Charles de Foucauld.
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Charles de Foucauld, ostinato testimone del Vangelo

Charles de Foucauld sarà presto santo. L’annuncio ufficiale è stato dato lo scorso 3 maggio durante il Concistoro tenuto da Papa Francesco, anche se la data non è ancora stata resa nota a causa ancora una volta della pandemia.

Tra i modelli a cui si è ispirato papa Francesco nella recente enciclica Fratelli tutti c’è proprio lui, Charles de Foucauld. In conclusione alla lettera enciclica scrive: «Esprimeva la sua aspirazione a sentire qualunque essere umano come un fratello… Voleva essere, in definitiva, «il fratello universale»» (287).

Innamorato di Gesù, Charles desiderò imitare il Maestro – il Beneamato (come amava chiamarlo) – nella sua vita nascosta di Nazareth, vivendo poveramente e identificandosi con gli ultimi, nella testimonianza silenziosa del vangelo. Si definì «monaco missionario», e giunse a stabilire il suo eremo nel deserto nel sud dell’Algeria tra la popolazione tuareg di fede islamica. La scelta radicale di donazione a Dio e di fare conoscere Gesù a coloro che ancora non lo conoscono è stata il frutto di un travagliato cammino di conversione.

Terminata la scuola militare con il grado di sottotenente ufficiale di cavalleria, Charles abbandona l’idea di perseguire la carriera delle armi, diventata una noia per lui. Entra in una crisi esistenziale. Si allontana dalla fede cristiana in cui era cresciuto e conduce «una vita senza scopo», come ammetterà più tardi. Appassionato di viaggi e avventure, compie da solo una spedizione nel sud del Marocco dove raccoglierà con precisione e meticolosità dati sulla geografia del luogo e sui suoi abitanti. Ne uscirà un corposo volume Ricognizione in Marocco, pubblicato anni dopo dalla prestigiosa Società di geografia di Parigi.

Ha una breve relazione sentimentale con una compagna, al termine della quale deciderà di accantonare il progetto di matrimonio. A ventotto anni, mentre non sa ancora come orientare la propria vita, sente la necessità di studiare la religione cattolica, sospinto anche dalla cugina Marie de Bondy a cui è legato da profonda amicizia e con cui manterrà sempre uno stretto rapporto epistolare, considerandola come sua «madre spirituale».

Riprende ad andare in chiesa ove vi passa lunghe ore, ripetendo la stessa preghiera: «Mio Dio se esistete fate che vi conosca». Intraprende il cammino di conversione aiutato dall’abbé Henri Huvelin, che adotta quale guida spirituale. Non più interessato a cercare le prove dell’esistenza di Dio, Charles fa esperienza della bontà infinita di Dio. Quasi contemporaneamente alla riscoperta della fede nasce in lui il desiderio della consacrazione religiosa e inizia a percepire «la castità come una dolcezza e un bisogno del cuore».

Povertà e dedizione ai fratelli

A Nazareth dove si reca in pellegrinaggio nel 1889 resta sconvolto e affascinato dalla figura dell’operaio Gesù e decide di seguirlo, mosso dalla convinzione «che l’amore ha per primo effetto l’imitazione». Attratto dalla vita monastica si fa trappista e nel 1890 è accolto nel priorato di Notre-Dame du Sacré-Coeur in Siria. Lì vuole condurre una vita di povertà per imitare il più possibile Gesù di Nazareth, ma la vita nel monastero non gli pare sufficientemente povera. Lamenta, ad esempio, l’introduzione di burro e olio nella dieta dei monaci: «Un po’ meno di mortificazione, vuol dire qualcosa in meno donato al buon Dio; un po’ più di spesa, vuol dire un po’ meno donato ai poveri…», scriverà alla cugina Marie.

Insoddisfatto, dopo sette anni lascia la trappa e per tre anni vivrà come domestico nel convento delle Clarisse a Nazareth e a Gerusalemme. Intanto va maturando in lui il desiderio di testimoniare il vangelo come prete in paesi di missione dove sogna di fondare tanti eremi dedicati al Sacro Cuore.

Ordinato sacerdote nel 1901, fratel Charles di Gesù, così chiederà di farsi chiamare, decide di svolgere la sua missione in Africa tra le popolazioni musulmane. Si trasferisce in Algeria dove stabilirà il suo eremo nel deserto a Tamanrasset, avamposto meridionale dei territori occupati dalla Francia, tra la popolazione tuareg. Fin dagli inizi della sua presenza in Algeria, fratel Charles ha chiaramente in mente che la sua missione non è quella di convertire, piuttosto quella di compiere un lavoro preparatorio alla evangelizzazione. «Senza predicare, bensì imparando la lingua della gente, conversando con loro, stabilendo rapporti di amicizia». Convinto del fatto che «la parola è molto, ma l’esempio, l’amore, la preghiera sono mille volte di più».

Insistentemente nelle lettere a parenti e amici – ne scriverà tantissime – ribadisce che il suo intento è di fraternizzare, fare crollare muri di pregiudizi e avere relazioni affettuose con i tuareg. «Voglio abituare tutti gli abitanti, cristiani, musulmani, ebrei e idolatri a guardarmi come il loro fratello, il fratello universale…». Per lui «gli uomini non sono più soltanto i nostri fratelli, essi sono Gesù stesso». La sua vita interiore è alimentata dall’assidua preghiera e dal rapporto di amicizia con Gesù: «non soffro di solitudine, la trovo molto dolce, ho il Sacramento dell’eucaristia, il migliore degli amici, al quale parlare giorno e notte».

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Charles de Foucauld.
5 Maggio 2021 | 14:24
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