Ticino e Grigionitaliano

La vera fratellanza esiste quando si riconosce il valore dell’altro

di Laura Quadri 

Un popolo ferito, ma anche una Chiesa. È questa la realtà della guerra attualmente in corso tra Ucraina e Russia. A soffrire, sotto il colpo delle bombe, anche una realtà ecclesiale complessa – quella della Chiesa ortodossa ucraina – già profondamente divisa al suo interno prima ancora che i combattimenti iniziassero, in particolare dalla lotta per la propria indipendenza. Mentre Gino Driussi, nell’introduzione all’articolo sottostante ripercorre le tappe storiche più recenti di questo conflitto nel mondo ortodosso, Adalberto Mainardi, monaco di Bose, studioso di storia della Chiesa russa, di spiritualità ortodossa e di ecumenismo, – ospite il 26 aprile alle 20.30 dell’Associazione «Biblioteca Salita dei Frati», per la conferenza «L’amore e altri enigmi. Echi biblici nella narrativa di Anton Cechov» – riflette con noi sulle conseguenze più vaste di queste tensioni che la guerra ha acuito.

Adalberto Mainardi, ci può dire, dal suo punto di osservazione, come la Chiesa ortodossa sta vivendo il conflitto tra Russia e Ucraina?

«Per la Chiesa ortodossa in generale, ma soprattutto per quella ucraina e russa, il conflitto è una vera tragedia. Da una parte, si sostiene che russi e ucraini siano popoli fratelli: un’immagine recuperata a livello retorico, nei discorsi ufficiali, per rivendicare un’eredità culturale unica contrapposta all’Occidente. Ma questa retorica è stata smascherata dal metropolita di Kiev Onufrij, primate della Chiesa ortodossa ucraina (del Patriarcato di Mosca), sin dal primo giorno del conflitto: rivolgendosi a Putin gli ha chiesto di fermare questa guerra fratricida, tra due popoli «fratelli» che stavano ripetendo la vicenda di Caino e Abele.

Le Chiese, d’altro canto, non sono esenti dal grande movimento innescatosi dopo la caduta del comunismo, che portò le ex repubbliche sovietiche a ricercare l’indipendenza: da un lato quelle centroasiatiche e caucasiche, dall’altro quelle europee (Bielorussia, Moldova, Ucraina), che ritrovarono le loro comuni radici cristiane, negate nell’URSS lungo quasi 70 anni. Una parte consistente degli ortodossi in Ucraina desiderano per questo, anche se in modi e forme diverse, una loro autonomia rispetto a Mosca. Vi è però un problema fondamentale: nel mondo ortodosso non esistono procedure canoniche condivise che indichino che cosa debba fare una Chiesa che voglia essere indipendente dalle altre (in termini tecnici, «autocefala»). Da qui una serie di tentativi storici infruttuosi, coronati solo parzialmente dal successo quando nel 2019 il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo ha accordato l’autocefalia a una nuova «Chiesa ortodossa d’Ucraina», provocando però una dolorosa divisione nell’ortodossia. In un certo senso, il conflitto armato tra Russia e Ucraina è stato preceduto dal conflitto giurisdizionale tra le Chiese».

Come capire, allora, questo appello ricorrente alla «fratellanza» tradita, da parte soprattutto ucraina?

«L’appello alla fratellanza ha senso solo se porta alla fine della guerra. Spesso però la retorica dei popoli fratelli si salda con l’ideologia del «Mondo russo» (Russkij mir): è l’idea di un’unica grande civiltà russa, un’unità culturale, storico-politica e spirituale insieme, con al centro la Russia circondata da Stati – e Chiese – «vassalli». Il Patriarca Kirill, e anche Putin, hanno fatto spesso ricorso a queste idee nei loro discorsi. Sollecitato affinché dicesse una parola sul conflitto, Kirill ha espresso solidarietà con il Donbass e i valori che esso rappresenta, contrari , a suo dire, a quelli di un Occidente degradato. Solo di recente il patriarca è tornato a sottolineare il valore dell’unità della Chiesa: questo, presumibilmente, non tanto in vista di una soluzione pacifica del conflitto, ma per scongiurare la possibilità che la Chiesa ortodossa ucraina si allontani ancora di più da quella russa dopo gli eventi del 2019».

