Il cardinale Kurt Koch è presidente del Dicastero vaticano per l'Unità dei cristiani.
Svizzera

Il cardinale Koch: «Un Concilio ha un'autorità superiore a quella di un Sinodo»

Il cardinale Kurt Koch conserva una buona impressione della prima fase del Sinodo sulla sinodalità, che si è svolto a Roma nell’ottobre 2023. Ma nonostante le sue ampie radici nella Chiesa universale, un Sinodo non ha l’autorità decisionale di un Concilio, osserva l’ex vescovo di Basilea, ora presidente del Dicastero vaticano per la promozione dell’unità dei cristiani.


Annalena Müller, kath.ch/ traduzione e adattamento: Raphaël Zbinden/traduzione e adattamento redazionecatt

Quali sono le sue impressioni dopo le quattro settimane del Sinodo dei vescovi?

Cardinale Koch: Queste quattro settimane sono state solo la prima parte. La seconda parte seguirà l’anno prossimo. Ho trovato l’atmosfera in cui si è svolto il Sinodo molto positiva. Abbiamo parlato con franchezza delle questioni, delle difficoltà e delle sfide che la Chiesa deve affrontare oggi. In modo controverso, ma in uno spirito di ascolto reciproco e di volontà di comprensione. È stato bello non contrapporre subito i pro e i contro, ma cercare di ascoltarsi intensamente in un vero spirito di sinodalità.

Tra i membri del Sinodo, abbiamo sentito in diverse occasioni che questa apertura alla cultura del dibattito era qualcosa di nuovo. Sotto i papi precedenti c’erano argomenti tabù. Condivide questa opinione?

La condivido solo a metà. Da un lato, è vero che lo spirito della sinodalità, che si sta vivendo attualmente, è stato introdotto da Papa Francesco. D’altra parte, è sbagliato attribuire questa differenza semplicemente ai papi. Sia con Giovanni Paolo II che con Benedetto XVI, sono sempre stato in grado di affrontare tutte le questioni.

«La novità di questo sinodo è che le persone invitate dal Papa erano più numerose e avevano diritto di voto».

Non ho mai avuto l’impressione che ci fossero questioni che non potevano essere affrontate. Se questo non è avvenuto in passato, non è solo colpa dei papi, ma anche dei vescovi, che forse si sono autoimposti una censura.

L’attuale sinodo ha riunito vescovi e persone non consacrate: in che misura si tratta di una rottura rispetto al passato?

Nei sinodi precedenti c’erano già i cosiddetti delegati, ad esempio i rappresentanti di altre Chiese, che avevano diritto di parola. Al Sinodo dei giovani erano presenti molti giovani che hanno portato uno spirito nuovo. Anche al Sinodo sull’Amazzonia erano presenti diversi laici. La novità di questo Sinodo è stata che più persone sono state invitate dal Papa e hanno avuto diritto di voto.

Il fatto che le persone non ordinate avessero diritto di voto ha cambiato l’atmosfera?

C’era un’atmosfera particolare. Credo che questo sia dovuto a due motivi. I sinodi precedenti si svolgevano nell’aula sinodale, dove le persone si sedevano una dietro l’altra come in un’aula universitaria e guardavano in avanti i responsabili.

«Dobbiamo tenere presente che questo non è un documento finale, ma una relazione intermedia».

Nell’attuale sinodo, c’erano tavoli rotondi in cui dodici persone parlavano tra loro. In secondo luogo, c’erano vescovi e cardinali, esperti e rappresentanti di altre Chiese, laici e religiosi. Questa disposizione ha permesso di discutere in modo diverso.

In che misura?

Prima i vescovi venivano a Roma e avevano già preparato il loro voto. Il voto doveva anche essere inviato per iscritto. In questo Sinodo c’è stato molto spazio per la discussione, anche nei gruppi, e anche per la libera espressione. Questo ha creato un’atmosfera diversa. Anche la presenza di coloro che vengono chiamati i «non vescovi» e i loro contributi hanno dato un apporto significativo.

Negli ambienti sinodali abbiamo sentito dire che non tutti i vescovi condividono questa opinione. Alcuni laici hanno sentito dire che questo non è un vero sinodo dei vescovi. Cosa ne pensa?

In occasione di un sinodo dei vescovi, il Papa ha il diritto di invitare anche altri membri della Chiesa, come previsto dalla Costituzione apostolica Episcopalis Communio. Per questo, a mio avviso, il carattere del Sinodo dei vescovi non può essere messo in discussione.

