Ticino e Grigionitaliano

La sottile linea tra online e offline in un mondo sempre più connesso

di Cristina Uguccioni 

La pervasività della dimensione tecnologica rappresenta una novità della nostra epoca che pone numerosi interrogativi e chiede analisi e riflessioni accurate. Ne parliamo oggi con il professor Adriano Fabris, docente di Filosofia Morale ed Etica della Comunicazione all’università di Pisa e direttore del Master in Scienza, Filosofia e Teologia delle religioni alla Facoltà Teologica di Lugano.

Sul piano antropologico, le tecnologie della comunicazione quali mutamenti stanno provocando? E come stanno cambiando le nozioni di tempo e di spazio?

Ogni sviluppo tecnologico incide sulle relazioni tra gli esseri umani e quindi provoca cambiamenti sul piano antropologico. In particolare, le tecnologie della comunicazione oggi disponibili stanno determinando la moltiplicazione degli ambienti in cui gli esseri umani vivono: non esiste più solo il mondo offline che abitiamo con il nostro corpo, ma vi sono ambienti in cui è possibile vivere online ed essi sono numerosi e compresenti. Con lo smartphone possiamo essere su una piattaforma e allo stesso tempo chattare in un gruppo whatsapp e magari dare un’occhiata alle foto caricate da un amico su Instagram.

Questa compresenza di numerosi ambienti digitali in cui si vive è un fatto inedito. La nozione tradizionale di spazio viene ridisegnata così come quella di tempo: abitare nello stesso istante più ambienti consente di vivere esperienze diverse simultaneamente. Tutto è presente, basta solo coglierlo. In questo modo si perde la preziosa dimensione dello scorrere del tempo, fatto di passato, presente, futuro, di memoria, esperienza hic et nunc e aspettative. Al moltiplicarsi degli ambienti digitali in cui è possibile vivere si accompagna poi un altro fenomeno: la riduzione dell’uso dei nostri sensi. Infatti nel mondo online non si utilizzano tutti i sensi. Il nostro corpo viene in certo modo menomato, si sacrifica una dimensione costitutiva del nostro essere.

Come si articola il suo giudizio sulle tecnologie della comunicazione?

Sarebbe sbagliato condannare sbrigativamente queste tecnologie: il loro uso rappresenta una ulteriore possibilità offerta all’essere umano. La possibilità di vivere in molti ambienti digitali è cosa buona a condizione che venga vissuta senza sacrificare ciò che è proprio dell’essere umano ossia senza sacrificare il nostro corpo, la nostra vita in carne ed ossa. Inoltre, questa possibilità di vivere in molti ambienti è cosa buona a condizione che si impari a mettere ordine tra loro istituendo una gerarchia tra ciò che in quel momento è importante e ciò che lo è meno. Se sto guidando un’auto, non mi metterò a chattare sul telefonino perché ciò che più conta in quel momento è non causare un incidente. L’etica della comunicazione digitale è la disciplina che aiuta a mettere ordine e a istituire corrette gerarchie.

Quale consiglio vorrebbe offrire ai genitori che cercano di educare i figli ad un uso responsabile delle tecnologie della comunicazione?

Il primo consiglio è di non lasciar fare i ragazzi ma di impegnarsi e prendere sul serio la necessità di educarli anche per la vita nel mondo online proprio come li si educa per la vita nel mondo offline. Il secondo consiglio è quello di accompagnarli, di non lasciarli soli davanti ai loro dispositivi digitali. Oggi questi strumenti sono facili da usare ma non basta sapere come farli funzionare per conoscerli davvero e comprendere tutte le conseguenze che il loro uso determina. Bisogna guidare i ragazzi. Infine, è indispensabile aiutarli a comprendere la portata e anche la possibile gravità delle loro azioni: ciò che accade online non resta limitato a quel mondo ma ha conseguenze nel mondo offline. Se si insulta e si denigra una persona in un ambiente digitale, quella persona soffrirà nella propria vita reale. Bisogna in tutti modi evitare che accada.

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17 Agosto 2022 | 14:04
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