Fabris: «In Iraq, il papa, cercherà di trasformare la morte in resurrezione»

Il viaggio del papa in Iraq è per molteplici ragioni simbolico e significativo per tutta la regione medio orientale e per il mondo intero. L’Iraq non è un Paese qualsiasi. La Mesopotamia è stata culla di civiltà antiche di straordinaria bellezza: Sumeri, Babilonesi, Assiri; qui nacque il Codice di Hammurabi per la codificazione delle leggi; qui è nata la fede di Abramo; da qui parti l’evangelizzazione dell’apostolo Tommaso; qui si è sviluppata la Chiesa d’Oriente; qui l’islam fece una delle sue prime conquiste e conobbe la prima drammatica divisione tra sunniti e sciiti; qui si incontrarono le civiltà arabo-greco-cristiana. Abbiamo interpellato il prof. Adriano Fabris, direttore del Master online in Scienza, filosofia e teologia delle religioni. Proprio perché lunedì, il prossimo 8 marzo 2021 avrà inizio la seconda edizione del corso online promosso dall’Istituto ReTe(Religioni e Teologia) della Facoltà di Teologia di Lugano: Religions from the inside, improving the interreligious dialogue. (Info qui https://www.futurelearn.com/courses/religions-from-the-inside-interreligous-dialogue/2)

Prof. Fabris, perché adesso il viaggio di Papa Francesco in Iraq?

Il Santo Padre da tempo voleva andare in questa terra, martoriata da tanti anni di guerra e culla dell’autoproclamatosi Stato Islamico. Nel far ciò ha inteso esaudire anche un desiderio di San Giovanni Paolo II, che avrebbe voluto recarsi nella piana di Ur per sottolineare il comune riferimento ad Abramo che è proprio delle tre religioni monoteistiche. 

Per Papa Francesco, poi, si tratta di un’occasione di dialogo con le comunità sciite, dopo che i rapporti con l’islam erano stati sviluppati soprattutto con le comunità sunnite: ricordiamo la famosa visita al Cairo del 2017, dove il Santo Padre aveva incontrato il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb di Al-Azhar. Infine, e soprattutto, questo viaggio offre la possibilità di far visita alle comunità cristiane tuttora rimaste in Iraq, da tempo oggetto di persecuzione e simbolo di una fede davvero profonda. La presenza del papa vuole significare vicinanza a queste comunità, che hanno dovuto affrontare prove durissime, e sottolineatura del fatto che una convivenza pacifica fra le varie religioni è possibile, anzi, necessaria, nel segno della fratellanza umana.

Come poter spiegare in parole semplici l’attualità religiosa dell’Iraq?

Da sempre l’attuale Iraq è stato un crocevia di culture e di religioni. Oggi, dopo il conflitto che lo ha sconvolto, è una terra a maggioranza sciita in cui però tutte le religioni sono messe alla prova. Da un lato, infatti, la sfida da accettare e vincere riguarda l’islam. Si tratta della sfida a mostrare che questa è davvero di una religione di pace e di fratellanza, nel nome di quel Dio compassionevole e misericordioso a cui il musulmano si rivolge fin dalla prima Sura del Corano. Si tratta di mostrare che il fondamentalismo crudele, che ha avuto proprio in quei luoghi la sua espressione nel Califfato, è una perversione, un rovesciamento dei principi dell’islam. Si tratta però, al tempo stesso, di una sfida per lo stesso cristianesimo, inteso in tutta la varietà delle sue presenze in quella regione del mondo. La sfida è legata alla possibilità di ripartire, di ripartire davvero, al di là della resistenza e della resilienza sperimentate dalle comunità cristiane, per inserirsi in un progetto di convivenza a cui poter portare il proprio essenziale contributo, essendo rispettati e rispettando le altre comunità religiose.

Cosa resta dopo anni di guerra e di divisioni interne della cultura millenaria che ha unito islam e cristianesimo per secoli in Iraq?

Resta purtroppo poco, a quanto ne so. Appunto per questo parlavo di una sfida che dev’essere vinta per poter ripartire. Dobbiamo davvero ammirare la fede di quelle comunità cristiane che hanno resistito a decenni di martiri e di persecuzioni. Ciò non deve far dimenticare, nonostante tutto, la fratellanza che unisce i vari figli di Abramo. Il Santo Padre andrà in Iraq a ricordarlo, come pellegrino, e a dare segni concreti di riconciliazione. 

Come viene recepito un incontro fra le alte cariche islamiche e il papa?

È importante che il Santo Padre, dopo aver incontrato il Grande Imam di Al-Azhar, una delle massime autorità sunnite, ora incontri Ali Al-Sistani, l’ayatollah che è autorità riconosciuta della comunità sciita in Iraq. Non si tratta solo di un atto di diplomazia. La cifra della fratellanza, al di là di ogni conflitto e di ogni vendetta, è quella su cui il Papa continua a insistere, come base per l’incontro concreto fra le persone.

Come vivono e come sono percepite le minoranze cristiane in Iraq?

Vivono in una condizione di difficoltà. Il loro numero si è ridotto enormemente negli ultimi decenni. Papa Francesco visiterà i luoghi degli attentati alle chiese e delle stragi di cristiani. Ma andrà anche nei posti in cui la guerra ha provocato danni per tutti. Cercherà, con logica cristiana, di trasformare la morte in resurrezione, il lutto in possibilità di ripartire, il dolore in condizione per riconciliarsi. 

Quali sono i punti cardine per una vera fratellanza umana in Iraq?

Sono quelli indicati da Papa Francesco nella Fratelli tutti. Si tratta di considerare gli altri, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa, come un vero prossimo, perché nessuno «può raggiungere la propria verità se non nell’incontro con gli altri». La fratellanza poi va intesa nell’ottica della cooperazione fra diversi modi di pensare, per poter affrontare quelle difficoltà e quelle emergenze che affliggono tutti gli esseri umani (pensiamo solo alla pandemia e alle emergenze ecologiche). E infine si tratta di realizzare insieme un vero mondo aperto, nel quale, come viene detto, «la statura spirituale di un’esistenza umana è definita dall’amore». Ma la condizione di tutto questo, come dice sempre il Santo Padre nella sua Enciclica, sta nella capacità di comprendere e di esercitare il valore del perdono.

5 Marzo 2021 | 09:48
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