Mons. Aldo Giordano.
Internazionale

La «Charta oecumenica»: «un documento più attuale che mai»

«In quanto Conferenza delle Chiese europee (KEK) e Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE) siamo fermamente determinati, nello spirito del messaggio scaturito dalle due Assemblee ecumeniche europee di Basilea 1989 e di Graz 1997, a mantenere e a sviluppare ulteriormente la comunione che è cresciuta tra noi. Ringraziamo il nostro Dio Trinità che, mediante lo Spirito Santo, conduce i nostri passi verso una comunione sempre più intensa».

Incomincia così la «Charta oecumenica», il documento firmato 20 anni fa, il 22 aprile 2001 a Strasburgo, dagli allora presidenti della KEK e del CCEE, rispettivamente il metropolita ortodosso Geremia e il cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga, al termine di un intenso incontro ecumenico. La «Charta oecumenica» contiene le linee guida per accrescere la collaborazione tra le Chiese cristiane in Europa. Ne costituiscono l’ossatura 12 compiti ecumenici, relativi alle relazioni interne ai cristiani e alle loro Chiese, a quelle con la politica e la società e a quelle interreligiose. Un testo che – come si legge nella premessa – «deve promuovere, a tutti i livelli della vita delle Chiese, una cultura ecumenica del dialogo e della collaborazione e creare a tal fine un criterio vincolante. Essa non riveste tuttavia alcun carattere dogmatico-magisteriale o giuridico-ecclesiale. La sua normatività consiste piuttosto nell’auto-obbligazione da parte delle Chiese e delle organizzazioni ecumeniche europee».

Mons. Aldo Giordano, attuale nunzio apostolico in Venezuela, fu intensamente coinvolto nella preparazione  della «Charta oecumenica» in quanto segretario generale del CCEE, ruolo che svolse dal 1995 al 2008. Lo abbiamo intervistato.

Mons. Giordano, che ricordi ha di quel 22 aprile 2001?

Il metropolita ortodosso Daniel, ora Patriarca di Romania, all’uscita dalla Chiesa Saint- Thomas di Strasburgo, dopo la firma della «Charta Oecumenica» mi aveva detto: «il cielo nuvoloso di questi giorni si è aperto per uno squarcio di azzurro su di noi: è un segno che Dio benedice ciò che abbiamo realizzato!». Per tanti anni avevo percorso le strade dell’Europa, a volte con l’impressione che il cielo fosse chiuso o mancasse aria fresca da respirare. La «Charta Oecumenica» era un testo, un processo, ma voleva anche essere un sogno: contribuire a riaprire il cielo azzurro sull’Europa e le sue Chiese. Al termine dell’incontro di Strasburgo era ben percepibile la gioia per l’avvenimento vissuto. Così si era espresso un giovane partecipante: «non saprei dire esattamente cosa, ma c’è la chiara percezione che è accaduto qualcosa di nuovo. Probabilmente, come i discepoli di Emmaus, abbiamo sperimentato la luce e la gioia della presenza del Risorto fra noi«. Il testo fu firmato al termine di un incontro ecumenico europeo, all’inizio del nuovo millennio, in un anno in cui la data della Pasqua coincideva per tutte le Chiese e comunità cristiane. Ad esso avevano partecipato oltre 250 delegati del continente, la metà responsabili di Chiese e la metà giovani, riuniti per pregare e riflettere attorno al tema «Sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Avevamo invitato i giovani, convinti che loro avevano la possibilità di scrivere pagine nuove nella storia della riconciliazione. La «Charta» era frutto di un lungo e impegnativo lavoro corale fatto insieme dalle tre grandi tradizioni ecclesiali cristiane presenti in Europa: cattolica, ortodossa e protestante. Per questo era una chance perché ogni Chiesa locale diventasse protagonista dell’intero capitolo della riconciliazione tra i cristiani e non solo di quello nazionale. Un progetto o un’iniziativa delle Chiese vale quanta vita, comunione, preghiera, dialoghi, incontri, fatiche, sofferenze, speranze, contiene. Quando al segretariato CCEE a San Gallo  abbiamo cominciato a ricevere, da tanti luoghi dell’Europa, lettere, messaggi e telefonate da singole persone, comunità di clausura, famiglie religiose, diocesi, parrocchie, movimenti che ci dicevano: «noi stiamo pregando e vivendo per il processo della Charta Oecumenica e stiamo organizzando a livello locale incontri per discutere e concretizzare la Charta», abbiamo compreso  che il processo della «Charta» era iniziato e avrebbe portato dei frutti.  

In cosa la Charta oecumenica è ancora attuale 20 anni dopo?

