Benedetto XVI
Ticino e Grigionitaliano

Benedetto XVI nel 2006 ai vescovi svizzeri: «Ripartiamo dalla certezza dell'amore di Dio». Il commento di don Arturo Cattaneo

di Don Arturo Cattaneo

Joseph Ratzinger è sicuramente una delle personalità di maggior livello intellettuale del nostro tempo. Sul suo contributo teologico si è già scritto molto e molto verrà ancora scritto. Ora, più che tentare di offrirne una breve sintesi, ricorderò un suo intervento che mi sembra altamente significativo del suo approccio al tema della fede. Dal 7 al 9 novembre 2006 si svolse la Visita ad limina dei vescovi svizzeri. Particolarmente rilevante e di grande attualità fu l’omelia pronunciata nella concelebrazione eucaristica che diede inizio all’incontro. Il Vangelo proponeva questo passo: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. Quando fu l’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli ospiti: «Venite, è pronto». Ma tutti, di comune accordo, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: «Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; consideratemi scusato». Un altro disse: «Ho comprato cinque paia di buoi e sto per provarli; consideratemi scusato». Un altro ha detto: «Ho preso moglie e quindi non posso andare». Al suo ritorno, il servo riferì tutto al suo padrone. Allora il padrone si adirò e disse al servo: «Esci subito per le strade e i vicoli della città e porta qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi»» (Lc 14,16-21). Il papa iniziò riflettendo sul perché di quel rifiuto. È evidente che le scuse non reggono. Il vero motivo del rifiuto è la scarsa importanza che costoro attribuiscono all’invito, all’uomo che li invita. Quel rifiuto rappresenta bene l’uomo di oggi a cui manca la consapevolezza del significato positivo che una relazione con Dio può dare alla sua esistenza. Il papa si chiedeva: «Com’è possibile che un uomo dica «no» a qualcosa di così grande, che non abbia tempo per le cose più importanti? Quest’uomo non ha mai apprezzato il «sapore» di Dio; non ha mai sperimentato quanto sia delizioso essere «toccati» da Dio». Si comprende così che la crisi della Chiesa non deriva dal fatto che statisticamente pratichiamo meno. Questa è una conseguenza. La crisi sta nel fatto che Gesù Cristo non è più percepito come colui che ci salva, che ci trasforma, che dà pienezza alla nostra vita quotidiana. Perciò non è una crisi di strutture, ma di fede e di esperienza interiore. «È come un’atrofia una debolezza, del cuore, precisava il papa. Quando l’uomo è interamente occupato dal suo mondo, dalle cose materiali, da tutto ciò che è fattibile e che gli porta successo, da tutto ciò che può produrre per se stesso, allora la sua capacità di percezione verso Dio si indebolisce, l’organo rivolto verso Dio si spegne, diventa incapace di percepire. Ma se l’uomo contemporaneo perde il gusto di Dio, perde la dimensione più profonda di sé, perde il suo cuore, creato per amare Dio». Come uscire da questa crisi in cui l’uomo sembra escludersi dall’esperienza di Dio, l’unico che può rinnovare e riempire il cuore? Non possiamo farlo da soli. Dobbiamo ripartire da Dio, sapendo che «Dio non fallisce», perché Egli – nella sua infinita misericordia – ricomincia sempre ad amare l’uomo, perché – come ci mostra il seguito di questa parabola – rinnova e amplia sempre l’offerta del suo amore. «La stanza vuota – concludeva il papa – diventa un’opportunità per chiamare più persone. L’amore di Dio, si espande. Dio non fallisce, perché trova sempre nuove opportunità per una maggiore misericordia, e la sua immaginazione è inesauribile. Anche oggi troverà nuovi modi per chiamare le persone, perché anche oggi vuole avere con sé messaggeri e apostoli».

Benedetto XVI | © vaticanmedia
31 Dicembre 2022 | 12:20
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