Mons. Paul Hinder, vescovo svizzero attualmente vicario apostolico dell'Arabia meridionale.
Svizzera

Intervista a mons. Hinder, ottantenne cappuccino svizzero, da 18 anni ad Abu Dhabi

Il prossimo 22 aprile compirà ottant’anni il vescovo svizzero Paul Hinder. Li festeggerà ad Abu Dhabi, dove vive da diciotto anni. Nato a Lanterswil, nel Cantone Turgovia, appartiene all’Ordine dei frati minori cappuccini: è vicario apostolico dell’Arabia del Sud (comprendente Emirati Arabi Uniti, Yemen, Oman) e – dal 2020 dopo la scomparsa del vicario, monsignor Camillo Ballin – amministratore apostolico del vicariato dell’Arabia del Nord (comprendente Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Bahrain). «In questi sette Paesi sorgono 18 chiese e prestano servizio circa 120 sacerdoti», racconta a catt.ch e catholica. «I cattolici, tutti stranieri, sono circa due milioni e mezzo: lavorano soprattutto in alcuni settori (edilizia, scuola, servizi, lavoro domestico) e provengono da oltre cento Paesi: in prevalenza Filippine, India e altri Stati asiatici. Vi è anche un numero consistente di fedeli di lingua araba (in maggioranza giunti da Libano, Siria, Giordania)».

Il 4 febbraio 2019, ad Abu Dhabi, è stato firmato da papa Francesco e da Ahmad Al-Tayyeb, grande imam di Al-Azhar, il «Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune». Ritiene che questo documento abbia contribuito a migliorare la qualità dei rapporti tra cristiani e musulmani nei due vicariati?

Sì: il miglioramento dei rapporti è un processo cominciato anni fa cui il Documento ha dato nuovo, significativo impulso. Purtroppo la pandemia non ha permesso di organizzare molte iniziative ma il processo continua: me ne sono accorto, ad esempio, in occasione dell’Expo di Dubai: gli organizzatori desideravano che la Santa Sede fosse presente e io stesso sono stato invitato a diversi meeting. Ora molte restrizioni imposte dalla pandemia sono state tolte e mi aspetto che gli incontri e le iniziative riprendano. A fine anno dovrebbe anche essere inaugurata ad Abu Dhabi la Casa Abramitica annunciata in occasione della firma del Documento: sarà un complesso comprendente una chiesa, una moschea e una sinagoga e ospiterà diverse attività.

Quali difficoltà stanno attualmente vivendo i cattolici nei due vicariati?
Noi cattolici continuiamo a rimanere stranieri in società musulmane radicate nei loro princìpi: siamo migranti, non cittadini e questa differenza pesa. A ciò si aggiungono le difficoltà provocate dalla pandemia: c’è chi è stato licenziato e chi ha molto faticato a mantenere l’impiego. Inoltre i fedeli hanno sofferto poiché le chiese sono state chiuse o sono state aperte solo per poche ore al giorno. Noi sacerdoti abbiamo comunque cercato di rimanere in contatto con tutti proponendo liturgie, ritiri, incontri online.
Quando le chiese sono state riaperte mi ha commosso vedere la gioia sul volto dei fedeli: è tornata quella vitalità che ha sempre contraddistinto le nostre comunità. Di recente in Oman ho celebrato la prima ordinazione sacerdotale di un giovane cresciuto qui e so che alcuni giovani si stanno avviando al sacerdozio. Questi frutti mi infondono fiducia: nonostante le difficoltà e i nostri limiti, la fede è viva e feconda. Questa Chiesa va avanti e ha un futuro. Il clima che si respira qui è più sereno rispetto a quello che si coglie altrove, ad esempio in Europa, dove mi pare si manifesti un sentimento di sconforto e sfiducia circa il futuro della Chiesa.

Penso che i cattolici dei due vicariati stiano partecipando al cammino sinodale.
Sì, e lo fanno con entusiasmo. Hanno formulato riflessioni, proposte, suggerimenti molto pertinenti che saranno utili al cammino sinodale e anche alla vita di questa Chiesa locale. Ripeto spesso ai fedeli che lo spirito sinodale deve continuare a caratterizzare la vita delle nostre comunità. Eviteremo così il rischio di cadere in una sorta di clericalismo secondo il quale i fedeli aspettano che il prete faccia tutto e il prete crede di poter fare tutto. Già oggi noi siamo una Chiesa che crollerebbe senza la presenza di un laicato appassionato e generosamente impegnato nelle attività ordinarie delle parrocchie.

Se dovesse tracciare un bilancio di questi 18 anni trascorsi ad Abu Dhabi, quali aspetti vorrebbe evidenziare?
Mi sono sempre sentito utile ed è stata per me una grande gioia guidare questo gregge, condividere la fede nel Signore, far conoscere e testimoniare il Suo amore e la Sua cura verso ogni creatura. Credo che i fedeli lo abbiano capito perché sono sempre stato accolto con affetto. Ciò che i fedeli forse ignorano è che io ho ricevuto molto da loro: sono stato arricchito dalla loro fede semplice e genuina, che mi ha aiutato ad approfondire il mio cammino di fede e ha sostenuto la mia preghiera. È un dono che non dimenticherò quando farò ritorno in Svizzera: ciò avverrà dopo che il Papa avrà nominato il mio successore, che io affiancherò per il tempo necessario.

In occasione della Pasqua, quale augurio desidera formulare ai fedeli in Svizzera?
Vorrei dire loro: Cristo è risorto, non abbiate paura! Qualche giorno fa è giunto qui un sacerdote ucraino: nonostante tutti gli orrori che ha visto nella sua terra, mi è parso sereno: ha realmente fede nel Cristo risorto. Purtroppo a volte ho invece l’impressione che il messaggio pasquale non venga preso sul serio, che non si creda sino in fondo che Cristo è risorto, che è vivo. E vive nelle donne e negli uomini che si affidano a Lui. È importante riorganizzare e riformare, se occorre, le strutture della Chiesa ma la sfida fondamentale è credere in Cristo risorto che ci dona la Sua pace e la forza di andare avanti, che ci fa vivere da risorti. Lui è in mezzo a noi anche nei momenti tragici. L’ultima parola è la Sua.

Cristina Uguccioni

Mons. Paul Hinder, vescovo svizzero attualmente vicario apostolico dell'Arabia meridionale.
18 Aprile 2022 | 14:07
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