La «Charta Oecumenica» è il primo documento storico di questo genere. Era la prima volta nella storia che i cristiani dell’Europa di tutte le tradizioni scrivevano insieme un breve testo per assumersi degli impegni comuni per collaborare, offrire insieme una testimonianza del Vangelo, camminare verso la riconciliazione e per contribuire alla costruzione della casa europea. Era uno strumento che le Chiese del continente si davano per affrontare con responsabilità le sfide poste dalla storia contemporanea dell’Europa e del mondo. Sono passati 20 anni, la storia corre molto veloce, ma le sfide di fondo restano le stesse. Come contribuire a costruire una «casa» europea capace di ospitare popoli, culture, etnie e religioni diversi senza, da un lato, annientare le singole identità con sistemi totalizzanti e senza, dall’altro, cadere nelle chiusure o in conflitti distruttivi tra le differenze? Come assumersi, in quanto europei, i problemi dell’umanità intera, specie del sud del mondo, in una logica di scambio di doni? Come essere presenti come Chiese in una società segnata dal pluralismo culturale, etico e religioso? Come affrontare insieme le grandi domande etiche globali dell’umanità: dalla custodia della creazione alla biomedicina, alla pace, alla giustizia? Come rispondere alla grande domanda di senso, di amore, di felicità che in un’Europa post-ideologica, dopo la caduta del Muro, era diventata nuovamente molto udibile, specie tra le giovani generazioni, in particolare davanti alle esperienze del dolore e della morte? Altrettanto attuale è per le Chiese la sfida dell’evangelizzazione, che costituiva probabilmente il motivo più serio di una «Charta Oecumenica», insieme alla persuasione che le comunità cristiane non siano credibili nel loro annuncio e testimonianza del Vangelo se si presentano disunite o addirittura in conflitto fra loro. È in gioco l’essenza stessa delle Chiese e il futuro del cristianesimo.

Si ha un po’ l’impressione che, come tanti atri documenti, anche la Charta oecumenica sia stata messa nel dimenticatoio. Su quali punti in particolare, secondo lei, non è stata ancora attuata dalle Chiese e meriterebbe di essere rilanciata?

La «Charta» si presentava come un processo. L’autorità del testo consisteva nell’auto-obbligazione da parte delle Chiese e quindi tutto dipendeva dal processo che avrebbe generato, soprattutto a livello locale. Per convincerci che sarebbe molto promettente un rilancio di questo processo della «Charta Oecumenica», mi sembra sufficiente ripercorrere la serie dei 26 impegni (»ci impegniamo») che scandiscono il testo, scritti a nome di tutte le Chiese d’Europa. Gli impegni costituiscono un processo articolato in tre parti. L’ispirazione di fondo di ogni parte è espressa da una citazione della Scrittura che segue il titolo. Si è voluto indicare che la chiave interpretativa più seria di ogni impegno è la Parola di Dio. Alla Parola occorre tornare per avere una luce comune e fondamentale per il cammino verso l’unità visibile tra le Chiese. Essa è il patrimonio comune dei cristiani a cui tutti fanno riferimento. Solo la Parola di Dio può essere criterio per illuminare i punti controversi tra le Chiese.

La prima parte della Charta formula la base teologica dell’impegno ecumenico: la professione di fede nel Dio Trinità e nella Chiesa «una, santa, cattolica e apostolica», sul fondamento della Scrittura e secondo la formulazione del concilio di Nicea-Costantinopoli (381). Nel secondo capoverso è inserita la chiave di lettura cristologica: il riferimento è al Cristo pasquale come via e segreto per la riconciliazione. Da questa fede comune sgorgano i «noi ci impegniamo» destinati a rendere visibile l’unità che è sempre un dono di Dio. Anche se in modo molto veloce nel primo capitolo mi sembra chiara questa visione teologica: la Scrittura è il riferimento base; essa è la testimonianza del Cristo che rivela il volto trinitario di Dio e in Dio si trova la visione della Chiesa e della sua unità: dalla scrittura, alla cristologia, alla teologia, per giungere all’ecclesiologia.

La seconda parte del testo esprime i passi da fare per la crescita della collaborazione e dell’unità visibile tra i cristiani e le Chiese: In cammino verso l’unità visibile delle Chiese in Europa. I contributi delle Chiese e delle Conferenze Episcopali ci avevano spinto a dare la priorità in questa parte alla evangelizzazione (n.2). È stato particolarmente difficile scrivere questo punto, perché si trattava da un lato di salvare la libertà dell’evangelizzazione e quella di coscienza e, d’altro lato, criticare ogni forma di proselitismo. Il numero 4 affronta un’altra delicata questione: il rapporto tra chiese maggioritarie e minoritarie nei nostri paesi. Il tema della preghiera comune (n. 5) ha nuovamente richiesto molta luce dello Spirito Santo! Alcune Chiese avevano grosse riserve sulla preghiera ecumenica comune, data la nostra divisione nella fede. In realtà il concetto stesso di preghiera ha contenuti diversi nelle varie Chiese e comunità ecclesiali. Secondo alcuni su questo punto nel testo della Charta siamo rimasti ad un minimo denominatore comune. Tuttavia se gli impegni indicati fossero realtà, credo che saremmo già molto avanti nel cammino di riconciliazione. Non conosco tante parrocchie o comunità dove si prega stabilmente per le altre Chiese e per l’unità dei cristiani (primo impegno) o dove si conoscono e si apprezzano le celebrazioni delle altre Chiese e le altre forme di vita spirituale (secondo impegno). Il numero 6 spinge sulla strada del dialogo per arrivare ad un consenso sulle questioni dogmatiche ed etiche. Oggi sperimentiamo che sono in particolare proprio certe problematiche etiche che ci dividono e complicano i rapporti fra le Chiese.  La Charta chiede di impegnarsi a continuare il dialogo anche sui punti controversi che minacciano l’unità.

