a registrarsi per sua intercessione delle guarigioni miracolose (se ne stimano 36 in 3 mesi) e in molte case e chiese di Francia, Germania e Svizzera cominciarono a diffondersi immagini e statue che lo raffiguravano vagabondo, con l’aureola, venerato come il protettore dei mendicanti, i barboni senzatetto, i pellegrini, i viaggiatori, e delle persone disadattate.

 

Non erano passati tre mesi dalla morte che venne aperta la causa per elevarlo all’onore degli altari: Pio IX lo beatificò il 20 settembre 1859 e Leone XIII lo canonizzò l’8 dicembre 1881.

 

Lo «zingaro di Cristo» finì invece nell’oblio in casa nostra, che pure lui aveva scelto come sua seconda patria. Ma nel secolo scorso la riscoperta. Per fare un esempio, a Vasto in Abruzzo, nella chiesa di Santa Filomena dei Baroni Genova-Rulli, si custodisce un quadro del Santo dipinto dall’artista fiorentino Achille Carnevali nel 1923.

 

A Roma, nel quartiere Tuscolano, dal 1931 la chiesa di Santa Maria Immacolata e San Benedetto Giuseppe Labre; nel 1997 nel IV municipio è stata eretta la Parrocchia a lui dedicata.

 

Ancora più intenso il ricordo oltralpe: a Parigi, nella santa chiesa Marie des Batignolles, XVII arrondissement, una statua dello scultore Daphné Jardon è stata collocata proprio nel giugno scorso in occasione dell’istituzione della Giornata dei Poveri; a Lille, nella chiesa a lui dedicata un grande affresco chiude la navata, ma sono numerose nella sua terra di Francia le chiese, le cappelle e anche oratori a lui intitolati (persino un’associazione e un sito web «Les amis de saint Benoît Labre»).

Chiese dedicate a Labre si trovano anche in Belgio, Canada (Quebec e Ontario) e Stati Uniti (Montana, Vermont e New York).

Maria Teresa Pontara Pederiva – VaticanInsider

20 Novembre 2017 | 07:10
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