Dal mondo ortodosso si sono levate anche molte voci contrarie a Kirill… 

«La prima domenica di Quaresima, qualche centinaio tra i più insigni teologi ortodossi del mondo hanno firmato un documento molto critico verso la politica di Kirill e l’ideologia del «Mondo russo», definita un’eresia. La maggior parte dei capi delle Chiese ortodosse ha condannato la guerra. Ma ancora più significativo mi pare il fatto che quindici vescovi ucraini del Patriarcato di Mosca abbiano cessato di commemorare il patriarca nella preghiera eucaristica. Quasi uno scisma.

Più di recente un gruppo di duecento preti della Chiesa ortodossa ucraina si sono appellati ai patriarchi orientali accusando il patriarca russo di delitti morali (per la benedizione della guerra) e di eresia (per l’ideologia del «Mondo russo»). Un atto certo solo simbolico, che ha un precedente: la deposizione del patriarca Nikon nel 1666. In quel caso però la richiesta veniva dallo zar».

C’è chi accusa papa Francesco perché non ha mai pronunciato il nome di Putin. Lei come interpreta questa scelta?

«L’obiettivo di Papa Francesco è la pace ed evitare in tutti i modi una confessionalizzazione della guerra, esattamente all’opposto delle preoccupazioni di Kirill, ma anche del presidente degli Stati Uniti Biden. Per papa Francesco conta tutt’altro: certamente c’è un’aggressione da condannare, ma tutti, sia russi sia ucraini, sia le altre potenze in gioco, devono essere messi di fronte alla responsabilità di ricercare la pace in vista del bene comune. Non c’è un nemico da distruggere, piuttosto c’è una fraternità, nel senso vero e profondo del termine, da ritrovare».

A Lugano, invece, lei viene per una conferenza su Anton Cechov. Può un progetto di pace passare dalla cultura?

«Credo proprio di sì. Grandi scrittori russi sono in realtà ucraini, come Gogol’ o Michail Bulgakov, perseguitato dal regime ma amato (un paradosso!) da Stalin. Anche Putin si definisce ammiratore di Taras Ševcenko, il poeta nazionale ucraino. In realtà la grande cultura russa non deriva da un’ideologia che colonizza, ma è un pensiero che sa accogliere. Così avviene con la «fratellanza»: essa può esistere se c’è dialogo, non assorbimento. Il dialogo nasce quando non si cancellano le differenze, ma se ne capisce il valore».

Incontro a Lugano, alla Biblioteca Salita dei Frati, martedì 26 aprile alle 20.30

Un compito fondamentale dell’Associazione «Biblioteca Salita dei Frati» è quello di promuovere un’attività culturale pubblica con l’organizzazione di incontri di studio su tematiche di cultura religiosa. Per il ciclo «Bibbia, letteratura e filosofia», vengono in particolare riproposte le analisi di celebri testi della letteratura occidentale che sono ispirati a passi biblici o ne sono una riscrittura. Dopo la conferenza della prof.ssa Gabriella Farina sulle reinterpretazioni filosofiche della vicenda biblica di Caino e Abele, lo scorso 7 aprile, Adalberto Mainardi, il 26 aprile alle 20.30, darà una lettura di Anton Cechov. «Cechov è un autore di prima grandezza », ci spiega Mainardi. «La sua religiosità, se così si può dire, scaturisce da una spassionata osservazione dell’»umano»: i suoi testi raccontano storie di vita che toccano tutti. Gli echi biblici nei suoi racconti sono il retaggio della tradizione liturgica russa di cui era impregnato e che, pur professandosi agnostico, amava».

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25 Aprile 2022 | 06:41
Tempo di lettura: ca. 4 min.
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