Papa e Vaticano

«Difendiamo i popoli latinoamericani dalle colonizzazioni ideologiche»

Una Chiesa dal volto meticcio, indigeno, afro-americano. Dal volto di una contadina, di un povero, di un disoccupato, un bambino o un anziano. È la Chiesa che invoca Papa Francesco perché nessuno mai nel mondo, tanto più in un’America latina impregnata da violenze e ingiustizie sociali, possa sentirsi «sterile o infecondo», né si vergogni di se stesso come se fosse «un nulla». Davanti all’effigie della «Morenita», alla presenza di centinaia di fedeli e sacerdoti provenienti dall’America latina, con il sottofondo di canti e preghiere tradizionali, Francesco celebra la messa in San Pietro per la festa della Beata Vergine di Guadalupe, devozione diffusa in ogni angolo dell’America del Centro e del Sud, e prega per tutti coloro che guardando oggi alla propria vita esclamano come il giovane indio Juan Diego: «Io in realtà non valgo nulla».

 

Sono le comunità indigene e afroamericane, «che, in molti casi, non sono trattate con dignità e uguaglianza», sottolinea Bergoglio; o le tante, troppe per questo secolo, donne «escluse a causa del sesso, della razza o dello stato socioeconomico». O i giovani «che ricevono un’istruzione di bassa qualità e non hanno l’opportunità di progredire nei loro studi o di entrare nel mercato del lavoro per sviluppare e costruire una famiglia»; o ancora «i poveri, i disoccupati, i migranti, gli sfollati, i contadini senza terra», che cercano di sopravvivere in una economia che uccide. E i bambini costretti a subire «la prostituzione infantile, spesso legata al turismo sessuale».

 

Questa gente porta «un senso di vergogna» nella propria carne, accusa il Papa, che rischia di «paralizzare tutta la vita». Come accadde ad Elisabetta, la cugina di Maria, sulla quale pesava la sterilità considerata per la mentalità dell’epoca «un castigo divino frutto del peccato proprio o del marito». Questa sterilità al nostro tempo «può assumere nomi e forme» diverse «ogni volta che una persona sente nella propria carne la vergogna di essere stigmatizzata o di sentirsi un nulla», dice il Pontefice nella sua omelia tutta in spagnolo.

 

All’immagine di questa donna, ormai anziana e rassegnata, il Papa oppone tuttavia quella di una Elisabetta «feconda e stupita». Stupita di vedere compiuta «nella sua vecchiaia, nella sua vita, nella sua carne» la promessa fatta da Dio. Con Elisabetta, afferma Papa Francesco, «comprendiamo che il sogno di Dio non è e non sarà mai la sterilità né stigmatizzare o riempire di vergogna i suoi figli, ma di far germogliare in loro e da loro un canto di benedizione».

 

Questo sogno è impresso anche sul volto di Juan Diego, il giovane e umile azteco al quale nel 1531 apparve per ben quattro volte la Madonna – una Madonna «dalla pelle bruna e dai tratti meticci» – che gli chiese di costruire un santuario in suo onore, nonostante lui si sentisse totalmente incapace di farlo. Questo fa la Madre, dice il Papa, «prendere i tratti dei suoi figli per farli sentire parte della sua benedizione».

 

È la «pietra scartata dai costruttori divenuta testata d’angolo» di cui parla Cristo nel Vangelo, rimarca il Pontefice. Che, in mezzo a questa dialettica di fecondità-sterilità, invita a guardare «alla ricchezza e alla diversità culturale dei nostri popoli dell’America Latina e dei Caraibi». Un segno, evidenzia, «della grande ricchezza che siamo invitati non solo a coltivare ma, soprattutto ai nostri tempi, a difendere coraggiosamente da tutti i tentativi omogeneizzanti che finiscono per imporre – con slogan attraenti – un modo unico di pensare, di essere, di sentire, di vivere, che finisce per rendere invalido o sterile ogni cosa ereditata dai nostri avidi».

 

E che finisce per schiacciare soprattutto le nuove generazioni, che «si sentono poca cosa perché appartenenti a questa o a quella cultura». Quindi, ribadisce il Papa, «la nostra fertilità ci impone di difendere i nostri popoli da una colonizzazione ideologica che cancella quanto di più ricco essi hanno, che siano indigeni, afroamericani, meticci, contadini o suburbani».

 

Le ultime parole sono un incoraggiamento alla speranza: ognuno di noi, conclude, è «portatore di una promessa» e ognuno può dire: «Abba, Padre», sentendosi parte di un «mistero di filiazione che, senza cancellare i tratti di ognuno, ci universalizza e ci costituisce un popolo».

Salvatore Cernuzio – VaticanInsider

13 Dicembre 2017 | 07:00
Tempo di lettura: ca. 3 min.
guadalupe (4), Maria (55), messa (55), Papa (1255)
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