L'incontro per il ciclo "Eva e le altre" (2022)
Ticino e Grigionitaliano

Donne e potere nelle religioni abramitiche. La conferenza a Lugano

Testimoni di una temperie culturale e religiosa in lento mutamento; voci che ritrovano il senso del loro essere donne e della loro appartenenza a una fede nella figura di un Dio «materno», che non pone limiti, proibisce o isola determinate categorie di uomini ma tutti e tutte accoglie, fortifica, incoraggia nel loro percorso di vita, anche di quelli più inaspettati e singolari; studiose, infine, capaci di leggere sotto luce nuova episodi biblici e coranici fondamentali come la creazione del mondo, traendo dal tessuto del racconto le basi di una convinzione profonda: nel disegno originario di Dio il posto occupato dalla donna era tanto importante quanto quell’uomo e la loro unità, il loro mutuo rispetto le vere fondamenta della creazione. Così le tre relatrici – Miriam Camerini, Cristiana Dobner e Maryan Ismail – lo scorso martedì sera, 20 settembre, nell’ambito dell’incontro organizzato nell’Aula Magna dell’Università della Svizzera italiana dalla Goren Monti Ferrari Foundation in collaborazione con la Facoltà di Teologia Lugano, la Città di Lugano e il Corriere del Ticino – si sono presentate al pubblico ticinese portando con sé il proprio personalissimo bagaglio di esperienze, attraverso il quale cercare di interpretare il tema della serata «Donne e potere nelle comunità ebraica, cattolica e islamica».

Prima vera novità della serata, per il pubblico accorso, quella di scoprire che la questione del potere e del suo esercizio possono essere affrontare in senso anche molto ampio, senza che il problema di una leadership femminile prenda il posto tra le preoccupazioni principali. A rompere il ghiaccio e a dimostrarlo, dopo i saluti istituzionali e l’introduzione del giornalista Carlo Silini, Miriam Camerini: regista, sceneggiatrice, attrice e, da qualche anno, ufficialmente iscritta a un percorso che le permetterà di diventare presto rabbina. «Il termine rabbino – ha spiegato – deriva dalla radice rav, che allude a qualcosa di abbondante, capace in sé stesso di «contenere» molte cose assieme. Rievoca la centralità di questa figura nella fede ebraica, riscoperta dopo la seconda distruzione del Tempio di Gerusalemme, nel 70 d.c. e il cui compito era l’interpretazione della Tanach, l’insieme dei testi sacri dell’ebraismo. Ancora oggi, il rabbino è colui che interpreta il testo sacro per renderlo applicabile nella vita di tutti i giorni. Si parla per questo di ebraismo rabbinico o «talmudico», con riferimento al Talmud, principale testo che racchiude il commento alle norme etiche, giuridiche e rituali del popolo ebraico».

Ed è proprio a proposito del lavoro dei primi rabbini, rileva Camerini, che si incontrano le prime divergenze sull’interpretazione data alla figura femminile: «Accanto all’interpretazione puntuale, talmudica delle norme, l’ebraismo conosce anche un altro metodo esegetico: il cosiddetto midrash, l’indagine del testo sacro sottoforma di narrazione, di racconto. Mentre nel Talmud le donne sono ritenute oggetto della normativa, nella narrativa midrashica le vediamo agire come veri e propri soggetti della propria storia, capaci di decisioni, fiere e intraprendenti. A partire dal racconto della creazione, quando ad Eva si manifesta la presenza del serpente. L’animale le prospetta non solo la reale richiesta da parte di Dio – non mangiare dell’albero proibito – ma in un sottile gioco retorico ed esagerando appositamente riporta che Dio, addirittura, avrebbe ingiunto di non toccare del tutto la pianta. Siamo davanti a un atteggiamento fondamentalista: parlare per convincere la donna della presenza di un rigorismo ulteriore nelle parole di Dio, in realtà inesistente. Ciononostante, Eva agisce. Dimostra – direi – di fronte all’ombra del fanatismo che si allunga la capacità di una «disubbidienza creativa», di cui saranno figlie tutte le sue discendenti bibliche, donne che si ingegnano per eludere la norma che le vorrebbe soggiogare, ricorrendo non alla forza ma alla loro intelligenza. Il Talmud disperde questa ricchezza e questo sguardo nuovo sulla donna. Ma se è vero che la religione è anche un fatto culturale, anche questa situazione è destinata a cambiare con l’evolversi dell’umanità».

