Ticino e Grigionitaliano

I commenti al Vangelo di domenica 10 settembre

Calendario Romano

Mt 18,15-20 / XXIII Domenica del Tempo ordinario

Se fossi stato qui tuo fratello non sarebbe morto

di Dante Balbo

La Scrittura di questa 23a domenica del Tempo Ordinario ci richiama ad una responsabilità che viene dalla nostra condizione di fraternità, che ci riconosce come figli dello stesso Padre. Ci siamo abituati a lasciar correre, ad accogliere tutto come fosse normale, ad accettare ogni condotta come fosse naturale e che il politically correct ci impedisce di discutere.
Chi siamo noi per interferire con la vita degli altri, per comprendere la loro condotta e giudicarla?
Persino il Papa ha detto in una circostanza, «chi sono io per giudicare!».
Eppure il testo del profeta Ezechiele rimanda ad una responsabilità precisa del profeta che deve ammonire, perché la salvezza del popolo dipende dalle sue parole e non dire ciò che non va implica una partecipazione allo stesso male. Nel Vangelo è lo stesso: io sono responsabile per mio fratello che ha commesso qualcosa contro di me e me ne devo prendere cura, prima tra me e lui solo, poi con qualcuno che mi aiuti, fino alla denuncia alla comunità intera.
Forse che dobbiamo diventare tutti vigilanti che si arrogano il diritto di giudizio sugli altri?
Niente affatto. La stessa gradualità nel cammino di correzione fraterna indica la delicatezza della questione e l’attenzione con cui dobbiamo camminare incontro ai nostri fratelli, ma allo stesso tempo rimanda alla nostra responsabilità che deve essere improntata all’amore con il quale noi siamo stati accolti e perdonati, che deve guidarci nel dialogo con chiunque.
È interessante che il brano evangelico si concluda con una esortazione alla preghiera: quando due o tre si accorderanno sulla terra per chiedere qualche cosa al Padre mio, lo concederà, perché io sono in mezzo a loro. La vocazione profetica non è un accessorio della nostra esperienza cristiana, ma un mandato preciso, qualcosa di scritto nei nostri geni di figli di Dio.
Le parole di Marta al signore per il fratello Lazzaro, sono le stesse che il Padre ci rivolge: «Dove sei, quando tuo fratello rischia la morte eterna?»

Calendario Ambrosiano

Gv 5,19-24 / Domenica II dopo il Martirio di S. Giovanni

Non un Dio lontano, ma con un volto d’uomo

di don Giuseppe Grampa

Nella prima parte dell’evangelo di oggi ben sette volte si parla del Figlio, infine nelle ultime righe Gesù dice chiaramente che è Lui il Figlio. Non dimentichiamo che gli ascoltatori di Gesù, nutriti nell’ebraismo, avevano di Dio una nozione altissima: di Lui non si poteva fare immagine alcuna, non si poteva nemmeno pronunciare il suo nome. Non a caso nelle sinagoghe così come nelle moschee non è raffigurato alcun volto, nessuna immagine, nessuna icona. Così queste due grandi tradizioni religiose custodiscono con assoluto rigore la distanza tra Dio e l’uomo. L’Evangelo è invece la buona notizia che questa distanza è vinta perché il Figlio fa quello che fa il Padre, il Figlio è l’amato dal Padre, nel Figlio il Padre si manifesta: il Figlio dà la vita così come il Padre, onorare il Figlio è onorare il Padre che lo ha mandato. Tutto questo dice Gesù di Nazareth. Eppure di lui la gente diceva: «Certo è il figlio, ma il figlio del falegname, conosciamo bene tutta la sua famiglia, gente come noi». Duemila anni di cristianesimo forse ci rendono incapaci di meraviglia, di stupore. Sì, proprio Gesù afferma che di fronte a Lui, alla sua persona c’è posto anzitutto per stupore e meraviglia. Prima ancora della fede i nostri occhi devono restare nell’incanto di questa inaudita scoperta. Se guardando a Gesù, rileggendo le sue parole, invocandolo nella preghiera non c’è in noi stupore forse vuol dire che ancora non abbiamo conosciuto Gesù. Stupore e meraviglia perché quel Dio distante e lontano, senza nome e senza volto, ha il volto di un uomo. Questo e nient’altro è l’esser cristiani cioè di Cristo, di quest’uomo che è il Figlio. Penso ai Genitori che cercano sul volto dei figli i tratti del loro volto, il colore degli occhi e dei capelli, le fattezze. Mi somiglia, è mio figlio, dicono i genitori con orgoglio. Nell’Evangelo di questa domenica, pagina difficile ad una prima lettura, è come se Gesù dicesse: «Gli occhi di Dio sono i miei occhi: chi vede me, il mio volto, vede il volto del Padre».

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9 Settembre 2023 | 17:23
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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