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Fede, grazia, pensiero «antinomico»: le origini della visione di Francesco

«Il rapporto tra grazia e libertà, tra azione divina e umana, dimostra di essere vivo solo come domanda e non come una formula «perfetta»: si tratta di una persuasione che sarà al centro del pensiero di Bergoglio. La sua critica al «dottrinarismo», al dogmaticismo astratto, alla pietrificazione della Rivelazione, traggono origine da qui: dall’idea che la fede, prima che essere una risposta, è una domanda, un’apertura del cuore a una Presenza di grazia. Questa domanda deve essere vissuta, deve diventare esperienza, verifica di una relazione reale, tra l’uomo e Dio, nello scenario della storia».

 

È una delle conclusioni a cui arriva il filosofo Massimo Borghesi, autore del più approfondito e documentato studio sul pensiero di Papa Francesco e sugli autori che sono all’origine della sua formazione. Il libro, «Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale» (Jaka Book, pp. 304, 20 euro), in libreria dal 9 novembre, si avvale del contributo di Francesco, che ha risposto alle domande dell’autore inviandogli registrazioni audio divenute fondamentali per alcuni snodi della ricerca. Uno degli aspetti più innovativi del libro di Borghesi riguarda il «pensiero antinomico», quel «pensiero tensionante» bene espresso dall’idea che la fede, prima che essere una risposta, è una domanda. Borghesi ne ha individuato i «padri» e gli ispiratori.

 

«Nella consapevolezza, drammatica, che i conflitti politico-sociali e le ideologie tendono a creare muri invalicabili, odi profondi e vittime, Bergoglio lotta per l’unità della Chiesa e l’unità del popolo. Lo fa a partire da un pensiero «cattolico» che vede nella sintesi delle opposizioni la meta ideale. Non si tratta però – precisa Borghesi – della sintesi hegeliana. In Hegel il particolare è solo apparentemente «conservato» nell’universale. Nel cattolicesimo l’universale concreto indica la cura del particolare, la consapevolezza che il più piccolo, nel regno di Dio, è il più grande… Questa capacità sintetica manca all’Idealismo e alle ideologie che ne conseguono, fondati sul sacrificio del finito, del limitato, del contingente. L’autentica totalità, opposta al totalitarismo, non spezza nessuno».

 

A partire dalla metà degli anni ’70, il pensiero di Bergoglio assume una forma «dialettica», spiega l’autore del libro. «Una dialettica antinomica, diversa da quella hegeliana fondata sulla contraddizione e sull’Aufhebung ideale dei contrasti. Essa deve molto alla riflessione interna alla Compagnia di Gesù. La radice della tensione polare è nella stessa spiritualità e teologia di Ignazio, un pensiero in movimento che confida nella riconciliazione, opera del «Dio sempre più grande». Il pensiero «sintetico» di Bergoglio è un metapensiero, una riflessione che indica come punto di risoluzione delle opposizioni un punto trascendente, un punto «mistico» che opera nel mondo tramite la Chiesa».

 

Un’immagine, quella della Chiesa come coincidentia oppositorum che ritroviamo in Romano Guardini, il cui pensiero avrà una importanza fondamentale nel percorso ideale del futuro Papa. Borghesi ricorda che in una delle sue ultime opere, Die Kirche des Herrn del 1965, Guardini scriveva: «Realmente vive nella Chiesa qualcosa che – paragonabile all’energia che nell’atomo lega insieme tutti i suoi elementi – supera la tensione corrente tra le strutture e rende possibile una totalità che in base a tutte le concezioni sociologiche non sarebbe possibile sulla terra». La forma di questo pensiero, spiega l’autore del libro, «ha il suo centro in una dialettica antinomica. Esso trova particolare accoglienza nella Scuola da cui proviene Bergoglio, quella dei gesuiti. Almeno tre autori, per non parlare di altri, possono qui essere citati, tre autori rilevanti anche per Bergoglio: Erich Przywara, Henri de Lubac, Gaston Fessard».

 

«L’opposizione apre un cammino, una strada da percorrere – ha detto Francesco intervistato da padre Antonio Spadaro – Parlando più in generale devo dire che amo le opposizioni. Romano Guardini mi ha aiutato con un suo libro per me importante, L’opposizione polare. Lui parlava di un’opposizione polare in cui i due opposti non si annullano. Non avviene neanche che un polo distrugga l’altro. Non c’è contraddizione né identità. Per lui l’opposizione si risolve in un piano superiore. In quella soluzione però rimane la tensione polare. La tensione rimane, non si annulla. I limiti vanno superati non negandoli. Le opposizioni aiutano. La vita umana è strutturata in forma oppositiva. Ed è quello che succede adesso anche nella Chiesa. Le tensioni non vanno necessariamente risolte e omologate».

 

Lo stesso sguardo lo ritroviamo in Methol Ferré che alla fine degli anni ’70 diventa il «filosofo» di Bergoglio, come lo stesso Papa confida a Borghesi: «Io ho parlato a lungo con Methol Ferré ed ho letto molto le cose che scriveva. L’ultima cosa che ho letto di lui è stato un articolo, pubblicato la domenica prima del conclave nel quale è stato eletto Papa Ratzinger, dove lui diceva che non era ancora il tempo maturo per un Papa latinoamericano. È l’ultimo testo che ho letto di lui. Leggendo Methol Ferré incoscientemente ho preso cose di lui, perché mi piaceva leggerlo».