Cambiamenti che in parte si sono già verificati e che hanno permesso alla Camerini di intraprendere il percorso di rabbinato, come spiegato in risposta a una domanda del pubblico: «Nel secolo scorso, di fronte al pericolo avvertito di una assimilazione e del perdersi della questione identitaria ebraica, è iniziata l’esperienza delle cosiddette «Case di Giacobbe», luoghi in cui specificamente dedicare un’istruzione di livello più elevato anche per le donne ebree. Idea che ha incontrato il favore soprattutto dell’ebraismo cosiddetto «riformato», esperienza nata in Germania nel 1848 ma poi presto diffusasi in molteplici Paesi. Si è così visto che, sostanzialmente, femminismo e paura di una riforma andavano di pari passo: dove era accettata l’una, era accolto anche l’altro. Da allora l’ortodossia moderata ha supportato la nascita di alcune scuole dove donne e uomini, candidati rabbini, potessero studiare assieme».

Con Maryan Ismail, invece, un’incursione a tutto campo nell’Islam. Tenacemente ostile agli integralisti, sorella di un diplomatico ucciso dalle forze locali qaediste, dopo anni di impegno civile questa coraggiosa italo-somala milanese ha ora infatti in mano il «diploma» di «imama» rilasciato dall’Università di Padova. Molto più di un attestato formale, questo traguardo si radica in una consapevolezza cresciuta nel tempo e che Maryan vorrebbe vedere divulgata il più possibile: «L’Islam certo non sfugge dalle situazioni che abbiamo sentito raccontare, sebbene emergano a tratti tracce di una lettura del ruolo della donna diverse. Penso nuovamente, sempre per rimanere nell’ambito dei testi citati, ai passi coranici che raccontano della creazione: non più una donna creata dalla costola di Adamo, bensì una creatura impastata – come dice letteralmente il testo, se preso alla lettera – di fango e «soffio vitale», terra e anima. Si può così dire che l’uomo e la donna nascono come coppia, ciascuno con una propria inalienabile dignità. Ma l’Islam conosce anche 99 nomi diversi per citare Allah. È compito del buon musulmano ripeterli tutti i giorni. Tra questi, uno dei primi titoli attribuiti a Dio è quello di rakimah, il «misericordioso». La radice del termine è eloquente: la parola deriva da rakanah, l’utero della donna. Tutti indizi che ci dicono come il Corano non alludesse in alcun modo a un ruolo secondario della donna, che è invece subentrato con la Shari’a, l’interpretazione legale del testo sacro.

Del resto, nel VII secolo d. C., l’Islam conosce già la sua prima donna rabbina: si tratta della cugina del profeta Maometto, la quale incominciò a guidare preghiere miste proprio nella casa del profeta».

Dai testi alle testimoni: nell’intervento di madre Cristiana Dobner – teologa, saggista e traduttrice, nonché priora nel Monastero carmelitano di Concenedo, piccola frazione di Barzio, in provincia di Lecco –  invece, qualche spunto per superare, come lo definisce la relatrice, il pericolo di un «collasso teologico», pensando al tema del «potere» nella sua forma specifica di legittimazione a prendere la parola nell’ambito della teologia. «Tutta la letteratura e la filosofia che hanno costituito il bagaglio culturale della mia crescita, hanno sempre parlato di «uomo», tralasciando sempre e comunque la «donna»», ha esordito Madre Dobner. Per poi subito citare, del passato, alcune figure emblematiche di donne, di cui non fu riconosciuta per motivi ideologici la bravura. Elisabetta Sirani (1638-1665), ad esempio, «oggi riconosciuta come una pittrice barocca di indubbio valore, eppure costantemente valutata secondo criteri maschili» o la figura di Caritas Pirckheimer (1467-1532), entrata a 16 anni nel monastero delle sorelle povere di Santa Chiara, a Norimberga, e diventatane abbadessa nel 1503, cui, per i suoi rapporti epistolari con i grandi intellettuali del suo tempo fu a un certo punto interdetto l’uso del latino, proprio per impedirle di sentirsi al pari di questi intellettuali. Fino ad approdare alla complessa vicenda di Lucrezia Cornaro Piscopia, «l’oblata benedettina che il 25 giugno 1678 viene insignita dai notabili del Sacro Collegio dell’Università di Padova del Dottorato in filosofia. Un bel traguardo ma non del tutto pieno: il padre di lei, uomo illuminato, aveva fatto richiesta alla dotta Università di Padova di riconoscere alla figlia la laurea in Teologia. Emblematica del suo tempo, la risposta del Vescovo Barbarigo: «È uno sproposito dottorar una donna, ci renderebbe ridicoli a tutto il mondo»».