La terza parte della Charta Oecumenica – la più estesa – delinea i contributi fondamentali che le Chiese sono chiamate ad offrire all’Europa: La nostra comune responsabilità in Europa. Le Chiese, senza pretendere di avere una riposta esaustiva su tutti i problemi della società e della cultura, si sentono responsabili di contribuire a plasmare l’Europa. Esse sentono che l’originalità del loro apporto sta soprattutto nel campo della riconciliazione e dei grandi dialoghi tra i popoli, le culture e le religioni. Trovo significativo il fatto che per dire l’originalità «cristiana» del testo rispetto ad altre dichiarazioni o carte sui diritti fondamentali o i diritti umani si sia inserito il concetto di perdono e di misericordia (n.7). Il numero 8 affronta un problema cruciale e decisivo per il futuro dell’Europa: valorizzare la ricchezza delle tradizioni regionali, nazionali, culturali e religiose senza cadere nelle deleterie forme di nazionalismo o fondamentalismo. Molti contributi avevano chiesto di dare rilievo al tema della salvaguardia del creato (n.9). Nella prima bozza il tema del rapporto con l’Ebraismo (n.10) era interno al capitolo del rapporto con le diverse religioni. Da molte parti è stato chiaramente richiesto che l’ebraismo avesse un capitolo a riferimento  per dire lo speciale rapporto che lega i cristiani al popolo d’Israele. Anche l’ultimo numero (il 12), dedicato all’incontro con altre religioni e visioni del mondo, ha richiesto molto dibattito: da un lato si voleva sottolineare la libertà di coscienza delle persone e l’importanza di un confronto leale con tutti, dall’altra non si poteva tacere il fatto che certe esperienze pseudo-religiose sono aperte alla violenza e contengono gravi rischi per gli aderenti e la società, anche con violazioni del diritto vigente. Nell’affermazione finale della Charta: «testimoniare la fede cristiana», si è voluto ancora ricordare che il primo dovere delle Chiese è quello di annunciare la «buona notizia» a tutti, nella consapevolezza che quella di Cristo è veramente la notizia attesa dall’umanità intera.

Durante l’incontro si è paragonato il cammino ecumenico a una maratona o a una staffetta di cui non conosciamo ancora esattamente né la meta né il punto in cui ci troviamo, ma Dio sa dove siamo e come finirà questa avventura! Dopo 20 anni la «Charta Oecumenica» ha la maturità e la giovinezza per essere rilanciata, per suscitare una nuova onda di studi, dialoghi, incontri, azioni concrete, progetti. Il testo è tradotto nelle varie lingue del continente e pubblicato in modo ampio. La «Charta» può aiutare ancora oggi a rilanciare il tema della costruzione europea e della sua vocazione storica per il pianeta terra, affrontando insieme gravi e decisivi temi per il futuro dell’umanità. Essa possa divenire sempre più l’occasione per laboratori ecumenici, ad ogni livello, a servizio di quell’ecumenismo di popolo e di quella spiritualità ecumenica che sembrano essere la chance dei nostri giorni per il cammino di riconciliazione. Durante la stesura della «Charta Oecumenica» ci siamo ripetuti tante volte: «Se l’Europa ha esportato nel mondo le divisioni tra i cristiani, ora ha la responsabilità di esportare la riconciliazione ritrovata».

La mia esperienza nel campo della riconciliazione fra i cristiani mi ha insegnato che per avere una fiducia ecumenica senza esitazione occorre avere occhi per riconoscere e amare, nelle divisioni, nei ritardi ecumenici, nelle paure, nei tradimenti, negli scandali, la presenza del Cristo Crocifisso. Questo elimina l’esitazione e la tentazione di arrendersi. Non siamo soli, il Cristo ci ha «preceduti» anche per l’unità della Chiesa e ha già dato la vita per «redimere» le nostre divisioni e i peccati che segnano i nostri rapporti. In Cristo il muro di separazione è già caduto. I suoi discepoli sono chiamati a fare lo stesso verso ogni fratello e specie verso chi condivide la stessa fede in Lui.

Gino Driussi

Mons. Aldo Giordano.
22 Aprile 2021 | 07:39
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