 

«Sarebbe sovrumano capire appieno la coincidentia oppositorum che la Chiesa è – scriveva Methol Ferré – Alcune dimensioni reali rimangono sempre nella penombra o nella dimenticanza. La Chiesa ha essenzialmente due poli, nasce dallo Spirito di Dio e da Gesù Cristo negli Apostoli. È visibile e invisibile, in un unico indissolubile respiro. Le ecclesiologie tendono ad accentuare uno degli opposti: ora protendono alla «spiritualizzazione»» ora all’»incarnazione». L’accento posto su un polo conduce alla deviazione e all’eresia, quando diviene opposizione contraddittoria se non ammette il movimento rettificatore, correttore. Non si può slegare nessuno dei due poli, pure essendo umanamente impossibile non dare una certa supremazia a uno di essi. L’equilibrio è sempre instabile, mobile, rinnovato. Se si rompe, la Chiesa non può «respirare» e allora si scioglie in mistiche astratte o si impantana nelle forme istituzionali. Spirito senza istituzione, o istituzione senza Spirito, sono false opposizioni che distruggono la Chiesa. Un rischio sempre presente. Tentazioni perenni. Il movimento ecclesiologico di questo secolo si chiarisce così: dalla piena visibilità al puro anonimato. Le estremità visibili, senza Spirito, si induriscono, congelano la storia. Le estremità invisibili allontanano la Chiesa dalla realtà storica, divengono idealismi astorici, soggettivismi di «anime belle», narcisismi in immaginarie «autenticità» mascherate da profetismi al di sopra della Chiesa visibile, storica».

 

Nel libro di Borghesi vengono citate ed analizzate varie «tensioni antinomiche», che riguardano il mondo e anche la Chiesa. Uno degli esempi di questo approccio presentati nel saggio riguarda la tensione tra localizzazione e globalizzazione nella Chiesa. Francesco nel parla nel suo videomessaggio per il Congresso internazionale di teologia presso la Pontificia Università Cattolica Argentina, affermando: «Non esiste una Chiesa particolare isolata, che possa dirsi sola, come se pretendesse di essere padrona e unica interprete della realtà e dell’azione dello Spirito. Non esiste una comunità che abbia il monopolio dell’interpretazione o dell’inculturazione. Come, all’opposto, non esiste una Chiesa universale che dia le spalle, che ignori, si disinteressi della realtà locale. La cattolicità esige, chiede questa polarità tensionale tra il particolare e l’universale, tra l’uno e il multiplo, tra il semplice e il complesso. Annichilire questa tensione va contro la vita dello Spirito. Ogni tentativo, ogni ricerca di ridurre la comunicazione, di rompere il rapporto tra la Tradizione ricevuta e la realtà concreta, mette in pericolo la fede del Popolo di Dio. Considerare insignificante una delle due istanze è metterci in un labirinto che non sarà portatore di vita per la nostra gente. Rompere questa comunicazione ci porterà facilmente a fare della nostra visione, della nostra teologia un’ideologia».

 

E ancora: «Non sono poche le volte che si genera un’opposizione tra teologia e pastorale, come se fossero due realtà opposte, separate, che non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra. Non sono poche le volte in cui identifichiamo dottrinale con conservatore, retrogrado; e, all’opposto, pensiamo la pastorale a partire dall’adattamento, la riduzione, l’accomodamento. Come se non avessero nulla a che vedere tra loro. In tal modo si genera una falsa opposizione tra i cosiddetti «pastoralisti» e gli «accademicisti», quelli che stanno dalla parte del popolo e quelli che stanno dalla parte della dottrina. Si genera una falsa opposizione tra teologia e pastorale; tra la riflessione credente e la vita credente; la vita, allora, non ha spazio per la riflessione e la riflessione non trova spazio nella vita. I grandi padri della Chiesa, Ireneo, Agostino, Basilio, Ambrogio, solo per citarne alcuni, furono grandi teologi perché furono grandi pastori. Uno dei contributi del Concilio Vaticano II è stato proprio quello di cercare di superare questo divorzio tra teologia e pastorale, tra fede e vita. Oso dire che ha rivoluzionato in una certa misura lo statuto della teologia, il modo di fare e di pensare credente».

 

Il «pensiero dialogico» di Bergoglio, conclude Borghesi, non rappresenta una soluzione irenica ma il risultato di una concezione ontologica. È l’ontologia della polarità che richiede un pensiero dialogante teso verso un orizzonte sintetico che deve impedire l’esito «contraddittorio» dei poli. Il quadro è quello di un pensiero «cattolico» che legge la Chiesa e la vita come complexio oppositorum, come lotta agonica per sedare i conflitti, per impedire che le polarità si risolvano, manicheisticamente, in contraddizioni.

Andrea Tornielli – VaticanInsider

10 Novembre 2017 | 07:20
Tempo di lettura: ca. 5 min.
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