Dal Seicento al passato più recente, Madre Dobner ha quindi rievocato alcune singolari iniziative che hanno contribuito al fondamentale riconoscimento, per le donne, di commentare in modo autorevole il testo biblico. Una battaglia, come spiegato, iniziata al di là dell’Oceano: «Le due sorelle Sarah (1792-1873) e Angelina Grimké (1805-1879), quacchere di fede ardente, denunciarono pubblicamente la schiavitù ed uscirono dalla tipica sfera riservata alla donna scrivendo e parlando in pubblico. Letters on the Equality of the Sexes (1863)di Angelina, primo manifesto del femminismo protestante contemporaneo, fu la risposta all’opposizione maschile abolizionista: «Non è soltanto la causa degli schiavi che noi difendiamo, ma quella della donna come essere morale e responsabile». Lucy Stoine, invece, fu la prima donna a voler frequentare il College per poter studiare l’ebraico e il greco, per tradurre la Bibbia senza distorsioni nel testo. Nel 1843 fu ammessa al Oberlin College nell’Ohio e strinse grande amicizia con Antoinette Brown, la prima donna ad essere ordinata ministro negli Stati Uniti. Infine, Elisabeth Cady Stanton, organizzatrice della prima Convenzione del diritto delle donne, la famosa Seneca Falls Convention, che segnò l’inizio del movimento femminista americano ed ebbe come esito una Dichiarazione dei diritti e dei sentimenti, rivendicando l’eguaglianza della donna in quasi tutte le sfere pubbliche. Scrisse infine, grazie alla sua conoscenza del latino e del greco e servendosi di una traduzione di Julia Smith, un commento alla Bibbia, denominato The Woman’s Bible, pubblicato in due volumi nel 1895 e nel 1898».

Ma cosa ha recepito la Chiesa di tutto questo? «Per secoli, dalla prima proclamazione di Gregorio Magno nel 1298 a Dottore della Chiesa, si sono susseguiti ben trentun uomini santi proposti ai cristiani quali Dottori per la luce della loro dottrina e per l’adesione al Vangelo. Finalmente, nel 1979 vengono dichiarate dottoresse due donne, Teresa di Gesù e Caterina da Siena. Teresa di Gesù Bambino le seguì nel 1987 ed infine, ultima, per ora, nel 2012, Hildegard von Bingen, la «prophetessa teutonica«: una piuma abbandonata al vento di Dio, splendido esempio di donna, musicista, poetessa, filosofa e scienziata, che nasce alla fine dell’undicesimo secolo, nel 1098. Fu anche definita la donna più intelligente del Medioevo. Colpisce, nella sua figura la «polifonia vitale»: l’unione armoniosa di una moltitudine di interessi differenti, dalla teologia delle visioni e la medicina alla lettura del mondo attraverso lo studio della natura e la musica, la poesia.

Si dimostra così, anche da parte della Chiesa come istituzione che la dottrina, il dono dello Spirito che illumina l’intelligenza e rende la fede riflessa, non è solo appannaggio maschile ma realtà appartenente alla conoscenza e alla trasmissione alle donne».

E Madre Dobner ricorda, a questo proposito, altre donne precorritrici di questo movimento: «In Finlandia nel 1913 una donna, Wendla Ivaska, ha compiuto gli studi teologici e Eira Paunu si è laureata in teologia nel 1931 e ha ottenuto la libera docenza a Helsinki nel 1952 nella Facoltà Teologica. Nel 1961 a Graz nella Facoltà statale di Teologia cattolica Ingeborg Jansen si laurea in diritto ecclesiastico. Maria Luisa Rigato invece è la prima donna ad essere immatricolata il 12 ottobre 1965 nella Facoltà Biblica del Pontificio Istituto Biblico di Roma e poi Dottore in Teologia Biblica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma».

Casi che dimostrano, conclude madre Dobner, come «la cultura femminile sia mutata». Così «curvarsi sulla Scrittura è, per le donne, insieme consegna ed appello; è la sfida a creare nuovi orizzonti di senso per donne che non ricerchino il potere nel dominio e nella sopraffazione, ma che sappiano invece usare il loro potenziale per incidere sulla vita non solo dei credenti ma di ogni persona pensante, come bene sottolineava il cardinale C. M. Martini».

Nella prossima puntata di «Chiese in Diretta», in onda su RSI Rete Due domenica 25 settembre alle 8.30, un approfondimento curato da Gaelle Courtens.

Laura Quadri

L'incontro per il ciclo «Eva e le altre» (2022)
22 Settembre 2022 | 11:28
Tempo di lettura: ca. 7 min.
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