Nel documento finale, le questioni scottanti del ruolo delle donne e delle minoranze sessuali non vengono affrontate in modo così centrale come molti in Svizzera avrebbero voluto. Dobbiamo prima imparare come funziona la Chiesa universale?

In primo luogo, dobbiamo tenere presente che questo non è un documento finale, ma un rapporto intermedio. Registra ciò che è stato discusso nel corso delle quattro settimane. È la base su cui dovremo pianificare il processo nei prossimi undici mesi e preparare la seconda parte del sinodo, il prossimo ottobre. Ci sono così tante questioni aperte nel documento che ci si chiede come possano essere risolte nei prossimi undici mesi.

«I delegati svizzeri racconteranno ora come hanno vissuto il sinodo e come vogliono portare ciò che hanno imparato alla Chiesa in Svizzera».

In secondo luogo, la relazione non ha lo scopo di decidere nulla, ma di elencare le discussioni che hanno avuto luogo e le questioni in sospeso che devono essere affrontate ora. In questo senso, la relazione è stata una riflessione onesta delle discussioni che si sono svolte. Tuttavia, credo che il prossimo anno dovremo dedicare più tempo alla discussione del documento.

In che misura?

I partecipanti al Sinodo hanno parlato intensamente tra loro per tre settimane. Durante la quarta settimana, sono stati sottoposti a una certa pressione temporale per redigere e discutere la relazione. Dopo aver letto la prima versione, sono state presentate 1.200 richieste di modifica, che hanno dovuto essere integrate nell’arco di un giorno e una notte. Mi sembra che la prossima volta si debba dare più tempo a questa fase.

Un sinodo non può decidere sulle riforme. Ma un’assemblea come il Sinodo mondiale, i cui temi vanno dalle Chiese locali a Roma e poi tornano a Roma attraverso le Chiese locali, non avrebbe una legittimità particolare? Anche più di un concilio – perché il sinodo rappresenta meglio la Chiesa universale nel suo insieme?

No, non credo. Perché un concilio ha un’autorità molto maggiore di un sinodo. In un concilio si riunisce l’intero episcopato e, insieme al Papa, può adottare documenti importanti. In un sinodo, le conferenze episcopali sono rappresentate da singoli membri. Un sinodo ha anche un carattere consultivo.

«Dovremmo rapportare la sinodalità più a Cristo, che è il centro della vita della Chiesa».

D’altra parte, i vescovi non sono gli unici a partecipare a un Concilio. Al Concilio Vaticano II sono stati invitati consulenti ed esperti, nonché rappresentanti di altre Chiese, il cui contributo non va sottovalutato. In questo senso, ciò che è accaduto in questo Sinodo non è del tutto nuovo.

Che consiglio darebbe ai delegati svizzeri, ai cattolici della Svizzera, per il periodo intersinodale dei prossimi undici mesi?

I delegati svizzeri ora parleranno di come hanno vissuto il Sinodo e di come vogliono portare ciò che hanno imparato alla Chiesa in Svizzera. Mi sono incontrato di tanto in tanto con Mons. Felix [Gmür, vescovo di Basilea, n.d.r.], Helena Jeppesen e Claire Jonard, che è stata moderatrice in un gruppo a cui ho partecipato. E sono convinto che cercheranno il modo di trasmettere il Sinodo dei vescovi. Non facevo parte della delegazione svizzera, ma ero membro del Sinodo per la mia posizione in Curia. Quindi non spetta a me dare consigli o «ricette» ai delegati svizzeri (ride).

Personalmente, cosa auspica riguardo al Sinodo mondiale che si concluderà nel 2024?

Spero che lo spirito di sinodalità che è stato sperimentato, questa lotta reciproca per trovare percorsi comuni, non rimanga un episodio, ma che possa continuare e che ci si chieda ancora più profondamente cosa sia la sinodalità, cioè camminare insieme lungo il cammino. Ricordo che i primi cristiani, come sappiamo dagli Atti degli Apostoli, si chiamavano «la via», perché erano convinti che Gesù Cristo stesso è la via, e che noi siamo chiamati a seguire quella via. In questo senso, dovremmo rapportare maggiormente la sinodalità a Cristo, che è il centro della vita della Chiesa. Riflettere su questo mi sembra una sfida essenziale per la sinodalità. (cath.ch/kath/am/rz/redazionecatt.ch)

Il cardinale Kurt Koch, 73 anni, è il prefetto del Dicastero vaticano per la promozione dell’unità dei cristiani dal 2010. Dal 1995 al 2010 è stato vescovo di Basilea.

Il cardinale Kurt Koch è presidente del Dicastero vaticano per l'Unità dei cristiani. | © Jacques Berset
9 Novembre 2023 | 06:15
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