Svizzera

Celebrazione dell'Anno Scalabriniano a Basilea

A motivo dell’Anno Scalabriniano quest’anno l’anniversario di fondazione dei Missionari Scalabriniani, 28 novembre 1887, è stata occasione di celebrazioni speciali un po’ in tutto il mondo. In Svizzera le celebrazioni sono avvenute a Ginevra, Berna e Basilea, le città in cui operano i Missionari Scalabriniani. Vi proponiamo la cronaca dell’evento di Basilea.

Venerdì 26 novembre a Basilea, nella parrocchia di lingua italiana di San Pio X, affidata alle cure pastorali dei Missionari Scalabriniani, con un po’ di anticipo per motivi liturgici, una sessantina di migranti di lingua spagnola, inglese e italiana hanno celebrato il 134mo anniversario di fondazione della congregazione dei Missionari Scalabriniani avvenuta il 28 novembre 1887.

I Missionari Scalabriniani, che a Basilea accompagnano le comunità di lingua italiana e spagnola, e le Missionarie Secolari Scalabriniane, una delle quali condivide il cammino della comunità di lingua inglese, hanno colto l’occasione per presentare e celebrare il carisma del Beato Scalabrini.

Le preghiere e i canti che hanno animato la liturgia hanno permesso ai presenti (di 12 nazionalità) di ›sentirsi a casa, nella propria patria’, come ha commentato una famiglia di rifugiati del Nicaragua.

Il celebrante, P. Michele De Salvia, in italiano, spagnolo e inglese ha focalizzato la riflessione sul motto dell’Anno Scalabriniano «Fare patria dell’uomo il mondo” traducendo questo tema come un invito alla conversione, personale e sociale: una conversione dall’egoismo alla generosità; dalla chiusura alla comunione; dalla costruzione di muri alla creazione di ponti. Un cammino di conversione visualizzato con tre immagini o simboli: quella del viaggio, della frontiera e del passaporto.

Il viaggio nella Bibbia è un’immagine che ci parla di speranza, di vicinanza di Dio che cammina con il popolo. «Fare patria dell’uomo il mondo” significa convertire la mentalità egoistica di considerare i viaggianti (soprattutto i poveri migranti e profughi) come degli outsider, degli Ausländer, come qualcuno che non appartiene qui. Perché apparteniamo tutti al qui ed ora.

La frontiera. È immediato pensare alla frontiera come luogo di separazione, di divisione, di distacco (a Basilea conosciamo bene la frontiera, perché c’è il Dreiländereck, abbiamo tre frontiere). Ma facciamo attenzione, perché quando c’è divisione, c’è inimicizia e rivalità. Cristo è venuto a riconciliare, a stabilire la pace, tra Dio e gli uomini, tra ebrei e pagani. Il cammino di conversione significa arrivare a vedere il confine non come una linea che l’altro non deve attraversare (perché mi toglie il lavoro, mi toglie la tranquillità…), ma come un luogo di prossimità e di incontro, come un luogo oltre il quale posso incontrare qualcuno che mi arricchisce, mi cambia, mi rende migliore… magari dandogli un bicchiere d’acqua, visitandolo, accogliendolo. La conversione è attraversare le linee di demarcazione per mettersi nei panni dell’altro.

Il passaporto ci dice chi siamo. È qualcosa che esprime la nostra identità. Ma non è raro che il passaporto diventi motivo di discriminazione. Il colore del passaporto conta quando si tratta di viaggiare o di attraversare una frontiera. Fare un cammino di conversione per noi stessi e per la società significa arrivare ad accogliere, difendere, promuovere e valorizzare il volto dell’altro, indipendentemente dal colore, dal paese, dai timbri sul suo passaporto. La conversione rende i nostri occhi capaci di vedere che l’identità dell’altro ha lo stesso valore della mia, perché insieme, in Dio, formiamo una costruzione armoniosa. 

La riflessione si è concretizzata nei canti e nelle preghiere che invitavano al viaggio insieme, attraversando la frontiera dell’egoismo e mostrando il passaporto della fraternità. Una fraternità condivisa, dopo la celebrazione, nella sala parrocchiale Beato Giovanni Battista Scalabrini.

P. Valerio Farronato

2 Dicembre 2021 | 16:44
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